Zagreb – Palude (Alka Record Label)

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I veneti Zagreb sono tornati con un disco che rinfranca le attese e segna un proseguo essenziale con il primo Fantasmi Ubriachi per una band che fa della potenza incontrollata un segno distintivo e che sopra il palco trova una dimensione che come giacca su misura veste a pennello. Palude è bisogno di comunicare in primis uno stato di disagio, un desiderio essenziale di uscire allo scoperto per raccontare le illusioni del mondo, mai con toni semplici o immediati, ma piuttosto ricercando un proprio canale di sfogo e di comunicazione, un facile appeal emozionale che si scopre in tutto il suo necessario volere in pezzi come l’apripista Nel buio e si fa via via più incisivo nella bellissime I tuoi denti, Vile o la finale Anestesia. Gli Zagreb convincono a dismisura in questa nuova prova, lo fanno con il piglio di chi non ha nulla da perdere, in direzione ostinata e contraria e intercettando le solitudini cariche di rabbia di band come i FASK per una proposta nervosa e necessaria, carica di quella essenza che proprio nelle produzioni migliori esce allo scoperto per gridare la propria appartenenza ad un mondo che gira al contrario.  


Carmen Consoli: il canto del cigno – Live Report – Sherwood Padova – 3 Luglio 2015

Sherwood festival al Park Euganeo di Padova è sempre una garanzia in fatto di qualità e offerta dei live proposti, con l’aggiunta di un contorno fatto da incontri, bancarelle artigianali e non e quell’idea che si percepisce solo qui: far parte di un mondo diverso, una città nella città dove la comunanza di intenti vince contro qualsivoglia forma di mercificazione della proposta in atto, facendo da capofila a molti altri festival italiani.
Con difficoltà si comprende la grandezza della folla accorsa per vedere dal vivo l’aggraziata rocker siciliana, data la grandezza del luogo e la presenza di persone non solo sotto al palco ma anche nella zona antistante, popolando i tendoni/ristoranti e i vari punti d’incontro.
Ad aprire la serata la vicentina Elli De Mon che con chitarra dobro e sonagli, scuote la gran cassa facendo tremare palco e oggetti attorno, sporcando di blues la sua timidezza e incrociando l’India con sitar e musicalità d’altri mondi.
Una musicalità che trae ispirazione soprattutto nel delta del Mississippi, un genere contaminato dal punk che sa osare senza chiedersi troppo.
Buona prova tra nuovi e vecchi pezzi, conditi dall’attenzione di un pubblico numeroso e partecipe.

IMG_0556Puntuale alle 22.00 entra Carmen Consoli.
Gonna nera, maglia bianca, chitarra rosa e tacco alto, lei davanti a tutti, lei davanti al mondo, poche note e via via il suo stare sul palco cambia, è mutevole, ritrae i colori di un quadro rock perfetto che vorremmo continuare ad ammirare, Geisha, Mio Zio, Sentivo l’odore e poi la title track dell’ultimo album L’abitudine di tornare, finalmente la meravigliosa Ottobre e La Signora del Quinto Piano, i toni si incupiscono in vorticose parabole elettriche con Matilde odiava i gatti per viaggiare nel lontano oriente con il ritmo di Per Niente Stanca.
Il concerto si muove molto su tonalità che non lasciano tregua, soprattutto nell’ ascolto dei vecchi pezzi come Fiori d’arancio, Contessa Miseria, Venere per un finale che vede alternarsi l’esuberanza di AAA Cercasi ai classici Parole di Burro e al solitario epilogo nel secondo bis affidato ad Amore di plastica.

IMG_0581Carmen ama i Sonic Youth e ama alla follia gli Smashing Pumkins si percepisce quella carica e rabbia malinconica che è pronta a tagliare il bambino dentro di noi, quel bambino che con forza si ripropone in ogni momento della nostra vita lasciando le tracce per la scoperta, per il costruire, per l’abitudine di tornare.
Altre due donne sul palco con lei, Melissa Auf … no scusate Luciana Luccini al basso e la dirompente Fiamma Cardani alla batteria, praticamente un nome, una garanzia.
Un trio al femminile che non ha bisogno d’altro e che fa scuola, dirompente e preciso più che mai.

IMG_0621Carmen non fa più suonare i violini dal vento, ha un volto nuovo, più elegante e quasi immacolato, una grazia che esplode in elettricità compressa e la timidezza e la naturalità che la rincorrono nei momenti di pausa è ben bilanciata dalla forza portante nei momenti più rock del concerto, una veste acustica che non esiste più, lasciando i suoni a rincorrersi come farfalle, in un pop alternativo ben confezionato che vede la voce della nostra, profonda come non mai, penetrare nei sogni di Orfeo e vaneggiare ancora una volta lungo sentieri sincopati, tra le sue Jaguar taglienti in un continuo andare e venire, concitato e rarefatto, atteso, ma mai accolto con forza.
La sostanza c’è e anno dopo anno quella totale capacità espressiva che si esemplificava in testi e musiche da lasciare il segno, ma troppo ammiccanti e sentimentali, lascia il posto a vissuti narrati che vedono come protagonista una società che non cambia e non vuol cambiare.
Carmen si lascia raccontare come in un libro aperto, ripercorrendo una carriera che la vede ancora protagonista dopo 20 anni a segnare e ad insegnare la strada: dalla polvere di Catania ai grandi palchi italiani e non, una garanzia in fatto di professionalità, capacità espressiva e savoir faire emozionale, caratteristiche assai difficili da mantenere nel tempo, ma che la nostra coltiva giorno dopo giorno come fiore raro da proteggere.

Marco Zordan – IndiePerCui

IMG_0664Setlist:

  • Geisha
  • Mio zio
  • Sentivo l’odore
  • L’abitudine di tornare
  • Ottobre
  • La signora del quinto piano
  • Matilde odiava i gatti
  • Per niente stanca
  • Fino all’ultimo
  • Bonsai #2
  • Sintonia perfetta
  • Stato di necessità
  • Esercito silente
  • Fiori d’arancio
  • Contessa miseria
  • Venere
  • Oceani deserti
  • Parole di burro
  • Confusa e felice
  • AAA Cercasi
  • Amore di plastica

Valentina Dorme – La estinzione naturale di tutte le cose (LavorareStanca)

Sei anni non son pochi per assaporare un disco, dopo questo tempo , che parla di piccoli fatti e vicende quotidiane narrate con lo spirito del poeta d’altri tempi che si contorce come essere attorno all’albero della vita.

Sei anni e il ritorno dei Valentina Dorme si comprende in soli pochi ed essenziali fraseggi, niente paroloni, niente mezze misure, un arrivare diritti al significato recondito, celato, amorevole e disincantato dove le rime non sono chiamate per narcisismo fine a se stesso, ma il tutto si scioglie per relegare una poetica piena di lacrime e sudore.

I Valentina Dorme si consumano raccontando la realtà , si consumano raccontando una parte di Noi stessi che non vogliamo far uscire e inevitabilmente si fanno portavoce ora più che mai di quel cantautorato impegnato che abbraccia il filo sottile del rock per annientarci ancora una volta con frasi dal sapore dolce amaro e una costante ricerca negli arrangiamenti che non sono altro che sali scendi emozionali incostanti, privi di schemi del tutto logici, ma capaci nel colpire di sorpresa, in modo repentino e quasi suadente, a segnare ancora una volta il cammino per compiere l’impresa.

Un disco di protesta che cela un’aria di mistero e di tenebra, quasi a parafrasare una fine del mondo inevitabile, una catastrofe nelle nostre mani, Noi unici padroni del nostro destino che ci annientiamo per sopravvivere relegando il tutto ad una fine mortale.

Canzoni come A colpi d’ascia o Ricordi, cagna? ne sono l’esempio, passando per la storia in Lucido Sentimenti IV e l’emblematica Il circo lascia la città concludendo il tutto con la canzone testamento Shanghai.

Un album personale e carico di quel bisogno di cambiare che si accosta prepotentemente alla fatica di essere giorno dopo giorno noi stessi, ancora una volta, con le nostre speranze e le nostre illusioni, il chiacchiericcio di contorno e il nulla che avanza.

 

Ottodix – Chimera (Discipline Records)

Alessandro Zannier in arte Ottodix, trevigiano, al quinto disco intensifica le sue capacità di artista poliedrico tra musica, arti visive e letteratura.

Per l’occasione il progetto Chimera uscirà sotto forma di disco, ma anche di mostra itinerante e di cortometraggio.

Un album elettronico che abbraccia la post new wave, la canzone d’autore moderna e del passato.

Disco pieno di citazioni e complesso, stratificato, in cui la chiave di lettura è da svelarsi nella composita mescolanza di luci e ombre che caratterizzano la nostra vita, la nostra esistenza.

Un album epico, dove una voce che ti entra dentro con disinvoltura si destruttura attraverso basi elettroniche espressive.

De Chirico si incrocia a Magritte e il risultato è un tunnel a cinque dimensioni dove perdersi è la sola via di fuga per la partenza di un nuovo viaggio verso infiniti spazi siderali.

Coadiuvato dai sempre presenti Mauro Dix Franceschini e Antonio Massari, il nostro per l’ennesima prova da studio, si concede in pompa magna, facendosi aiutare da orchestre di strumenti a fiato e dagli archi, con l’intenzionalità di creare un The Wall del nuovo millennio.

Sembra quasi di ascoltare nuovamente i La Crus, rinati e per l’occasione rinvigoriti, in un approccio moderno, attuale, suburbano e incendiario.

Audacia tanta quindi e capacità di non demordere, osando e superando il comune pensare, in un’ottica di ricerca e profondità che è rara da trovarsi nel panorama della musica italiana.