Gianluca De Rubertis – L’universo elegante (MarteLabel)

Entrare in questo universo elegante è fare un tuffo nel passato quando i cantautori riuscivano ad entrarti dentro come non mai esprimendo una costante ricerca di immagini che riguardano il presente, i nostri vissuti, le nostre aspirazioni e quella tiepida figura, quel tiepido bisogno di casa che portiamo dentro.

Gianluca De Rubertis è abile in tutto questo perché riesce con qualsivoglia disinvoltura a intascare una prova dal sapore d’altri tempi contornati però da tanta classe ed eleganza, cesellando con maestria le parti inutili scomponendole  e ricreandole a proprio piacimento in un continuo dar voce ai ricordi e alle speranze per un domani.

Una voce maschile che tocca le corde di un universo femminile, delicato e introspettivo che nel suo lasciare da parte le fantasie pop porno, anche se solo per un istante, regala tanta sostanza, dimostrandosi un cantautore dallo spiccato senso verista e qualsivoglia capace di creare un universo fatto di metafore, di amori andati a male e di un pop sopraffino che potrebbe essere la musica di un domani migliore.

A duettare in un paio di pezzi appaiono le voci, entrambe conturbanti, ma efficaci, di Amanda Lear e di Mauro Ermanno Giovanardi, rispettivamente in Mai più e Magnifica notte, lasciando il posto poi alla riuscita, di Fantiana memoria, Chiedi alla polvere fino a concludere il viaggio con Quello che resta.

Disco egregio che sa di storia, inutili altre parole, i testi di Gianluca sanno raccontare tutto ciò che gli occhi non riescono a vedere.

La banda del pozzo – La banda del pozzo (Autoproduzione)

Un’autoproduzione con stile che fa sognare di mondi lontani e interseca quello stato racchiuso dalla bellezza del suono che incrocia i ritmi swingati e cantautorali narranti, in un vortice di sospensione millesimata e certamente indirizzata a contenere spunti e riflessioni, quasi fosse fame d’aria; un cambiamento di coscienza e forte personalità per questa band che nonostante sia al primo disco regala una prova certamente riuscita e coinvolgente.

Loro sono La banda del pozzo, nati in Sicilia, ma stanziati a Milano, hanno saputo creare, grazie a una raccolta fondi di più di 6.000 euro, un disco cesellato a dismisura, ricompensando i donatori con serenate notturne, cene siciliane, scherzi telefonici e quant’altro sia sgangherato e connesso alla stravaganza della band.

Un album che già al primo ascolto colpisce per cura del particolare, e rapisce per suoni sempre azzeccati, dando origine a collaborazioni con artisti del calibro di Mattia Boschi dei Marta sui tubi, Alessandra Contini e Gianluca De Rubertis dei Il Genio, Tiziano Cannas e Dario Ciffo per i Lombroso e Francesco Sarcina delle Vibrazioni in veste anche di produttore del pezzo Gina.

Freme ancor apre le danze, passando per L’illusione ti fa bella e Gina, convincente a dismisura La notte di San Giovanni per un finale meraviglia con Artie (e falla innamorar).

Un disco ballabile e sentito, romantico, ma con un piglio di ironia, capace di sostenere e autosostenersi in un turbinio di colori che abbracciano milioni di mondi ancora, tra un Fantastic Mister Fox di Anderson e la poesia moderna dipinta.

La Clé – L’amore è eterno finché dura (Autoproduzione)

Non è un disco dei Non voglio che Clara, vi beccate la loro intervista nell’articolo precedente, qui si spazia in territori ostili, elettrizzanti con attitudine punk da primi della classe, stiamo parlando del nuovo Ep dei La Clé, band proveniente da Tolentino nelle Marche che si caratterizza per un suono frizzante e sempre in continua salita.

Dopo averli lasciati con Via dalla Routine nel loro percorso di scoperta e maturazione, ascoltarli ora è come fare un tuffo nella new wave nostrana, per capacità espressiva e per caratteristiche che li rendono capaci di spaziare con facilità tra vari generi facendo del tutto un qualcosa da costruire e da rimodellare.

Tra le 5 tracce compare il singolone, che proprio inedito non è, perché si tratta della cover di Pop porno de Il genio, arrangiata per l’occasione in chiave distorta e corale, quasi fosse un inno da stadio.

Le altre canzoni scivolano bene dall’intro di Lei suona finendo con Balla, raccontando di piccole storie, di vita quotidiana, di inadattamenti, strizzando l’occhio a band come Tre allegri ragazzi morti o per similitudine di approccio accostandosi ai bresciani Gli eroi.

Un disco che fa riflettere e ballare, un disco per ogni momento, sporco quanto basta per non essere commerciale, a tal punto da trovarsi uno spazio dove risiedere, tra le peripezie di ogni giorno e le prove corali di quattro giovani ragazzi.