Senhal – Bang (Autoproduzione)

Mescolando Zen Circus, Le vibrazioni e i Negramaro ne esce un buon prodotto di partenza per sconfiggere il tempo e tutto ciò che gira intorno al nostro pianeta, fatto non solo di materia celeste, ma anche di sentimenti e realtà tangibili da vivere giorno dopo giorno.

I giovani Senhal confezionano questo loro Ep in modo diretto e sincero, c’è della buona musica e ci sono un sacco di buone idee a partire dai testi che tante volte trascendono la realtà per arrivare a profondità che solo l’inconscio può capire.

C’è un occhio strizzato all’indie rock d’oltremanica e al futuro che attende sogni di vita pop.

Canzoni che esplorano territori inesplorati, una teoria del caos che risucchia il tutto all’interno di un buco nero, ennesimo esempio di una forza che non ha confini, ma che si accinge ad essere futuro partendo dal passato.

Il passato per i nostri è chiaro e altamente coinvolgente, i maestri ci sono e lo stile sicuro garantisce ottimi risultati, nell’attesa che si possa apprezzare un album intero ci perdiamo tra galassie e asteroidi ancora da scoprire.

SplatterPink – MongoFlashMob (Locomotiv Records)

Questo è il risultato del sapere padroneggiare in modo sicuro e in tutto e per tutto il proprio strumento musicale.

Un genere che per definizione non ha definizione, loro si definiscono JazzCore e sono da Bologna si chiamano SplatterPink e sorseggiano in modo egregio un hardcore rivisitato con cambi di fraseggio strumentale al limite del comprensibile.

 Quando meno te lo aspetti, quando pensi che tutto sia incasellato in un determinato genere, loro sono li per sorprenderti e per farti dire: questi ci sanno veramente fare.

I nostri intarsiano bene Sonny Sharrock con NoMeansNo, incanalando quell’aggressività a cambi repentini quasi profetici e che hanno del miracoloso, un osare che porta alla scoperta e alla fusione di più generi appunto con incursioni funk e pregevoli suite prog.

Un disco che non è facile da ascoltare, questo lo ammetto, ma del resto questa musica inclassificabile non è alla portata di tutti e forse e meglio così, lasciamola in mani che ne faranno del buon uso, la sperimentazione è di un altro pianeta e sono in pochi, per fortuna, coloro che hanno la necessità di scoprire volando.

Metibla – Crimson Within (Autoproduzione)

Tuffarsi giù fino a profondità inesplorate, dalle linearità statiche, quasi immobili, anche se il ritmo incalza e ti fa muovere, forse perché lo scopo di questo disco è farti immergere nella testa di chi le canzoni le scrive, le compone e le mette in musica.

Metibla al secondo disco si concedono itinerari nascosti nei meandri della mente umana, una mente contorta, una mente atta alla riconciliazione, al ritrovare qualcosa di perduto, una ricerca continua che si fa viva traccia dopo traccia.

E’ un disco importante questo, lo si capisce nella suite d’apertura e tutto è costruito per comunicarci che l’abbandono non è una partenza, non è un soffrire, ma è un istante della vita che bisogna affrontare a testa alta contro ogni intemperia.

I Metibla lo sanno fare bene lungo queste tredici tracce, snocciolando molta new wave e trame lineari che si concedono qualche apertura, ma sempre all’interno di un rigore logico che stupisce, ammalia e ti rende partecipe di un vortice in continua espansione.

Un disco cupo quindi, ma pronto a ricevere la luce, un disco per pochi eletti, per solo coloro che possono capire, che forse la morte non è solo la fine o meglio è un nuovo inizio da cui partire per noi, per essere migliori.

Olden – Sono andato a letto presto (GoodFellas)

Basta poco per fare un gran disco, arrangiamenti scarni, una voce in primo piano, la chitarra acustica a tenere il ritmo e tutto il resto è poesia.

Questo ce lo insegna Davide Sellari, in arte Olden, che racchiude in undici tracce il proprio modo di pensare, di affrontare la vita, quasi fosse un eterno viaggio, un viaggio a cui non possiamo rinunciare costruendo il cammino volta per volta.

L’idea che salta in mente di questo giovane è una sagoma in lontananza che gira le strade d’Europa a cantare un’italianità persa, sogni infranti e vestiti da ricucire per l’ultimo grande ballo.

Un cantastorie da bordo strada, un cantastorie vecchio stile, quando ancora non bastava altro che un’acustica per emozionare, per farti sentire vivo in qualunque posto andassi.

Mi piace pensare che nel 2014 riesca a vincere ancora questo tipo di musica, che non trova mezze misure in elettronica da strapazzo, ma si concede una voce in primo piano che regala emozioni a non finire.

Tutte le tracce sono racconti, di una vita normale, che siamo noi giorno dopo giorno, come ci insegna Davide, a renderla straordinaria.

Un disco di colori e di luce, un disco di lunghi addii e di vita.

VonDatty – Madrigali (Autoproduzione)

Un cantautore di un altro tempo, di un altro spazio, che si concede una capacità, un intuito sopraffino per gli arrangiamenti e le prove in grande, per creare un disco complesso stilisticamente, ma essenziale nella propria essenzialità.

Stiamo parlando del disco di VonDatty, eccentrico cantastorie in rock che si accomoda tranquillamente in una poltrona di velluto rosso, con tanto di cappello a cilindro e baffo alla Dalì, per raccontare storie di vita vissuta, attimi raccolti in mani che sono pronte a rendere vero ciò che non è reale.

Ascoltando VonDatty sembra quasi di stare in un sogno, pensiamo di aver compreso tutto della struttura di una canzone, ma ci stupiamo, ci stupiamo per l’uso degli arrangiamenti sempre innovativi e che conferiscono al tutto un eco di un passato lontano.

Onirico quanto basta il nostro chiede attenzione all’ascolto, quasi fossimo noi gli spettatori all’interno di una rappresentazione che è la vita, fatta di amori, morte e illusioni.

Dieci tracce, tra cui le collaborazioni con Giorgio Baldi e Tommaso Di Giulio, che parlano sostanzialmente di Noi, bellissima l’apripista Il fantasma della porta accanto, per concedersi poi in quasi tutto il resto del disco sprazzi di indie sostenuto; chiusura affidata all’introspettiva Dal tramonto all’alba.

Meraviglia sonora che incanta, questa di VonDatty, un concentrato di cantautorato e rock che stupisce e si discosta da quello che siamo abituati ad ascoltare, un osare senza strafare, un raggiungere il bersaglio con stile e poesia.

LaMente – Un passo indietro (Garage Records)

Un rock sopraffino e introspettivo che si concede il colore che sfuma, tra il bianco e il nero di una fotografia, un ricordo lontano che si fa vivo e il ritorno a mondi conosciuti, che prima sembravano lontani e ora si lasciano trasportare dalla marea che arriva.

I LaMente con questo disco si lasciano scorrere alle spalle ciò che è andato a male per concentrare il tutto su suoni prettamente indie mescolati all’elettronica che va a comporre dei riff essenziali quanto centrali.

I cinque da Arezzo vogliono comunicare il tempo che scorre e le ossessioni per le cose perse, in una continua speranza di appagamento o di ritorno, piccole storie incastonate in un diadema più grande e complesso.

Ferretti incrocia Cristiano Godano, il quale avrebbe qualcosa da dire ascoltando i nostri, anche perché, a tratti ricordano gli episodi migliori, di Kuntziana memoria, degli ultimi anni.

Adesso so è esplicativa, è riuscire a percepire la realtà con occhi nuovi incasellando il tutto, ma facendo nascere anche la paura ecco allora la bellissima Difendimi, che si porta avanti passando per Recordis e il moto instabile de Il vento.

Si passa ad Agosto con gli occhi lucidi ritrovandosi in un attimo a contemplare la splendida voce di Giulia Salis in Un viaggio.

Chiude la Baustelliana Rosso.

Un disco completo che racconta i chiaroscuri dell’anima, mai attesa e mai ricercata, ma proprio li ferma, immobile ad aspettare un lieto ritorno, questi sono i LaMente e l’entrata in un labirinto senza fine è assicurata.