Luoghi Comuni – Blu (Phonarchia)

Suoni anni ’70 che riproducono con stile originale una perfezione quasi lisergica che contribuisce a creare in noi una sostanza dal forte impatto emozionale e interagiscono con una modernità di fondo che esplode in testi onirici, spiazzanti e nel contempo pronti a rispolverare un tempo andato, tra l’utilizzo sapiente di un cantautorato old style e l’intreccio degno di nota di una musica che attinge la propria sostanza vitale da un’epoca che non c’è più. Bello l’approccio corale, bella l’energia di fondo che trasforma con potenza mai gridata un cielo da blu in grigio e poi in nero in un cambiamento tangibile e reale, tra testi introspettivi e paura di vivere, tra eroi solitari che combattono contro i mulini a vento del nostro intelletto, attingendo la propria forza dalle esperienze; notevole l’apertura di Vinavyl e di Blu per poi proseguire con le riuscite Tra noi due o la finale Aurora, per un album altamente contagioso, che rispolvera, proiettandolo ai giorni nostri, un genere che non esiste più o che perlomeno esiste ancora nei nostri sogni.

Luoghi Comuni – Chi ben comincia (Phonarchia Dischi)

Sbattere la realtà in faccia, la realtà che ci opprime renderla tale solo ascoltando delle note, lasciando tutto indietro alle nostre spalle e scaraventarci in un mondo, il nostro, che ci vede compiacere di prodotti materiali effimeri che via via si esauriscono come la materia di cui sono fatti.

I luoghi comuni raccontano i sogni spezzati di ognuno di noi, lo fanno raccogliendo le voci di una generazione e lo fanno anche bene, mescolando la musica “moderna” post cantautorato anni zero con una commistione di generi che abbraccia il brit pop ben riuscito e trasportandolo in una dimensione tutta italiana che ricorda gli Zen Circus degli esordi.

Un pop rock aggressivo che ammicca alla sostanza, che vuole raggiungere una conquista personale, un gesto che scende a compromessi, sfiorando Ministri e facendo della schiettezza un punto di forza su cui basarsi per le produzioni future.

Lisa, L’alternativa e poi Alzati passando per Il ballo di San Vito interpretata con alto trasporto finendo con a Metà dell’opera , quasi a sancire una forma di esigenza nel continuare il cammino intrapreso, nel farsi portatori di un qualcosa che al momento è ancora incompiuto.

Bel disco che arriva diritto al sodo, abbandonando i fronzoli e ridando vita ad un genere, ad uno stile che ha bisogno di una vitalità intrinseca per essere continuamente parte vitale di ognuno di Noi.