Forsqueak – FSK (Almendra Music)

Sperimentali e asimmetrici parlano di geometrie crepuscolari che intessono trame e composizioni strumentali capaci di sfiorare la pelle e scendere giù fino alla milza, passando per il cuore, in un connubio ben ponderato tra melodia, ricercatezza e straordinaria capacità malleabile di creare dal nulla una potenza sonora che si fa sostanza attraverso l’ombra di questi nove brani. Il nuovo disco dei Forsquek accende la miccia dell’improvvisazione e lo fa attraverso le strade del jazz, del prog e del rock distorto in un preponderanza d’intenti che viene annoverata e rincara la dose da Batway fino a Hamster passando per capolavori in bilico come Kim ki duk o Kitalpha con la leggera, ma essenziale consapevolezza di essere davanti ad una band che fa del sogno una sostanza materica da incidere su disco e che grazie a tocchi di math e avant-jazz riesce nell’intento di trasformare una jam session in un qualcosa di più approfondito, elegante e di sicura grandezza e interezza finale.

Bug – O’Brien Shape (Autoproduzione)

Suoni che escono da una scatola oscura e si infilano attraverso un cordone che lega il passato al presente, sperimentando sonorità che ammaliano per completezza, ma anche per stratificazione ricordando per certi versi i suoni degli anni ’70 capaci di intrecciarsi a quelli più moderni degli anni ’90 tra il prog, il nu metal, il funk e il grunge in sodalizi ammirevoli capaci di dare vita ad una sorta di concept album sullo sgretolarsi dell’uomo moderno. I Bug sono una band di Varese, una gruppo che suona assieme da poco tempo, ma che in questo caso dimostra, attraverso il primo EP, una sorta di unione mistica capace di ripercorrere esigenze che si stagliano oltre i pre-concetti in nome di un qualcosa di strutturato e che colpisce per passione d’intenti.  Sei sono le tracce e sei, molto probabilmente, sarebbero le volte necessarie per riascoltare l’intera produzione per carpirne il progetto nella sua interezza. Le canzoni non entrano subito in testa e questo badate, è un bene, questi pezzi sono sprazzi di ingegno che ottengono lo sperato proprio quando pensavamo di aver perso tutte le speranze in un cerchio continuo atto ad implementare un bisogno di suonare che va oltre l’album in sé, ma si fa primo capitolo essenziale, spero, di una lunga storia.

Pietro Foresti’s Compilation – Apocalypse Rock Party (VREC)

Compilation preziosa che raccoglie il frutto delle espressioni artistiche più intense dell’ultimo periodo del musicista e produttore Pietro Foresti, un insieme eterogeneo di gruppi passati sotto il suo karma produttivo e qui raccolti in una compilation edita da VREC che acquisisce valore e simultaneità con composizioni importanti di nomi già recensiti su Indiepercui, dai Down to ground, passando per Rhumornero, Labstone, Uncledog e via via fino a Endless Harmony e Odd-Rey. Un lavoro che nel complesso risulta essere ben eseguito e sovrapposto al concetto stesso di musica in sodalizi di genere che spaziano profondamente e rendono l’intero album godibile e soprattutto capace di dare un panorama convincente del tutto, quasi fosse un piccolo testamento, una fotografia di questo tempo passato.

Fago – Allotropo (Autoproduzione)

Incanalare lo spazio negli abissi della nostra anima, contorcendo suoni e parole d’espressione, potenza assoluta contro il nulla in un viaggio nel buio più totale e incatenante, un viaggio in perenne stato di allucinazione dove lo screamo incrocia il metal e la pesantezza luccicante che ci porta a vedere una nuova luce oltre l’oscurità, oltre il tutto, oltre il vuoto. Quella dei vicentini Fago è una prova piena di atmosfere e di sensazioni legate alla sostanza che si trasforma dentro di noi, senza lasciarci respirare, contando i passi fino alla prossima boccata d’aria e intingendo convinzioni in qualcosa che forse mai più accadrà. La band di Vicenza estrapola dal cilindro un disco composito e non lineare fatto di sogni infranti e frammenti di terra che esplodono al suolo senza un domani, come se tutto quello che eravamo sicuri di avere, da un momento all’altro ci fosse stato portato via, per sempre.

Doris – Doris (Autoproduzione)

L'immagine può contenere: fiore, pianta e spazio all'aperto

Suoni in divenire che producono un rock sospirato e sospinto capace di affilare le lame attraverso arpeggi cosmici in grado di dare un senso a questa breve produzione di sostanza. I Doris, band post rock di Taranto, ingabbia la potenza espressiva in codici fruibili e di significato e produce l’effetto farfalla ingaggiando una prova con il tempo che abbiamo dinnanzi lo fa in modo ispirato e in direzione contraria, lo fa con riverberi che coprono l’arco totale dei pezzi presenti come arcobaleni in grado di dipingere i sogni più nascosti dentro di noi. Quello che ne esce è un album di quattro tracce davvero importante, una piccola summa di un pensiero che a mio avviso darà le giuste soddisfazioni e imprimerà con forza la giusta passione e il giusto pathos emotivo ad una band che ha ancora notevoli carte da giocare sul tavolo della vita.

Droning Maud – Beautiful Mistakes (I dischi del minollo)

Droning Maud

E’ la paura che ci assale e ci porta imperiosa a scoprire le parti più nascoste di noi, all’interno di buie caverne dove una dolce melodia culla le anime solitarie in gesti di affetto e senso onirico che avanza. Un disco completo e quasi etereo che abbraccia i suoni siderali del nord Europa incamerando la lezione del rock americano degli anni ’90 con stile e precisione, con passione che si evince e viene ben distribuita in contesti di solitudine che si amplificano e lasciano il posto a sferzate elettriche che non passano di certo in secondo piano, ma piuttosto intensificano le pressioni con l’esterno fino a farti entrare in una nuova dimensione ricca di pathos e atmosfera, una musica che ricerca testualmente gli errori bellissimi della nostra quotidianità, gli errori che ci appartengono e ci rinfrancano per arrangiamenti che valorizzano una voce importante in primo piano a sviscerarci dal di dentro. Le otto tracce che compongono l’album si muovono bene tra i parallelismi inevitabili con la nostra società e lasciano che la mente dell’ascoltatore entri in un incanto/disincanto infinito.

Il branco – Non fate caso al sorriso (LDM)

album Non fate caso al sorriso - Il Branco

Suoni che si divincolano in sintetizzatori in primo piano che intessono melodie cantabili e capaci di penetrare la carne e rimanere lì sospese tra l’odio e l’amore in cerca di una via da seguire per sostenere esistenze al limite e qui cantate per ricordare da dove proveniamo e dove vogliamo andare, dando un senso maggiore alla canzone pop rispetto al punk cantautorale degli inizi e segnando un confine malleabile tra passato e presente. Una produzione più curata certo, rispetto alla precedente che sospinge la band alzando il tiro, marcando il territorio in formule già sentite si, ma sempre in grado di trasmettere un’energia innovativa capace di aprirsi a nuovi sviluppi grazie a tormentoni come Via Boncompagni o Ultimo appello fino a quella Canzone che nel finale chiude il disco e riappacifica in parte gli animi, tra l’illusione e la realtà in un mondo onirico in perenne decadenza.  Il branco è tornato raccontando storie di periferia che ci riguardano da vicino, riappropriandosi di spazi perduti e alla ricerca di nuova terra da poter coltivare, Il Branco è tornato: aprite i cancelli della vostra malata quotidianità.

Palinurus Elephas – Fame di niente (Autoproduzione)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Giovani alle prese con il proprio scavare dentro per rilasciare pian piano una musica fatta di sogni e di speranze, improntata su di un indie rock che amplifica aspirazioni e volontà di costruire qualcosa di innovativo partendo dalle soggettività, dall’essere parte di un qualcosa che in queste otto tracce di annientamento cerca di trovare un proprio mondo, una propria via costruita ad arte e rilasciata pian piano per dare un senso diverso a tutto ciò che li circonda. Sono in quattro, provengono dall’Oltrepò pavese, si chiamano come gli antichi definivano l’aragosta mediterranea anche se abitano ai piedi delle montagne, fanno un indie rock genuino spruzzato dalle mode del momento stabilendo, attraverso testi  mai banali, una costruzione di forma canzone che si apre con Testa bassa e finisce con Secondo cervello, parlando di piante, di dio e di creazione, di mondi da comprendere, da allargare, trasformando tutto ciò che è banale in un qualcosa di necessario di cui nutrirsi, quasi fosse un respiro a cui non possiamo rinunciare.

Luoghi Comuni – Blu (Phonarchia)

Suoni anni ’70 che riproducono con stile originale una perfezione quasi lisergica che contribuisce a creare in noi una sostanza dal forte impatto emozionale e interagiscono con una modernità di fondo che esplode in testi onirici, spiazzanti e nel contempo pronti a rispolverare un tempo andato, tra l’utilizzo sapiente di un cantautorato old style e l’intreccio degno di nota di una musica che attinge la propria sostanza vitale da un’epoca che non c’è più. Bello l’approccio corale, bella l’energia di fondo che trasforma con potenza mai gridata un cielo da blu in grigio e poi in nero in un cambiamento tangibile e reale, tra testi introspettivi e paura di vivere, tra eroi solitari che combattono contro i mulini a vento del nostro intelletto, attingendo la propria forza dalle esperienze; notevole l’apertura di Vinavyl e di Blu per poi proseguire con le riuscite Tra noi due o la finale Aurora, per un album altamente contagioso, che rispolvera, proiettandolo ai giorni nostri, un genere che non esiste più o che perlomeno esiste ancora nei nostri sogni.

Okland – Okland Ep (Autoproduzione)

L'immagine può contenere: una o più persone, persone in piedi e sMS

Elettronica da Torino che non si stanca di percorrere territori poco battuti in nome di un salto nel vuoto pronto ad accogliere una sostanza sonora che rinvigorisce e ci rende partecipi di una bellezza ridondante da cogliere nell’attimo, prima del balzo, in un EP fatto di quattro canzoni che incrociano l’alternative house all’avant pop dei giorni nostri in un modo di comunicare che intreccia l’umanità all’artificiale, l’elettrico in contrapposizione all’acustico in pezzi d’insieme che creano un’amalgama davvero convincente e sfrutta opinioni condivise per sfondare porte aperte e stringere il futuro tra le mani in sodalizi che vanno ben oltre le apparenze e si ritrovano con pezzi che portano con sé puro gusto di anteporre desideri al risultato finale. Quello che ne esce è un disco che racconta in modo simbolico le problematiche dell’uomo moderno, le percepisci quasi come metallo tangibile, cullati da una sinfonia proveniente da un mondo lontano e pronta a colpire attraverso i beat della nostra coscienza.