Palkosceniko al neon – Radice di due (Autoproduzione)

Assordanti dissonanze che si intersecano con il nostro animo umano a recepire i sottili legami che tengono unite le persone con l’intento di gridare al mondo un proprio modo di essere denunciando abusi e soprusi di una società che ci sta stretta, immagazzinando la prova del tempo e concentrando un rumore di fondo che ben si amalgama con una prova variegata e soprattutto che trova nella forma testuale l’apice nell’inseguire un concetto che si evince da un risultato che colpisce allo stomaco e comprende, ingloba e metaforicamente uccide qualsivoglia ordine precostituito donando ad un rock viscerale i contagi di un hardcore e di un crossover che intersecano a tratti nomi come Teatro degli orrori ed Elettrofandango, scolpendo generosamente canzoni che acquisiscono una propria apertura già con l’iniziale e audace Re nudo fino alla ballata psycho country, lasciata al finale, Sorella minore, passando con rabbia repressa in Tempi moderni, Radice di due e Otto ore, in una contesa rivoluzionaria che non da tregua, ma che piuttosto scava un posto d’onore nelle sotterranee produzioni di genere.

Zein – Il viaggio, il futuro & Jolanda (ALKA record label)

Disco di matrice pop che si staglia all’orizzonte rincorrendo spruzzate di elettronica non troppo delineata a far da controcanto a cori e chitarre che ben si amalgamano con questo EP d’esordio degli Zein, band romana, già fattasi notare in diversi locali della zona e che grazie a questo piccolo album mette il sigillo sulla qualità di stesura e interpretazione musicale di brani che affrontano la quotidianità attraverso una continua domanda, un continuo bisogno di chiedersi nell’occupare un destino bramoso di rivincite e di sostegno per un’identità musicale che trova nella formula poppeggiante una propria via di fuga, una sorta di interesse rock in chiave moderna che non grida le proprie intenzioni, ma piuttosto le accompagna, le fa proprie e le sostiene, le misura e le dipinge, proprio come nella bellissima cover del disco dove, tra i fiori di ciliegio, una ragazza ascolta in cuffia la propria vita scorrergli dentro, fino a cadere in un mondo idealizzato dove scomparire forse è solo l’inizio di qualcosa di nuovo.

Ian Fisher – Koffer (Snowstar/PopUp/Earcandy/Rocketta/Native Sound)

Cantautorato per paesaggi e lande deserte dove i villaggi si spopolano e resta soltanto la polvere del tempo a ricoprire le distanze, a ricoprire ciò che resta di noi, del nostro mondo che non esiste più, della nostra vita, tra inquietudini e stati d’animo il cantautore americano, ma trapiantato in Europa, Ian Fisher, regala agli ascoltatori una prova di rara bellezza, facendo confluire dentro al suo songwriting correnti diverse, ma accomunate dal bisogno di raccontare, inseguendo forse un sogno che non esiste, inseguendo una realtà che a tratti sembra vivere tra le nostre mani, ma che nel contempo fugge via, ci abbandona e Ian Fisher lo sa bene perché la sua voce si fa interessante proprio quando la musica inizia, la sua voce è colonna portante per un suono che abbraccia il passato di Dylan coniugando Glen Hansard e passando per Father John Misty e Fleet Foxes toccando vertici di intensità immaginifica in pezzi come Candles for Elvis o Hail Mary, per un album che merita di essere ascoltato più volte tra le inquietudini del nostro tempo e il bisogno del viaggio, un viaggio che si fa fonte di ispirazione alla ricerca di una nuova casa.

Edless – Belotus (Autoproduzione)

Disco labintico che incalza i suoni stratificati dei Radiohead di Kid A e Amnesiac per portarci in porti relativamente più sicuri come quelli di Hail to the thief ricucendo un tessuto che sa anche un po’ di anni ’90, ha il sapore del già sentito in passato, ma nel contempo così elettrificato e condito che la formula risulta certamente moderna e ricercata in una condivisione di intenti che abbatte le forme canoniche di indie rock band per approdare ad un vellutato crocevia visuale che si immola alla quintessenza dell’arte stessa, tra forme costruite ad arte in un immaginario ampliato che non è solo musica, ma anche immagine, visual art che accompagnerà il movimento dei brani che ben si innestano in questo piccolo EP di quattro pezzi, un piccolo disco uscito alla fine della primavera, ma carico di quella sostanziale introspezione che trova il suo apice nella bellissima e conturbante Just Once, rincorrendo i giorni, rincorrendo un’immagine preponderante davanti ad un mondo privo di forza mobile.

The Winonas – Sirene (Autoproduzione)

Non vengono dal mare, ma scavano le profondità degli abissi, si lasciano trasportare dai suoni della natura conquistando uno strumentale d’avanguardia che intreccia substrati di chitarre acustiche provenienti direttamente dal grunge e dal rock degli anni ’90 amalgamando decostruzioni di puro impatto emotivo che riguardano il nostro vivere, la nostra quotidianità, valorizzando, in chiave acustica sostanza e nel contempo passione; loro sono le Winonas, citazionismo puro della Ryder del film Sirene, tre amiche rinate dalle ceneri punk delle Cioccolata Fondente a ribadire ancora un concetto che in questo disco, in questa prova, si fa ancora più sentito e calibrato a dovere, undici tracce dove i suoni registrati in studio grazie a microfoni ambientali mantengono una costante ricerca di fondo che esplode in bellissime e ipnotiche concentrazioni emozionali come nel singolo Ansia che vede il cameo esistenzialista di Gian Maria Accusani dei Sick Tamburo ex Prozac+, a completare il quadro poi le essenziali e necessarie intro e outro passando per Lo Specchio e le rivisitazioni di Love in a traschan dei Raveonettes e di So Easy degli Eagles of Death Metal per un album pieno di amore verso un mondo in decadenza, un disco che a guardarlo bene ha lo stesso colore del mare in tempesta.

Trevisan – Questa sera non esco (Fumaio Records)

Trevisan è un pirata moderno, uno che solca i mari delle introspezioni future e lascia sul tavolo di legno tarlato l’ideale di sentimento che attanaglia, circoscrive e rassicura, contorcendosi a dismisura e ponderando una sorta di musica d’autore che si fa ponte tra passato e futuro, una voce roca sopra coperta, l’acqua tutt’attorno e il nostro imperscrutabile navigare lungo i flutti della coscienza, a raccontare storie, a non dare giudizi e soprattutto a non dare nulla per scontato in un’esigenza quasi letterale di approfondire gli istanti, le bellezze e le persone, un po’ con ironia un po’ con il fare di chi in vita ne ha viste molte, da Il mio disco nuovo fino all’omaggio esaltazione dei Rancid Olympia, WA il cantautore bergamasco si concede ad un temerario esistenzialista punk d’avanguardia acustico, imperniato da strutture che si affacciano direttamente nella quotidianità di ognuno di noi, intrecciando il cantautorato a qualcosa di più complesso chiamato vita e che ci rappresenta oggi forse più di ieri.

Danubio – Danubio (Vollmer Industries/DGRecords/I Dischi del Minollo)

Disco corrosivo che riempie l’etere di tanta sostanza sonora capace di rinfrancare gli animi più esigenti in un concentrato di rock sudato che fa da perno ad una produzione di tutto rispetto che cavalca l’esigenza di sputare in faccia alla realtà un significato profondo che ben si evince in questa stratificazione musicale, al di là di qualsivoglia forma di omologazione e riempiendo gli spazi con suoni che si affacciano ai primi Verdena, quelli di Solo un grande sasso per intenderci, fino a toccare vertici di apertura a band attuali come FASK in un sali scendi di sensazioni e sviluppi che attanagliano e conquistano, abbracciano e ripagano di tanto lavoro quasi ad ottenere nella naturalità del momento il guizzo giusto, la scintilla errante pronta a scoppiare e a far fuoco di nuovo, da Dailan fino a Dov’è la psicopolizia quando serve? passando per Nuoto perpetuo e Tre, se conti me per una prova che apre spazi e si confronta con una realtà tante volte troppo pesante per essere compresa, ma che in questo disco trova una via preziosa di fuga da questo stesso vivere e forse solo questo conta.

Il ballo dell’orso – Secondo me mi piace (Black Candy/Woodworm)

Cantautorato che si perde nei meandri della continuità intascando una prova che ingloba un pensiero immedesimato e quasi menefreghista di un certo tipo di non sense che parla con introspezione di un mondo in decomposizione e sazio di vicende quotidiane, sorgente stessa per una prova che sa di tempo prezioso, una seconda prova  capace di sottolineare la capacità di questa band nel ricreare scatole di ambientazioni sonore che ripagano della fatica e danno il loro meglio grazia a musica di pregevole fattura attorniata da testi erotico – vissuti che ricordano in certi passaggi le morbosità di alcune composizioni di Elio e Le storie tese o degli Skiantos tralasciando la matrice punk del tutto e valorizzando una prova che trova nel cantautorato la sua maggiore introspezione in pezzi come L’ultimo uomo sulla terra, bellissimo spaccato di genialità corrosiva, fino al grande finale lasciato a Tutto quello che mi resta, quasi a voler dar conferma del valore di questa band che sa come non prendersi sul serio e nel contempo conosce il segreto per racchiudere dentro a tutto questo disco un significato che va al di là delle apparenze.

-FUMETTO- Oscar Noble – Un futuro ipotetico (BeccoGiallo)

Un futuro ipotetico: il volto umano della crisi spagnola - futuroipotetico0Titolo: Un futuro ipotetico

Autore: Oscar Noble

Casa Editrice: Becco Giallo

Caratteristiche: brossura, 17 x 24 cm, 160 pg

Prezzo: 16,50 €

ISBN: 9788899016555

Storie di tutti i giorni in tempi di crisi dove l’incedere quotidiano prende il sopravvento davanti a quel qualcosa che non riusciamo a controllare, davanti ad un tutto troppo pressante e quasi opprimente, davanti al caso ecco le persone, quelle che lottano e si riorganizzano, prendono tempo quando il tempo non esiste più e grazie ad una capacità intrinseca e innata lottano per restare attaccate ad una società fatta su misura per i più forti, questo in tempi di crisi, questo anche quando la crisi non c’è.

Esistono dei sottili legami in questa importante opera d’esordio del fumettista Oscar Noble, dei legami notevoli sotto più piani e ambiti, dal punto di vista personale e soggettivo questo fumetto ingloba attimi di vita vissuta e rivoluzionata in nome di un bisogno quotidiano e di sussistenza dall’altra fatti che investono un’oggettività di fondo che vede comunque per protagonista lo stesso autore alle prese con la forte crisi e recessione spagnola del post 2008, l’avvento dell’M15 e le consequenziali proteste degli Indignados fino alla fondazione di Podemos, partito ispiratore di ideali per una sinistra da rifondare e che farà scuola in ambito europeo dopo il fallimento del Partito socialista e operaio di Zapatero.

L’opera qui narrata affonda le proprie radici nel quotidiano di questa Europa, parla in prima persona, è una vicenda prima di tutto di coraggio, è un racconto che è e che si fa storia, possiamo quindi tranquillamente parlare di romanzo eroico 2.1, un racconto che fa da ispirazione ad un modello di società diversa e non più utopica, ma ancorata a fondamenta importanti e dignitose, un fumetto questo che vede un Oscar Noble alle prese con le peripezie di una vita in discesa, immedesimandosi prepotentemente con una politica troppo reale e vicina da essere considerata evanescente, un autore che cambierà spesso lavoro, mansioni umili pur di lavorare, fino a quel corso di fumetto che lo vedrà diventare successivamente uno dei protagonisti del progetto Xena – Centro Scambi e Dinamiche Interculturali per la casa editrice padovana BeccoGiallo, uno stage formativo che ha permesso al nostro di dare voce e vita alle proprie e altrui inquietudini proprio attraverso la realizzazione di questa storia che teniamo ora tra le mani.

Si respira la vita In un futuro ipotetico, si respira aria di cambiamento e di lotta che nessuno mai potrà fermare finché saremo noi i protagonisti di tutto questo, di tutto quello che ci circonda, riappropriandoci del perduto e dell’abbandonato e considerando concretamente l’ipotesi di uno sviluppo sostenibile e condiviso, uno sviluppo che rinasce dalle ceneri, quella stessa cenere che si identifica propriamente in un capitalismo che ha segnato negativamente e indelebilmente la fine di un’epoca.

Per info e per acquistare il fumetto:

http://www.beccogiallo.org/shop/175-un-futuro-ipotetico.html

Big Bang Muff – Crash Test (Autoproduzione)

Suoni corrosivi, imponenti  e che incalzano a dismisura in un’accecante sfida con il rumore gridato e talvolta misurato a dovere in costruzioni e parallelismi geometrici di forma cangiante e sostanziosa intrappolata per l’occasione e fatta esplodere in tutto il proprio splendore grazie ad una band, I Big bang muff, che assimila la lezione del rock degli anni ’70 per trasportarla ai giorni nostri e concentrarla nella ricerca sonore di gruppi come Verdena e FASK in testi allucinogeni e poco descrittivi, ma capaci di trovare connessioni desertiche con il vuoto che abbiamo dentro, da Vivo nell’ombra fino al finale di Crash Test i nostri passano di prepotenza a pezzi come Maschere, Non è cambiato niente, Stagioni, snocciolando grande capacità di stesura, ma anche capacità nell’animare in modo egregio un palco grazie alla dimensione distruttiva del tutto che ingloba per un disco che convince a dismisura e si lascia riascoltare senza problemi, un disco che segue le aspirazioni del gruppo e che in mezzo a tutto questo frastuono si garantisce un posto nelle produzioni di genere, ciò che stupisce però maggiormente è che i ragazzi sono solo in due.