Disco maturo e musicalmente aperto alla sostanza che avanza, un disco ultra moderno che delinea meticolosamente, soprattutto per chi fa troppe fotografie, uno spaccato di realtà nostro e vissuto, un inno contro la comodità e l’apatia, il non far nulla scelto e il non far nulla per imposizione.
Un disco che sa di pioggia d’Aprile le tonalità si incupiscono e regalano sogni infranti e desideri commossi da pietà che mai e poi mai prenderebbe l’iniziativa di essere quella che non appare.
Un album sulle apparenze quindi, di denuncia, verso un’Italia che va a rotoli perché siamo noi che lo vogliamo arricchiti da strumenti inutili, la fisicità che vince sulla bellezza, il futile che si aggrappa ai pensieri e li rende reali più che mai, senza una via di scampo, senza una via di fuga.
Michele racconta tutto questo e lo fa con il piglio del cantautore, che rispetto all’album precedente si apre a suoni più indie rock abbracciando le distorsioni del brit pop e strumenti necessari quali pianoforte e tastiere per rendere la proposta più concreta e avvolgente.
Ottima prova che denota quindi carattere e lucidità per il patron della Fame, otto tracce che si fanno bere in un istante e lasciando in qualche modo il nostro eroe solo contro tutti in attesa di smuovere animi, accendere il cervello e far correre le idee.