Lucio Leoni – Loremipsum (Lapidarie incisioni)

Lucio Leoni prosegue la sua ricerca verso le parole suone cercando di creare e narrare con teatralità racconti di vita e pensieri più o meno filosofici che si stagliano da manuale in recisi fiori d’autunno che lasciano il tempo al sole che verrà.

Il romano cantautore e musicista cesella una prova di tensione nelle parole, un mistero racchiuso nello scrigno della mente dove la sostanza in divenire è succube del cammino dentro ad ognuno di Noi e calpestando l’erba della ragione ci troviamo a correre lungo i prati della nostra memoria, nel disordine precostituito e così voluto, fino ad arrivare all’idea di distruzione, l’idea dominante racchiusa nel caos di tutti i giorni che si fa luce.

Ecco allora che questo disco vuole mettere ordine nel disordine, vuole cercare di dare un senso al cammino o soltanto chiedersi se così possiamo permetterci ancora di andare avanti?

 Ai posteri l’ardua sentenza; resta il fatto che questo disco sa osare eccome, si osa fino a tal punto da trasformare la realtà in fantasia, la realtà in qualsivoglia forma di originalità priva di dimensione, ma benevolmente ricca di sostanza in questo eterno peregrinare.

Gianluca Mondo – Malamore (ControRecords)

A solo un anno da Petali torna il cantautore torinese con un disco che mi ha lasciato come il gatto sul retro di copertina: non sbadigliante, ma a bocca aperta.

Una voce in primo piano da Leonard Cohen del passato che vestito per l’occasione si lascia divagare su chitarre blues accompagnate da altre, disturbate, in secondo piano, quasi un Canali d’annata che ricopre di tappeti misteriosi un leggiadro cantastorie.

Gianluca racconta la tristezza, racconta gli ultimi e lo fa con un vocabolario del tutto stravagante e da un punto di vista eccezionale, è un racconta storie che si fa facilmente ascoltare grazie a quella capacità intrinseca di succedersi e far succedere eventi, snocciolando aneddoti e un qualcosa che apparentemente sembra sconnesso, ma al proprio interno racchiude una grazia di immacolata bellezza.

Pubblicato dalla ControRecords di Davide Tosches il disco parla delle numerose sfaccettature dell’amore, non lo fa con cori da stadio o frasi ammiccanti, lo fa con la purezza e allo stesso tempo con la durezza del momento, con l’interrompersi del quieto vivere che lo porta a creare geometrie che parlano di vite in bilico, di esistenza vissuta in primo piano, senza stancarsi di sentirsi sbagliati, con un contatto indissolubile con la terra che lo circonda.

Le chitarre di Carlo Marrone sono quanto mai azzeccate; in viaggio, un viaggio che parte con la bellissima Malamore sta con te con quel La La La beffardo nei confronti del mainstream, riportando ancora una volta tutto a casa, lasciando i sogni ai sognatori e vivendo il giorno intensamente.

Un disco ricco di immagini, un album di quelli che ne avresti sempre più bisogno ai giorni nostri, fuori dal tempo e sicuramente fuori dal coro, in una condivisione di intenti che guarda oltre in quotidiano vivere.

Alessandro Orlando Graziano – Onironautica (Paradigma Music)

Quello di Alessandro Orlando Graziano è un disco che denota la propria capacità stilistica fin da subito perché riesce a condire un raffinato raro caso di cantautorato con un’elettronica studiata fin nei minimi particolari, un’occasione per distinguersi e cercare nuove vie d’uscita per un cantastorie che conosce alla perfezione la poesia e sa incastrare testi e musica, morte e vita in un sodalizio enigmatico quanto puro.

Alessandro non ha bisogno di molte presentazioni: nel 2003 riceve il premio De André nella sua prima edizione, nel 2007 è ideatore e produttore di Aeroplani ed angeli, ultimo disco di Carla Boni e nel 2014 è coinvolto da Antonella Ruggiero al Festival di Sanremo per la collaborazione artistica del pezzo “Da lontano”.

Riferimenti quindi precisi che fanno del cantautore un punto nevralgico di idee e sostanza, sostanza raccontata in questa ultima fatica Onironautica.

Il titolo del disco è l’esperienza onirica vissuta, il sogno lucido che si fa ricordare, l’essere vivi sognando, un mondo parallelo e talvolta inconfessabile che ci cattura e permette alle nostre idee di fondersi con un qualcosa di più importante e più reale.

Nell’album ci sono richiami all’Oriente, all’amore lontano, passando per Albero Sordi e al nostalgico ‘900; strumenti classici che si conturbano all’elettronica, generando una new wave molto personale e contaminata per finire con la sorpresa di Tripoli, coautore di Giuni Russo, che collabora alla stesura di Giardino d’inverno.

Un disco pieno nel vero senso del termine, un disco che sa emozionare fin dal primo ascolto e segna la continua strada e la continua ricerca di una persona prima di tutto che ha fatto della propria arte un vero stile di vita, tralasciando il superfluo e regalando pagine per i ricordi futuri.

Zivago – Lo Specchio (I Dischi del Minollo)

phpThumb_generated_thumbnailjpg

Gli avevamo lasciati con l’Ep Franco di qualche tempo fa e ora il duo milanese, composto da Lorenzo Parisini e Andrea Zonescuti, ci regala una prova di coraggio che abbandona per certi versi i territori esplorati con il precedente album per confezionare una fatica raffinata e di certo non banale capace di partorire sogni ad occhi aperti e farti entrare proprio dentro a quella fiaba che è la vita, dalla porta principale.

I racconti degli Zivago però non sempre hanno un lieto fine, si soffermano anche sul lato oscuro di ognuno di Noi, dando al disco quel sapore di compiutezza e capacità alternativa di attingere alla cultura popolare alcuni riferimenti necessari, catturando l’attenzione di chi ascolta per poi rimescolare le carte con elementi meno conosciuti, più introspettivi, che entrano però di prepotenza in un contesto da analizzare.

Musicalmente ci si approccia al cantautorato italiano condito da un’elettronica elegante e sempre ben calibrata, incentrata non sull’enfasi, ma sul giusto esserci senza stonare, un disco che con raffinatezza racconta gli innumerevoli specchi rotti che infrangiamo vivendo, di quel sangue che scorrendo fa paura, ma nello stesso tempo fa parte di noi; è elemento essenziale per renderci vivi.

Nove tracce, tra cui La gatta di Paoli, qui migliore dell’originale, in un sali scendi emozionale che si ricorda, dando al cantautorato italiano una speranza sempre più vera di ritornare con prepotenza ai giorni migliori, quando le canzoni meritavano di essere cantate perché acquistavano un senso diverso per ognuno di noi.

Pasquale Demis Posadinu – S/t (Desvelos)

Cantautore atipico sardo che estrapola la tradizione e la proietta nei nostri anni, aggiungendo un’elettronica che concilia e riempie, un utilizzo cospicuo di sintetizzatori che si innestano immancabilmente in testi che parlano di Noi, che parlano delle nostre speranze e aspettative, che parlano dei giorni che prima o poi cambieranno.

Il colore del mare a farla da padrone, si perché i testi sono delicati, ma sanno trasformarsi in parole impetuose capaci di cambiare in profondità gli abissi delle nostre coscienze e farci comprendere che tutto poi non è come sembra, è un cantautore che ci allena a guardare oltre, in cerca di speranza, in cerca di nuove attracchi nei porti dei nostri sogni, senza però dimenticare di porci davanti la realtà, quella dura realtà che ci fa tenere in vita.

L’approccio diretto è coadiuvato dalla produzione artistica di Giovanni Ferrario opportunatamente dispensatore di idee e capacità conoscitive fuori dal comune che rendono l’ascolto ancora più intrigante e capace di suscitare stati emozionali vivi e sinceri.

Dieci pezzi quindi che mescolano la realtà alla ribellione, notevoli brani quali musica TV passando per Michela o Più vecchi di Guccini a disegnare una dimensione in cui le nuove leve musicali crescono tra una bellezza omologata, senza più apporto originale, perdendo quella linfa vitale di protesta che caratterizzava i grandi degli anni passati.

La bellezza quindi che si perde e con la luce dobbiamo ritrovarla, un disco che affonda le proprie unghie dentro al substrato culturale di ognuno di Noi e cerca con inossidabile tenacia di trovarci qualcosa di buono e autentico.

Giovanni Dall’Alba – Once

Poesie crepuscolari in terra vicentina per questo lavoro del cantautore Giovanni Dall’Alba che raccoglie l’eredità di Glen Hansard e Sun Kil Moon per una manciata di canzoni introspettive fatte di chitarre prettamente acustiche e una voce ad impreziosirle, canzoni che parlano di amori lontani, dimenticati e strade da percorrere dove l’occasione persa è riflessa in un mondo in decadenza e da ricomporre.

Una stanza, il gatto sul tappeto e il pensiero che guarda oltre; le canzoni poi prendono forma lasciando tramonti dietro le spalle.

10426229_884808998218314_874631160961300229_nI silenzi sono vitali per accogliere i pezzi che arrivano, poche manciate di accordi e arpeggi, un lavoro home made dove la sostanza supera la qualità in cui i cuori infranti e da ricucire lasciano spazio a piccole incursioni sonore dove la dimensione cantautorale prende il sopravvento creando il nulla attorno e concentrandosi solamente sulle parole, poche parole sussurrate ed esposte alle intemperie del tempo.

Otto pezzi quindi che si avvicendano in un chiaro scuro tra Out of the blue, Once, Johnny be good, il blues meritevole di Sleepless night blues e giù giù fino alla strumentale Lies.

Cantautore solitario il nostro, si concede in una prova che non è un vero e proprio disco, ma uno sfogo sul diario della vita, un raccontarsi concesso a pochi, un modo diverso di esprimere parole che altrimenti andrebbero dimenticate.

Damien Rice – 30/07/15 Villafranca (VR) – Live Report

UN PALCO VUOTO E LA TESTA PIENA DI STELLE

Il Castello Scaligero di Villafranca dal 1200 segna il tempo sugli abitanti del veronese, rendendolo location affascinante per qualsivoglia concerto di musica internazionale e non, a ristabilire il contatto tra passato e futuro, in un’immacolata concezione di stabilità e gusto, un sussurro di maestosità e grazia, pronta ad ospitare quello che è considerato il cantastorie più emozionale dell’epoca musicale contemporanea.

Damien Rice non è una creatura sovrannaturale è una persona qualunque che sale su di un palco e canta l’amore, quegli amori relegati all’angolo di una strada buia e plumbea, quegli amori di terre verdi e trasparenti dove guardare l’infinito sulle scogliere e non chiedere nulla al futuro, sostanza e introspezione, il tono dimesso da menestrello vissuto con gli occhi di chi sa regalare emozioni ascolto dopo ascolto in un interesse collettivo che si fa applauso senza mezzi termini, uno scrosciare disteso di mani a cercare altre mani, lì, tra il cambiamento e un’acusticità imprevedibile, spoglia, nuda e cruda, dove i suoni sono sempre in funzione del racconto, suoni stabili, leggeri che hanno il colore dell’oro, un vortice continuo di intenzioni non troppo lineari a fare da sfondo al mondo che ci circonda.

Damien canta canzoni in cui ci rispecchiamo, canta la giovinezza che fa parte di noi, canta del passaggio della marea e di quell’acqua che cancella il passato, cancella ogni qualsivoglia forma di finzione per renderci naturali, come foglie di albero maestoso pronte a rinascere con la nuova stagione.

La naturalità negli intenti si evince sul palco come nella vita, definito incoerente io aggiusterei il tiro con reale, una persona fuori dal coro che fa parte di ognuno uno di noi, quel Damien che tanti anni fa partiva da Dublino con una Mini per vedere il suo gruppo preferito, i Radiohead, 11 giorni di viaggio imponendosi di scrivere una canzone al giorno per poi tornare e aprire i concerti di Cohen, un Damien pauroso della vita, ma che la affronta con noncuranza, la sfida e ne esce vincitore.

Damien su quel palco il 30 Luglio ci è salito e ha raccontato la sua storia, a tratti, soprattutto nella prima parte del concerto un po’ freddo, relegato al suo mondo intriso di misticità e in grado di comunicare non sempre alla perfezione, poi grazie alla loop station e a improvvisazioni sonore ha trasformato la sua chitarra acustica in qualcosa di elettrico e distorto, mandato in progressione artificiale, rendendola partecipe di qualcosa di più grande.

Suoni non sempre calibrati rendono l’ascolto a tratti troppo distorto, soprattutto nelle retrovie, anche se il risultato complessivo è buono, grazie alla capacità del menestrello di stare sul palco e di intrattenere il pubblico ironicamente.

A parte la nota stonata di una Britney Spears di turno chiamata sul palco da Damien per cantare Volcano le perle scorrono ininterrottamente e si lasciano ammirare Delicate in apertura così dal nulla, Coconut skins, Woman like a man, l’harmonium di Long long way, la sempre affascinante Amie fino alla bellissima My favourite faded fantasy dell’ultima fatica, toccando la bellezza in The great bastard e lasciarsi andare alla perfezione in moto perpetuo di It takes a lot to know a man.

Bis affidati a Cannonball, Nine Crimes e nel finale tutti sotto al palco a rendere omaggio con Blower’s daughter, diventata ormai classico senza tempo.

Niente foto per questo live report, ne circolano ben troppe in rete, voglio ricordarlo così, un palco vuoto e la testa piena di stelle, l’esigenza iniziale di spegnere i telefonini, gustarsi lo spettacolo, cosa che in gran parte il pubblico educato ha fatto, nel rispetto della bellezza sfiorata; un palco vuoto e lui forse dopo poche ore fuori, con il pubblico, in un aftershow ancora più emozionante, un cantautore plasmato non per le masse, ma solo per chi sa riconoscere al primo sguardo chi trasmette ciò che la stragrande maggioranza degli artisti odierni sa solo immaginare.

Marco Zordan – IndiePerCui

SetList

  1. Delicate
  2. Coconut skins
  3. Woman like a man
  4. The box
  5. Long long way
  6. Volcano
  7. Amie
  8. MFFF
  9. Elephant
  10. I remember
  11. The greatest bastard
  12. The professor e la fille danse
  13. It takes a lot to know a man

Encore

Cannonball / Nine crimes / The blower’s daughter

Mimì Sterrantino & Gli Accusati – Un lupo sul divano (Veneretta Records)

L’Edoardo Bennato del 2015 impresso di uno stile che in parte può essere considerato personale capace di fondere diverse anime musicali tra cui il blues, il country, il folk e il rock in una miscela esplosiva che fa ballare e riflettere, ricomporre il perduto e segnare il cammino.

Il nuovo disco di Mimì Sterrantino è un disco on the road che riprende le sonorità tipiche di un’epoca per riportarle in modo esemplare nell’Italia sconfinata di tutti i giorni, una musica che si presta per il viaggio e come colonna sonora ci riporta all’interno di un film spericolato dove le vicende di vita umana, si confondono in modo aggraziato alla solare presenza costanza di un’acustica che non si fa abbandonare, ma che è compagna di notti insonni riscaldate dalla presenza di un lupo solitario che protegge e segna il territorio.

Un lupo sul divano è un disco che racconta il nostro essere fieri davanti agli altri, pronti a dare sempre il meglio, facendo prevalere un’immagine di facciata che inesorabilmente viene disciolta davanti alla realtà come una candela bruciata dal vento tangibile che ci accarezza giorno dopo giorno, attimo dopo attimo.

Ecco allora perché il nostro in questo disco sottolinea l’importanza di ritornare alle origini, alle cose semplici ed essenziali, alla natura, alla fantasia che ci fa sentire vivi, alla fantasia che ci permette di essere diversi e migliori.

Dieci pezzi che esaltano un mondo, che ne parlano come racconti di vita, partendo da Ringrazio l’altitudine e finendo con Caro Dj, ironico spunto di partenza per cambiare le regole della musica in Italia.

Ironico e dissacrante, quindi, ma carico anche di una realtà che delle volte può far male, Mimì rimescola le carte in tavola, nel gioco della vita, facendoci capire che il caso e il destino sono ben lontani dal nostro essere padroni di ciò che possiamo fare giorno dopo giorno con la nostra volontà.

Michele Maraglino – Canzoni contro la comodità (La fame dischi)

Disco maturo e musicalmente aperto alla sostanza che avanza, un disco ultra moderno che delinea meticolosamente, soprattutto per chi fa troppe fotografie, uno spaccato di realtà nostro e vissuto, un inno contro la comodità e l’apatia, il non far nulla scelto e il non far nulla per imposizione.

Un disco che sa di pioggia d’Aprile le tonalità si incupiscono e regalano sogni infranti e desideri commossi da pietà che mai e poi mai prenderebbe l’iniziativa di essere quella che non appare.

Un album sulle apparenze quindi, di denuncia, verso un’Italia che va a rotoli perché siamo noi che lo vogliamo arricchiti da strumenti inutili, la fisicità che vince sulla bellezza, il futile che si aggrappa ai pensieri e li rende reali più che mai, senza una via di scampo, senza una via di fuga.

Michele racconta tutto questo e lo fa con il piglio del cantautore, che rispetto all’album precedente si apre a suoni più indie rock  abbracciando le distorsioni del brit pop e strumenti necessari quali pianoforte e tastiere per rendere la proposta più concreta e avvolgente.

Ottima prova che denota quindi carattere e lucidità per il patron della Fame, otto tracce che si fanno bere in un istante e lasciando in qualche modo il nostro eroe solo contro tutti in attesa di smuovere animi, accendere il cervello e far correre le idee.

Il Rondine – Può capitare a chiunque ciò che può capitare a qualcuno (La fame dischi)

Le canzoni migliori le aiuta la fame e questo è proprio il caso di dirlo, Il Rondine, vero nome Claudio Rossetti, classe 85, confeziona, grazie all’aiuto del concorso annuale indetto dalla nota etichetta indie italiana, un disco pienamente convincente e del tutto originale.

La formula è quella semplice del cantautorato, ma nel complesso il tutto suona alquanto ricco e costruito, costruito attorno ad una mongolfiera, ad un pallone circense pronto a salire in alto e raccontando in modo ironico vizi e virtù di un popolo in declino, abbandonando lo stile della forma canzone e lasciandosi andare a sperimentazioni e cure dei particolari non sempre facili da trovare in un album d’esordio.

11 tracce sarcastiche che parlano della vita di tutti giorni, conquistata e sofferta, vissuta e non sempre compresa, relegando il giusto posto ad ogni cosa e facendo entare nella mente di chi ascolta, un mondo, il mondo di Claudio e della sua costante ricerca di un volo atto a raccimolare nuove storie da vivere.

Si pensi ai fatti narrati in Pregiudizio su Sergio o La fine di uno scarafaggio, passando per La settima differenza, sono tutti attimi di vita regalati, sudati e vissuti, concentrati in parole e termini che entrano dentro e mai più se ne vanno.

Un cantautore dal forte talento che si innalza facilmente e nello stesso tempo facilmente plana a toccare ciò che ancora è reale, facendo si che questo reale diventi vita da raccontare.