Legni vecchi – Legni vecchi (DreaminGorilla Records/Stay Home records)

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Duo meraviglia che intasa l’aria di sostanze sonore in grado di provocare nel corpo umano un’energia dirompente capace di sfondare gli orpelli post hardcore per incentrare la scrittura in una musicalità che si fa tenebra e luce, innescando soffitti cosmici da gettare al suolo con forza magnetica, imprigionando la realtà attraverso note che si susseguono in accordi emozionali, siglando il bisogno di esistere attraverso sei tracce che si muovono bene tra Gazebo Penguins e Menrovescio in uno stile affinato e pronto a trovare una propria dimensione in chiave live, su di un palco polveroso da dove non poter scendere finché l’ultima goccia di sudore non sarà stata versata, La Pace è il pezzo più introspettivo del disco passando per La distruzione e l’ottima Marcione, lasciando qualche suono vocale a riempire Ratti fino al gran finale di Sgomito, per un disco, quello dei Legni Vecchi che trasuda resina ancora e per sempre.

Give Vent – Days Like Years (diNotte Records)

Si parte con in mano un packaging straordinario, eccezionale a dir poco, un sacchetto del pane, dentro un libro quadrato con all’interno un cd e come se non bastasse, una specie di serigrafia numerata accompagnata da un simil negativo, non vi basta?Allora inserite il disco nel lettore e dopo tutta questa introduzione a prima vista, uno si aspetta un album d’autore, un album introspettivo ed etereo, no qui abbiamo una voce punk che colpisce, progredisce e si misura con melodie accompagnate da una chitarra acustica ed un comparto musicale che sembra uscire da un disco degli Smashing Pumpkins o di qualsiasi altra produzione targata ’90 per un approccio da capelli lunghi e urla in gola che segnano la strada, attraverso i campi e poi ancora quella casa tra gli alberi, ad adombrare i ricordi, ciò che eravamo stati in una solitaria espressione di abbandono e bellezza che si può respirare lungo i pezzi che compongono questa ottima prova, da Two into one fino a The morning we will never have, tra concentrati d’autore e sottili perdizioni dell’animo umano in un disco che trasforma il colorato in un bianco e nero nostalgico e sincero.

-FUMETTO- Alice Milani/Silvia Rocchi – Tumulto (Eris Edizioni)

Titolo: Tumulto

Autore: Alice Milani/Silvia Rocchi

Casa Editrice: Eris Edizioni

Caratteristiche: brossura, 17 x 24, 168 pag. colori

Prezzo: 17,50 €

ISBN: 9788898644292

 

Solo noi conosciamo i significati della nostra vita e proprio attraverso il viaggio possiamo esorcizzare quello che ci portiamo dentro, i rapporti, le illusioni e la crescita, i sogni, tanti, nascosti dentro al cassetto della nostra mente e pronti ad esplodere come schegge impazzite al calare della sera, tra tramonti in vallate inospitali e la natura che converge fino al centro della città, il verde e il grigio spruzzato dal bianco, l’essenzialità acida e il tumulto che insorge come proiettile sull’acqua e ci fa respirare e battere il cuore, ci fa pensare, anche solo per un momento, che qualcosa di diverso è possibile o perlomeno meritevole di essere vissuto.

La coppia pisana Alice Milani e Silvia Rocchi, delinea a quattro mani, graficamente e attraverso dialoghi interiori, la storia di un viaggio verso la Drina, fiume della penisola balcanica che fa da confine naturale tra Bosnia-Erzegovina e Serbia, un viaggio a cavallo di una Virago, tra colline, montagne verdeggianti e aspre città post-belliche che hanno conosciuto e che conoscono la disillusione e in grado di far da sfondo all’avventura di queste due ragazze alla ricerca di un passato, il loro, seguendo territori che portano ancora le cicatrici e le ferite della guerra, enfatizzando arrivi e traguardi come veri e propri punti di partenza.

Il lasciarsi vivere, il rimescolare le carte in gioco e a far da sottofondo musicale  una colonna sonora punk, dove la ribellione si trasforma in libertà e dove i rancori della post adolescenza si intromettono per dare vita ad un’impresa che parte proprio dalla conoscenza del proprio essere, parte proprio da un lavoro in simbiosi che mescola illustrazioni spontanee e aggressive con leggere malinconie vintage, grazie ad un uso del colore veramente importante capace di fare da collante all’acquarello di fondo che lascia spazio vitale alle matite, al segno nervoso; Stanley Donwood degli esordi alle prese con il proprio Stand by me: memorabile ricerca del diventare adulti attraverso un tuffo a pieni polmoni nell’acqua della poesia illustrata, luogo di origine, luogo di vita.

Un fiume tra le rocce e la resistenza dei giovani rimasti nell’occupare ciò che resta della propria terra, una resistenza moderna, non bellicosa, una resistenza di spirito, espressa e coinvolgente che in parte si respira in questa nuova fatica targata Eris Edizioni, un rappresentare la vita attraverso i tumulti, i clamori  e abbandonando il chiasso di ogni giorno; due eroine solitarie alle prese con la propria via, quella stessa via che per altri è monotonia qui si trasforma in ballata punk emozionale da respirare e trattenere fino al prossimo viaggio da qui al primo punto fermo che forse chiameremo casa.

Per info e per acquistare il fumetto:

http://www.erisedizioni.org/tumulto.html

Oppure qui:

Flaco Punx – Coleotteri (RocketMan Records)

Flaco Punx, Coleotteri

Flaco, mente perversa dei Punkreas, storica band punk italiana, si getta nel solitario solista, attraverso una manciata di brani sputati al suolo e in grado di squarciare a freddo le budella, brani diretti e senza fronzoli, carichi di quell’appeal che si escogita nel momento e lascia a terra ogni sostanza inutile, per un disco che attraversa la miriade di fasi del nostro italico underground divenuto per l’occasione un capolavoro dentro al capolavoro, un disco contro la società malata e portatrice di disuguaglianze oggi come non mai e il nostro Flaco Punx lo sa bene, conosce bene la strada da percorrere per arrivare al nocciolo della questione grazie ad una scrittura talvolta lucida talvolta visionaria, ma sempre ben ancorata alla realtà, tra incomprensioni e desiderio di fare qualcosa per il nostro futuro, sempre con un piglio di protesta, sempre con quella carica che lo contraddistingue, incurante delle mode e a testa sempre alta il nostro snocciola pezzi come Codice Rosso, Bubblegum, Zona d’influenza o Testata nucleare che sono e rimangono capisaldi di questo progetto, in direzione ostinata e contraria, con volontà di abbattere ogni barriera precostituita.

Pyjamarama – Fuoco di sbarramento (Autoproduzione)

Il ritorno presente per un suono passato che intasca la prova del tempo e si concede un piccolo ep di cinque canzoni, dove le ceneri dei Melt, guidate dal cantastorie punk Teo e dal batterista Diego si mescolano ai rif chitarristici di Pol, per un appeal che è pura e diretta continuazione con ciò che è stato in racconti amorosi consumati, quasi in modo anacronistico, fuori dal tempo, un bisogno mai sazio di gridare la propria appartenenza, il proprio bisogno di stare al mondo, attraverso chitarre spaventosamente distorte e power chord all’ennesima potenza in grado di attivare dinamiche sempre e comunque apprezzabili per un io che scava nelle viscere e affronta la realtà in modo quasi simbiotico, con approccio verista e anticonformista, in modo critico e in parte analitico, alla ricerca speranzosa che prima o poi qualcosa possa cambiare all’orizzonte; ne sono a testimonianza di questo, i pezzi che trovano in l’apripista Piazza Syntagma un punto di svolta con il passato fino a quella Pioggia Acida, nel finale, che sembra quasi servire da monito per ciò che ci sta succedendo attorno: un disco, per i vicentini Pyjamarama, che suona conforme al loro essere schierati, laggiù oltre le barricate.

Stalker – Hai più di un’ombra (Autoproduzione)

Canzoni al fulmicotone che affrontano la realtà in modo aggressivo e dirompente, trascinando urla corali in refrain dal sapore d’altri tempi che si affacciano nell’intersezione degli anni ’90 a cavallo con il 2000 per un suono che risulta essere fresco e moderno, un misto tra punk e rock oltre le aspettative e apparentemente legato, con un filo sottile, alle soluzioni moderne e nel contempo vintage, spudorate e inoltrate allo stoner rock di gruppi come QOTSE e alla scena americana in un’evoluzione ben precisa e combinata, un’evoluzione concentrica e sospesa che permette di assaporare al meglio l’importanza della proposta senza chiedersi troppo, senza chiedere nulla al futuro, dalla title track Hai più di un’ombra, convincendo con pezzi come Seduzione incontrollata, Porno e Amarcord, apprezzando il cantato in italiano e tirando in ballo band del calibro dei Ministri, ma virati ad un lato meno commerciale e direi più sostanzioso.

I nostri Stalker confezionano una bella prova impattante, granitica e dai forti contenuti, in grado di sbaragliare facilmente la concorrenza ed esprimendo al meglio una passione per un’evoluzione mista al passato che non aspetta altro che essere compresa e assaporata fino all’ultima goccia.

Jesus Franco & The drogas – Damage Reduction (Bloody Sound Fucktory)

Garage punk che strizza l’occhio ad un rock in evoluzione, vibrato, atteso e ricercato, sprezzante delle apparenze e intento a consegnare un vinile di quattro tracce, un ep dai toni cupi e incrostati di certezze, per mutazioni caleidoscopiche elettrizzanti, con distorsioni aperte a dismisura per rendere istantaneo e immediato un album  che si distingue per efficacia e naturalezza, quasi live.

Dieci anni di attività e per festeggiare questi quattro brani che racchiudono la strada percorsa e i passi affiancati all’evoluzione, un sostegno ideale per affermare ancora una volta la potenza di questa band che dopo un anno mezzo di distanza da Alien Peyote, divora la scena grazie a storie surreali, ambientate in uno sconfinato deserto americano/messicano tra Dead Kennedys e Tom Verlaine con i suoi Television: anfratti musicali mastodontici eppure compiuti e riusciti.

Una band che ha saputo raccogliere l’eredità del tempo per consegnarla in modo brillante al futuro che verrà, lasciando da parte tutti gli orpelli immaginabili, rimarcando la scena con una prova di impatto e di sicuro effetto, una manciata di tracce per viaggi onirici e infernali.

Matrioska – Occhi Mossi (Maninalto!)

Festeggiare venti anni di attività non è da tutti, soprattutto se parliamo del contesto nazionale, soprattutto se parliamo di un’Italia così eterogenea come non mai, sia nel mondo musicale che in tutte le arti possibili e conosciute.

Sarà evoluzione, sarà un movimento che ci spinge ad essere sempre rinnovabili certo che averne di gruppi come i Matrioska che dopo questo enorme lasso di tempo, sanno ancora raccontare con energia e in modo diretto i contesti della vita che li inglobano e li fanno diventare essi stessi materie in grado di restituire al punk e al rock spruzzato di ska, la giusta dignità, in un modo del tutto naturale, da chi, in questo lavoro, ne ha maturato l’esperienza.

Occhi mossi è ciò che non ha forma, ma è anche e soprattutto una realtà che si nasconde, che ha passato troppo tempo al buio e che ora inesorabile compie il proprio destino, in una fame di ricerca diretta che commuove fino al midollo e dà speranza in un mondo dove la speranza non esiste.

Il singolo Luca è respiro ad occhi aperti, quell’andare e venire sospeso, in un’eterna gioventù che ritorna, essere nati nel 1996 e sentirsi ancora vivi e reali, così freschi per un compleanno che non è un arrivo, ma spero eterna partenza.

Il terzo istante – La fine giustifica i mezzi (Autoproduzione)

Alternative rock in trio direttamente da Torino che apprende la lezione del tempo per rendere in modo egregio ed essenziale un affresco di questa società fatte di sogni infranti e accomunata dall’idea di fine, qui intesa come parte costruttiva del nostro vivere; i nostri ci dicono che noi abbiamo paura di qualcosa, abbiamo paura che qualcosa finisca, senza magari pensare al presente, al vivere di ogni giorno, noi essere umani ci preoccupiamo di cosa ci sarà un domani senza lottare oggi, in questo momento, senza vivere appieno le occasioni che la vita ci porta.

E’ un disco che si fa ascoltare questo e che sa costruire attorno a un disagio un vero e proprio concept su di un costrutto inusuale senza dimenticare le apparizioni di Paolo Parpaglione dei Bluebeaters degli Africa Unite al sax in Il blues del latto versato e Lucido e la voce di Sabino Pace già nei Belli cosi e Titor, nel pezzo Fenice,  un brano tiratissimo e coinvolgente tra venature hardcore e introspezione che ci richiede ascolto e attenzione in un sol fiato.

La fine giustifica i mezzi rilancia notevolmente la qualità della proposta e confeziona un disco che sa di anni ’90, di muri da abbattere e di periferie solitarie, dove ai margini c’è sempre qualcuno che vuole gridare al mondo la propria esistenza.

Tadca Records – Musical Circus (Tadca Records)

Una compilation indie fino al midollo di quelle che vorresti ce ne fossero di più in giro, di quelle sentite e ragionate che danno spazio ai fermenti musicali di una scena underground, quella di Cuneo per l’occasione, che valorizza, grazie alla Tadca Records, un sostanziale gruppo di band che fin dal principio non si pongono di guadagnare con la propria musica, ma hanno l’obiettivo primario si socializzare, creare rete e trame capaci di dare speranza, valore e dignità al nuovo che avanza.

Un’etichetta punk e non solo, attenta alle avanguardie e alla musica composta di getto, priva di vincoli formali, in un’accezione notevole che si fa connubio tra improvvisazione e un essere se stessi, uno stato primordiale di musica che non ha nulla da perdere e focalizza la propria attenzione più sul contenuto che sulla facciata esteriore, in una continua ricerca di rapporti da instaurare, mantenere e far crescere.

Un pezzo di carta che mi arriva in allegato, scritto a mano, lontano dai comunicati stampa prestampati, un pezzo di carta scritto con il cuore, personale e sentito, il senso di un progetto racchiuso in una facciata a penna, sembra quasi di fare un salto di trent’anni indietro alla riscoperta del vero indie, ma il mio stupore dopo tutto questo sta nel dire che   il vero indie ce l’ho ora tra le mani, lo sto ascoltando adesso, tanto di cappello quindi.