Palkosceniko al neon – Radice di due (Autoproduzione)

Assordanti dissonanze che si intersecano con il nostro animo umano a recepire i sottili legami che tengono unite le persone con l’intento di gridare al mondo un proprio modo di essere denunciando abusi e soprusi di una società che ci sta stretta, immagazzinando la prova del tempo e concentrando un rumore di fondo che ben si amalgama con una prova variegata e soprattutto che trova nella forma testuale l’apice nell’inseguire un concetto che si evince da un risultato che colpisce allo stomaco e comprende, ingloba e metaforicamente uccide qualsivoglia ordine precostituito donando ad un rock viscerale i contagi di un hardcore e di un crossover che intersecano a tratti nomi come Teatro degli orrori ed Elettrofandango, scolpendo generosamente canzoni che acquisiscono una propria apertura già con l’iniziale e audace Re nudo fino alla ballata psycho country, lasciata al finale, Sorella minore, passando con rabbia repressa in Tempi moderni, Radice di due e Otto ore, in una contesa rivoluzionaria che non da tregua, ma che piuttosto scava un posto d’onore nelle sotterranee produzioni di genere.

Legni vecchi – Legni vecchi (DreaminGorilla Records/Stay Home records)

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Duo meraviglia che intasa l’aria di sostanze sonore in grado di provocare nel corpo umano un’energia dirompente capace di sfondare gli orpelli post hardcore per incentrare la scrittura in una musicalità che si fa tenebra e luce, innescando soffitti cosmici da gettare al suolo con forza magnetica, imprigionando la realtà attraverso note che si susseguono in accordi emozionali, siglando il bisogno di esistere attraverso sei tracce che si muovono bene tra Gazebo Penguins e Menrovescio in uno stile affinato e pronto a trovare una propria dimensione in chiave live, su di un palco polveroso da dove non poter scendere finché l’ultima goccia di sudore non sarà stata versata, La Pace è il pezzo più introspettivo del disco passando per La distruzione e l’ottima Marcione, lasciando qualche suono vocale a riempire Ratti fino al gran finale di Sgomito, per un disco, quello dei Legni Vecchi che trasuda resina ancora e per sempre.

Il terzo istante – La fine giustifica i mezzi (Autoproduzione)

Alternative rock in trio direttamente da Torino che apprende la lezione del tempo per rendere in modo egregio ed essenziale un affresco di questa società fatte di sogni infranti e accomunata dall’idea di fine, qui intesa come parte costruttiva del nostro vivere; i nostri ci dicono che noi abbiamo paura di qualcosa, abbiamo paura che qualcosa finisca, senza magari pensare al presente, al vivere di ogni giorno, noi essere umani ci preoccupiamo di cosa ci sarà un domani senza lottare oggi, in questo momento, senza vivere appieno le occasioni che la vita ci porta.

E’ un disco che si fa ascoltare questo e che sa costruire attorno a un disagio un vero e proprio concept su di un costrutto inusuale senza dimenticare le apparizioni di Paolo Parpaglione dei Bluebeaters degli Africa Unite al sax in Il blues del latto versato e Lucido e la voce di Sabino Pace già nei Belli cosi e Titor, nel pezzo Fenice,  un brano tiratissimo e coinvolgente tra venature hardcore e introspezione che ci richiede ascolto e attenzione in un sol fiato.

La fine giustifica i mezzi rilancia notevolmente la qualità della proposta e confeziona un disco che sa di anni ’90, di muri da abbattere e di periferie solitarie, dove ai margini c’è sempre qualcuno che vuole gridare al mondo la propria esistenza.

Flying Disk – Cricling Further Down (Etichette varie)

Sporchi e laceranti impressi di quel petrolio vivo che ti colora di nero e ti fa sembrare un altro, una persona diversa davanti alle avversità della vita.

Un progetto complesso e prodotto da numerose etichette punk hardcore della penisola, diciamo anche tra le migliori, che investono per far smuovere aspirazioni che guardano con piglio deciso ad una evoluzione dell’indie rock nostrano.

Hardcore che però si sente in dissolvenza, perché i nostri ascoltano molta musica e si capisce dalle influenze anni ’70 con Black Sabbath, passando per il grunge dei ’90 di Melvins e Soundgarden.

Un disco pieno di rabbia e abbandono, crescente nella metamorfosi che subiscono gli otto brani nel corso dell’ascolto.

Quando meno te lo aspetti il cambio si fa sentire, quasi un cambio musicale che immortala serenità scomparse per lasciar spazio al fragore quotidiano.

Immedesimazione quindi allo stato puro, ascoltare pezzi come Scrape the bottom o Martina’s Shoes tanto per citarne due per capire la voracità che ha questo trio insaziabile di comprendere nell’essenza le difficoltà della vita.

Gran prova di coraggio, in tempi come questi, per i Flying disk, portatori di un suono che non ha definizione, ma potrebbe essere esso stesso un fattore in divenire per generazioni future.

Gli Altri/Uragano – Split Album (DgRecords, Taxi Driver Records, etichette varie)

Com’era bello quando due gruppi si dividevano il disco tra lato A e lato B, si prendevano i sogni incorporati fino a quel tempo per creare qualcosa che insieme valeva in primis l’acquisto del sopra citato e poi valeva per creare collaborazioni, amicizie, legami che si esprimevano nella vita di tutti i giorni.

La scena Ligure in tutto questo risulta  capofila in Italia, anche perchè gli addetti ai lavori sanno cosa vuol dire unire le forze per restare coesi e lottare contro l’oppressione crescente di major e affini.

I gruppi in questione non hanno bisogno di presentazioni: i primi di Savona i secondi di Imperia fanno dell’hardcore la loro matrice e macchina respiratoria, fanno della sostanza una ragione di vita che nel corso degli anni ha portato alla ricerca claustrofobica di attimi incanalati in vero sudore che ne fa l’essenza del disco stesso.

Gli altri più meditativi, compensati e carichi mentre gli Uragano portatori di un qualcosa che ad un primo ascolto risulta più immediato e rigettato al suolo come corpo che stenta a rialzarsi.

Ci sarebbero pagine e parole da spendere per questa trovata che può ancora valere ai giorni nostri, anche se il punto di forza di tutto ciò sta nell’esprimere al meglio un disagio che si fa continuo cambiamento, un essere persona – strumento in grado di contornare l’indefinito di pillole e magie, un’illusione che dura per pochi istanti, un’illusione che ci fa stare bene.