La Clé – L’amore è eterno finché dura (Autoproduzione)

Non è un disco dei Non voglio che Clara, vi beccate la loro intervista nell’articolo precedente, qui si spazia in territori ostili, elettrizzanti con attitudine punk da primi della classe, stiamo parlando del nuovo Ep dei La Clé, band proveniente da Tolentino nelle Marche che si caratterizza per un suono frizzante e sempre in continua salita.

Dopo averli lasciati con Via dalla Routine nel loro percorso di scoperta e maturazione, ascoltarli ora è come fare un tuffo nella new wave nostrana, per capacità espressiva e per caratteristiche che li rendono capaci di spaziare con facilità tra vari generi facendo del tutto un qualcosa da costruire e da rimodellare.

Tra le 5 tracce compare il singolone, che proprio inedito non è, perché si tratta della cover di Pop porno de Il genio, arrangiata per l’occasione in chiave distorta e corale, quasi fosse un inno da stadio.

Le altre canzoni scivolano bene dall’intro di Lei suona finendo con Balla, raccontando di piccole storie, di vita quotidiana, di inadattamenti, strizzando l’occhio a band come Tre allegri ragazzi morti o per similitudine di approccio accostandosi ai bresciani Gli eroi.

Un disco che fa riflettere e ballare, un disco per ogni momento, sporco quanto basta per non essere commerciale, a tal punto da trovarsi uno spazio dove risiedere, tra le peripezie di ogni giorno e le prove corali di quattro giovani ragazzi.

La Clè – Via dalla routine (Autoproduzione)

copertina la clè

E’ un pugno allo stomaco l’album dei La Clè, formazione marchigiana che per sonorità ricorda i primi Litfiba e Negrita con tocchi internazionali e divagazioni post core e hard rock di suoni americani distorti e voce piena e comunicativa.

Il loro lavoro parte dal concetto di affrontare la realtà in modo diverso e questo “Via dalla routine” ne è l’esempio:  uno specchio dove poter lavare via la propria anima sporca di dolore e rabbia, di sogni infranti e pomeriggi andati a male.

Il suono è granitico e al basso e batteria, Nicola Serrani e Enrico Biagetti, fanno la loro meritata figura impreziosendo il tutto da cambi di ritmi consacrati al non troppo, ma fatto bene.

Michelle Bellini alla chitarra, per approccio costituisce parte integrante del gruppo, utilizzando sonorità che si intersecano tra ’70 e ’90, percorrendo sentieri post-punk in pezzi come “Ricomincio dal mi”.

In “Segno d’acqua” si disturbano involontariamente Gentle Giant e Yes o ancora meglio i nostri conterranei “Le Orme” riportando in voga usanze dimenticate che per una rock band sono marchio di fabbrica, nonché segno distintivo.

Infatti il loro pensiero di fondo abbraccia l’idea di un concept album che per certi versi viene toccato attraverso canzoni quali “La fine del mondo”, “Cose pop” e “Vivo” confluendo in un unico fiume che scorre trasportando acqua dalla foce alla sorgente.

Si perché questo è un percorso al contrario, si parte dalla chioma dell’albero per arrivare alle sue radici, solo così facendo potremo fuggire via dalla routine.