Day after rules – Innocence (Autoproduzione)

Il giorno dopo le regole sigilla una prova di coraggio che tocca ancora i fasti degli anni ’90 del punk rock dei Green day, degli Offspring e di tutto quel filone partito da lì e che ha invaso il pensiero degli adolescenti di quei tempi, tra voglia e bisogno di gridare la propria rabbia in contrapposizione costante agli altri generi che andavano per la maggiore.

I nostri con questo disco fanno capire di conoscere il territorio, di conoscere gli anfratti del tempo lasciato alle spalle e tutta questa energia indomabile è racchiusa in queste sette sporche, ruvide tracce; in un concentrato di follia che divaga nel nostro mondo a contatto con altri, dal sapore immediato, senza ingannare le apparenze, ma intascando l’effetto desiderato fin dall’inizio con Swamp per correre lungo i binari già conosciuti, ma solidamente interpretati nel raggiungere il finale lasciato a My innocence.

L’innocenza è il bambino dentro di me, in balia di ciò che verrà per un suono colmo e carico, diretto e che fa di questa immediatezza una carta vincente per questa band che ha saputo ridare al passato un amarcord meritato.

Bebawinigi – Bebawinigi (StratoDischi Notlabel)

Bebawinigi è cantante, polistrumentista, attrice, ideatrice di colonne sonore per film e soprattutto è pura stratificazione di stati d’animo che si intersecano con l’apparire in un’opalescenza che tende al cristallino, segno dei tempi di cui facciamo parte, segno di un mondo che è in evoluzione e questo è il puro tentativo di intrappolare dentro ad un disco una sensazione di trasformazione che ci accomuna e ci rende simili con il nostro essere ideale.

Queste tracce sono sperimentazioni narrative di intersezioni sonore che si dipanano tra i chiaro scuri della new wave, passando per l’industrial e lo stoner, raggiungendo quote psichedeliche fino ad abbracciare i territori del punk jazz, del blue e del folk in una sorta di anfratto da scovare e comprendere, in una sorta di allegoria della vita che è dipinta con tratti non precisi, ma che lasciano spazio all’immaginazione e al pensiero libero, quasi futurista; una ruota che si chiama vita e noi scesi nel baratro per essere richiamati a diversi destini.

C’è molta ribellione in tutto questo, un uscire dagli schemi che porta l’ascoltatore a scoprire nuovi ed emozionanti quadri sonori, dove il buio vince e dove la cupezza dell’animo è sinonimo di resurrezione.

Gasparazzo Bandabastarda – Forastico (New Model Label)

Una grande festa che non ha fine pronta a concederci la possibilità di ballare a ritmi sostenuti, sentiti e vissuti, tra incursioni che vanno, senza mezzi termini, dal folk al punk, dal reggae al cantautorato, passando per la world music in un collettivo disimpegnato e amante della sperimentazione etnica, in un album, il sesto album, che non smette di stupire ad ogni ascolto; il raggiungimento del punto giusto, dell’alchimia perfetta che consente di unire strumenti moderni ad altri della tradizione, dal sapore vintage, dal sapore del passato, una magia musicale vera e vibrante, ricca di quella capacità nel sostenere ragioni di vita essenziale, tra rimandi cinematografici e bellezza nei testi che si possono rintracciare in rete, un’iconografia ben realizzata che da un maggior senso al termine forestiero, che di questi tempi è saggezza e calma nell’affrontare la vita, un termine che sempre più ha e avrà valore, come senso di accoglimento; un’accoglienza che ci vede protagonisti nell’accettare il lontano, il diverso, il povero: i forestieri potremmo essere noi prima o poi, noi protagonisti di queste canzoni magari in un’altra terra, magari in un’altra vita.

Caputo – Supernova (Autoproduzione)

Una donna uscita da un altro tempo con sonorità però così moderne da portare l’ascoltatore ad un primo disorientamento, un mondo fatto di luci e ombre, passati e futuri per questo nuovo disco di Valeria Caputo che utilizza il suo alter ego elettronico Caputo nell’intento di creare un rinnovamento sonoro al substrato della cantautrice e relegando momentaneamente strumenti usuali per dare vita a qualcosa di più naif, di più immediato, la coscienza che esplode come una stella disseminando lo spazio di frammenti da sovrapporre al tempo e lasciando al proprio passaggio scie di luce confortanti e allo stesso modo complesse, tra amori che non hanno mai fine e anime che si scontrano e poi si ritrovano in una ridondante infinita ricerca di un mondo oltre al nostro.

Frammenti raccolti nel passato quindi, manifesti di una realtà che non esiste più, del giorno che va oltre, pensiamo all’apertura di Blooming o a Flower girl tanto per dare l’idea di cambiamento, passando poi per le dilatazioni di Supernova e The River; una libertà voluta e ricercata una libertà da coltivare giorno dopo giorno, attimo dopo attimo senza attese e soprattutto senza rimpianti, una sostanza che si modella con il tempo e che ci rende liberi solo se lo vogliamo.

Chicken Queens – Buzz (La Clinica Dischi)

Duo spaccatimpani e psichedelico che spara a mille sui volti nascosti di chi tenta di osservarli, non si lasciano dietro nulla, non si lasciano dietro il tempo e creano una commistione di sudore e rumore che si avvicina per molti versi al primordiale rock sviscerato da Hendrix per passare al Jack White dei nostri tempi in un’altalena piastrellata di forme e colori dove la melodia non esiste, ma la forma e la sostanza sono elementi imprescindibili per la buona riuscita di questo disco.

Impatto notevole quindi che lascia lo spazio a qualcosa di primitivo che ti entra nel corpo e non ti lascia andare, quel qualcosa che sa di ruggine e tempo perduto, di maturità sonora, ma anche di punk alla vecchia maniera, quando il marcio che era dentro, si esponeva ed usciva con tutta la sua rabbia carica di significato e d’altronde i nostri non sanno contenersi e creano sfacciatamente un modo diverso di approcciarsi alla musica, un modo più diretto, meno elaborato, ma di sicuro effetto.

 

Marrano – Marrano Ep (Autoproduzione)

Sfrontati, duri e diretti, ma soprattutto veri, i Marrano si presentano così, con attitudine molto punk e suoni grunge fino a farti scoppiare il midollo, fino a farti giungere all’essenza, un vortice che rapisce fin dalle prime note, sorregge una buona impalcatura di base e conquista grazie ad un suono molto sporco, aperto e di sicuro impatto.

Per descrivere questi quattro pezzi al fulmicotone non abbiamo bisogno di molte parole, c’è un misto vibrante di suoni anni ’80 intersecati alla scena di Seattle del primo decennio successivo, un mood eccellente per stabilire una ripresa del tempo, uno spirito interiore che ammalia e disintegra, ma soprattutto arriva diritto al sodo.

In attesa di un disco completo, un full length dal sapore distruttivo, i nostri intascano una prova di coraggio e pronta a segnare il loro cammino.

 

IO e la TIGRE – 10 e 9 (Garrincha Dischi)

Aurora Ricci e Barbara Suzzi in arte IO e la TIGRE dimostrano una capacità e un’attitudine punk da prime della classe, in modo disinibito e sciolto, cantano di amori non corrisposti e amori voluti, cantano della fragilità umana e della caparbietà nel costruire il proprio futuro, cantano di un’Italia da ricomporre, e dell’annosa ricerca nell’essere se stessi, indubbiamente catastrofiche, indubbiamente reali.

Ecco allora che questo affronto di inizio millennio, è un sasso che scuote la pancia, tra una Maria Antonietta e una Carmen Consoli tacco dodici che si dimenano tra pedaliere indistruttibili, tra Sick Tamburo e quell’esigenza quasi mistica di dare un senso eterno a quei numeri il 10 e il 9, un’aurea esigenza di provare ad essere diversi nel conformismo odierno.

Una cover alla Baronciani e i testi schietti che brillano per immediatezza ci fanno capire l’importanza dei rapporti, nella costante ricerca di una nuova via da seguire, un album che affronta a testa alta la vita e nelle cadute, la presenza sempre di qualcuno che è pronto a trascinarti verso una nuova vita.

 

Mat Cable – Psychotronic Drugs (Alka Record Label)

Rock aggrovigliante che si immedesima nelle sfumature del punk non ricercato, ma diritto al punto, alla ricerca di vie d’uscita da una prigione immaginaria dove contendersi quei pochi fili d’aria che permettono di respirare ancora, per vivere di nuovo, tra chitarre graffianti e la sete indispensabile di portare a compimento un progetto alla rinfusa che trova spazio con un’attitudine di ricerca che non si snocciola, ma per interezza si affaccia al mondo musicale con schiettezza e tenacia.

Loro sono i Mat Cable, formazione nata nel 2014, che grazie ai loro vissuti musicali e grazie alle loro esperienze decidono di convogliare le forze per dare vita ad un progetto di sporco garage che strizza l’occhio oltreoceano per creare un connubio stilistico di forte impatto emotivo che tende alla ricerca e non alla copiatura, grazia mai sospinta per una tavola ruvida che si fa ammirare.

Il quartetto formato da Raffaele Ferri alla voce e alla chitarra, Ottavio Rastelli all’altra chitarra, Edoardo Ferri al basso e Francesco Lupi alla batteria, incanala le energie del momento per dare vita a substrati di coscienza poliedrica per cinque pezzi che si fanno ascoltare partendo da Fight or hide, passando per il singolone Under my skin e chiudendo le danze con Choose your way, babe.

Un disco senza misure questo, che va diritto al punto senza chiedersi troppo, trasformando la realtà in energia, i vissuti in suoni di un qualcosa che ci appartiene.

Marijuanal – StonedPunk (Autoproduzione)

Vengono da Rovigo sono i Marijunal e a loro non frega un cazzo del giudizio della gente, esprimono con vivace sofferenza un’espressione di colore che portano dentro, un modo per concedersi e gridare al mondo i propri intenti, senza mezzi termini e mezze misure, una vorace distesa di intenzioni capaci di fagocitare in un solo attimo ansie e paure per portarci lontano.

Fedeli alla linea del punk sbandierano erba già nel loro nome anche se il risultato è assai diverso da Green Day e robaccia commerciale di basso livello, qui ci si mette il cuore e a IndiePerCui piace quando una cosa è eccezionalmente vissuta e immagazzinata tanto da entrare nell’antro dei ricordi migliori, i nostri Marijuanal  salgono di diritto sul podio delle migliori proposte di punk non solo nazionale, a fianco di nomi come Pennywise, Rise Against e Poison the well trasformando il punk rock in voga negli anni ’90 in un punk quasi estremo che incrocia hardcore e crossover per dare vita ad uno stonedpunk d’annata che affonda le proprie radici negli anni’80, per questo genere, i miracolosi anni ’80.

Le canzoni si lasciano affondare veloci e immediate, stupenda No pussies in the skatepark che troviamo nella chart della famosa label Epitaph per passare all’intro meditato di Alone e via via Brothers per finire con Double Drop; tra queste alcune canzoni trasmesse da radio brasiliane, argentine, californiane.

Un disco schietto, diretto e senza mezze misure, una rapida occhiata verso il sole che sorgerà e l’esigenza di mettersi davanti ed affrontare con piglio opportuno una nuova giornata, per abbattere la noia, per sperare ancora.

I traditori – Novità (Soundido Productions)

Scanzonati sti traditori alla faccia del buongusto e dell’immediatezza, sospirata cullata e rappresa, simbolo di un’estate che ride in faccia alla vita, che si fa un baffo del bon ton per creare melodie serrate, costruite e snocciolate con facilità continua, elargita e simil stereotipata, quasi naif.

La novità porta novità, io direi anche che porta genuinità, non tanto nel cibo italico decantato, ma sovrastando con chitarre dirette parole che si fanno a rotolo un libro aperto, pronto per essere studiato e ricondotto al principio della semplicità.

Un pop efficace quindi, senza chiedersi troppo, i traditori lo fanno bene, lo fanno senza strafare, lo fanno un po’punk e un po’ elettro con tastierine anni ’80 e bellezza che risplende nella luce di un buio lontano.

6 canzoni in bilico tra full ed ep, musica per questa estate, sulla spiaggia, lontano dalle gente meno importante, lontano dall’Italia, in un Paese straniero, dove si parla un’altra lingua, dove almeno qualcosa è diverso e tu non la capisci o fai finta di non capire, ti lasci trasportare da queste piccole perle coltivate e del resto, appunto, non te ne può fregar di meno.