Il reparto psichiatrico – Qualcosa più di niente (Autoproduzione)

Disco d’esordio per una band strampalata che fa del citazionismo un’insegna da espandere come bandiera all’interno delle nostre menti, incamerando un rock che si affaccia alla canzone d’autore decostruita a dovere e mossa dall’intento di dare da vita e voce forse, a chi tutto questo non ha. Già dal nome della band si può evincere la particolarità della proposta, sostenuta da un rimando quasi sempre esplicito, nei titoli e nei testi delle canzoni, a personaggi di un mondo onirico, fantastico, da Laputa di Miyazaki, fino a Moby Dick, passando per il Mago di Oz, senza dimenticare gli Humpty Dumpty di Alice attraverso lo specchio e in un certo qual modo un mondo infantile che si affaccia all’età adulta in modo improvviso, ma allo stesso tempo luccicante. Il reparto psichiatrico con quel Qualcosa più di niente si dimostra essere una band dal forte carattere e connotata da un impattante desiderio di raccontare e raccontarsi attraverso parabole che ci riguardano da vicino e osano fino a comprendere ciò che è nascosto dietro alle apparenze di ogni giorno. Un mondo strutturato e variopinto mosso dalla psichedelia dell’attimo appena fuggito.

Unreal city – Frammenti Notturni (AMS Records)

Città che non esistono, città contornanti la notte velata di nero contendendosi le ultime luci del giorno per bagnare il tramonto con il fuoco della sera. La città dorme e sotto c’è nascosto qualcosa, qualcosa che non conosciamo e a cui non sappiamo dare un nome, ma rappresenta la parte più oscura di noi, la parte che da tempo sentiamo il bisogno di abbandonare, ma allo stesso modo quella parte ci attira, ci ammalia, si ciba di noi. Frammenti notturni è un concept calibrato a dovere che ripercorre senza se e senza ma il grande periodo del prog italiano, un disco quasi anacronistico ai giorni nostri, ma sicuramente così ben strutturato da apparire moderno e mai stancante, anzi si prefigge, senza sosta e ripensamenti di far da tramite e veicolo per il buio che risiede dentro di noi. Gli Unreal City intascano una prova davvero miracolosa, una prova cupa e oscura, fatta di pezzi strumentali come le due parti d’apertura che lasciano il posto ad un cantato in cui l’urbanizzazione e la potenza devastante del cemento e della sua conseguenza naturale e cioè l’alienazione, sono riferimenti e temi essenziali per comprendere la poetica intrisa di significati di questa band. Al terzo disco i nostri si proiettano lungo una circolare esemplificazione del tutto, stratificando a dovere i contenuti e imbrigliando di luce le ultime ore della notte.

C’esco e i musicanti di Brahma – Mutazione/Profondità in superficie (Autoproduzione)

Parallelismi utopici che segnano il confine già dalla copertina trasfigurata e in mutazione, un passaggio essenziale per comprendere all’unisono una musica quasi orchestrale e fatta di entità sospinte a ricreare quel bisogno di trasformazione che non si sofferma ad un genere preciso, ma piuttosto è comprovata eleganza pronta a misurarsi con la canzone d’autore italiana. Mutazione/Profondità in superficie è un disco che vuole raccontare e raccontarsi attraverso un uso sapiente delle parole, brani che si trasformano in poesie e rendono gli arrangiamenti punto prezioso da cui partire per dare una maggiore scorrevolezza al tutto, grazie all’utilizzo degli strumenti più disparati, soprattutto di origine folk come il violino, l’ukulele e il banjo e grazie anche a parole che parlano di una velata quotidianità a volte sottintesa, quasi criptica, ma sempre pronta ad esplodere nei momenti più opportuni. Nove pezzi che lasciano all’apertura Macchia di rosa l’incipit potente che affonda poi in pezzi più leggeri, ma strutturati, come Timore d’amore e Orbitante passando per Credo nell’uomo e il finale lasciato a Un discorso sospeso quasi a ricordare che il messaggio lanciato dal gruppo è importante, profondo, ma comprensibile da tutti, per questo superficiale: in una banalità dilagante i nostri parlano, in modo poetico, di ciò che ci circonda ogni giorno.

Granada – Silence gets louder (Autoproduzione)

Quello dei Granada è un suono che proviene da lontano, è un suono glaciale che si interrompe con visioni di new wave ad accarezzare poesie musicali che rendono l’atmosfera in divenire continuo ad accennare sprazzi di luce dove la luce sembra non accoglierci in parallelismi con quello che è stato e quello che deve ancora succedere. I Granada sono una band romana che in questo disco Silence gets louder riesce a ricomporre una smisurata capacità di pensiero oltre le aspettative, utilizzando un comparto musicale davvero notevole e consegnando agli ascoltatori nove tracce che si muovono gran bene tra le sonorità di Editors e Interpol in scosse elettriche ben mixate tra di loro che rendono questo disco un piacere per le orecchie tanto da sembrare un’amalgama, un flusso continuo che porta con sé un indelebile sapore internazionale. La title track è apripista strumentale capace di veicolare la conoscenza della materia sonora in tutte le sue sfaccettature fino a ricomporre un quadro d’insieme che nel finale I can take care of you dona un’oscura speranza di vita per canzoni che non sono poesie fini a se stesse, ma piuttosto incorporano un bisogno, un’urgenza di uscire allo scoperto mostrandoci, velatamente, le nostre introspettive nudità.

Okland – Okland Ep (Autoproduzione)

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Elettronica da Torino che non si stanca di percorrere territori poco battuti in nome di un salto nel vuoto pronto ad accogliere una sostanza sonora che rinvigorisce e ci rende partecipi di una bellezza ridondante da cogliere nell’attimo, prima del balzo, in un EP fatto di quattro canzoni che incrociano l’alternative house all’avant pop dei giorni nostri in un modo di comunicare che intreccia l’umanità all’artificiale, l’elettrico in contrapposizione all’acustico in pezzi d’insieme che creano un’amalgama davvero convincente e sfrutta opinioni condivise per sfondare porte aperte e stringere il futuro tra le mani in sodalizi che vanno ben oltre le apparenze e si ritrovano con pezzi che portano con sé puro gusto di anteporre desideri al risultato finale. Quello che ne esce è un disco che racconta in modo simbolico le problematiche dell’uomo moderno, le percepisci quasi come metallo tangibile, cullati da una sinfonia proveniente da un mondo lontano e pronta a colpire attraverso i beat della nostra coscienza.

Fabio Cinti – Forze Elastiche (MARVIS LabL)

fabiocinti-forzeelastiche

Forze elastiche è una prova che si affaccia sul mondo, è il sapore del lontano mirare un’attrazione verso un qualcosa di ingovernabile, ma allo stesso tempo vicino, strutturato e contestualizzato in una realtà grigia e plastica dove le correnti ascensionali mirano inevitabilmente all’alto e dove i substrati di coscienza intercorrono qua e là disegnando fiumi di parole in attimi musicali che si fanno intermezzi programmati e studiati, a ridare apertura mentale ad un’opera che ha il sapore anacronistico dei grandi album del passato, di quelle pietre miliari che si ascoltano attentamente e permettono di entrare nelle armoniche stanze esplorative per ogni spazio di vita vissuta, per ogni frammento di grigia fotografia rivisitata ad arte, regalando emozioni incontestabili e pure, grazie anche alla presenza di Paolo Benvegnù in veste di produttore artistico dell’intero album e grazie anche alle preziose collaborazioni, in brani raffinati e concentrici, di Nada, The Niro, Alessandro Grazian, Irene Ghiotto, Massimo Martellotta, Carlo Carcano, Giovanna Famulari, Matteo Panetta per un disco che affascina già con l’apertura Io Milano di te per passare a canzoni che fanno da contrappunti introspettivi ricordando il Battiato migliore in La gente che mente per scendere giù in un vortice legato ai ricordi: un estroso approccio brano/intermezzo che si lega con il vissuto e la comunicabilità metodica che Fabio vuole consegnare agli ascoltatori lasciando al gran finale sussurrato, registrato al Teatro Civico di Schio, in provincia di Vicenza, la consapevolezza di comprendere quegli spazi infiniti di luce su di un palco chiamato universo.

Fùrnari – Abusivi sognatori (Terre Sommerse)

Furnari

Il mondo di Furnari è un mondo da scoprire, pieno di immagini oniriche che affacciano i pensieri al cielo di Magritte, in evoluzioni cantautorali moderne mescolate all’elettronica dimessa, che non entra di prepotenza, ma aiuta, come coadiuvante, nell’intento di ricreare una maglia sognante di belle intenzioni che preannunciano testi pindarici ed espressivi, non troppo macchinosi, ma semplici e diretti, dove l’introspezione lascia spazio, il più delle volte, ad un’esternazione importante di stati d’animo e racconti di vita, pezzi che vibrano e scaldano, canzoni che sono la summa di un percorso artistico che raccoglie l’eredità del passato, raccoglie i migliori frutti di un mondo lontano, per farceli assaporare in pezzi come l’iniziale Sopravvissuti, Chimere, Siamo Meteore, Pellicole e l’essenziale I segreti di Settembre, un disco che guarda lo spazio e si ferma oltre, sogna e rende realtà una dimensione acustica amplificata, lassù dove tutto è oscuro, lassù dove il suono non esiste, ma la sostanza è materia che rimane nel tempo.

Un album che delicatamente mescola la musica d’autore con i suoni più moderni intascando le esigenze del momento e ricreandole fuori da ogni logica precostituita.