Ian Fisher – Koffer (Snowstar/PopUp/Earcandy/Rocketta/Native Sound)

Cantautorato per paesaggi e lande deserte dove i villaggi si spopolano e resta soltanto la polvere del tempo a ricoprire le distanze, a ricoprire ciò che resta di noi, del nostro mondo che non esiste più, della nostra vita, tra inquietudini e stati d’animo il cantautore americano, ma trapiantato in Europa, Ian Fisher, regala agli ascoltatori una prova di rara bellezza, facendo confluire dentro al suo songwriting correnti diverse, ma accomunate dal bisogno di raccontare, inseguendo forse un sogno che non esiste, inseguendo una realtà che a tratti sembra vivere tra le nostre mani, ma che nel contempo fugge via, ci abbandona e Ian Fisher lo sa bene perché la sua voce si fa interessante proprio quando la musica inizia, la sua voce è colonna portante per un suono che abbraccia il passato di Dylan coniugando Glen Hansard e passando per Father John Misty e Fleet Foxes toccando vertici di intensità immaginifica in pezzi come Candles for Elvis o Hail Mary, per un album che merita di essere ascoltato più volte tra le inquietudini del nostro tempo e il bisogno del viaggio, un viaggio che si fa fonte di ispirazione alla ricerca di una nuova casa.

Edless – Belotus (Autoproduzione)

Disco labintico che incalza i suoni stratificati dei Radiohead di Kid A e Amnesiac per portarci in porti relativamente più sicuri come quelli di Hail to the thief ricucendo un tessuto che sa anche un po’ di anni ’90, ha il sapore del già sentito in passato, ma nel contempo così elettrificato e condito che la formula risulta certamente moderna e ricercata in una condivisione di intenti che abbatte le forme canoniche di indie rock band per approdare ad un vellutato crocevia visuale che si immola alla quintessenza dell’arte stessa, tra forme costruite ad arte in un immaginario ampliato che non è solo musica, ma anche immagine, visual art che accompagnerà il movimento dei brani che ben si innestano in questo piccolo EP di quattro pezzi, un piccolo disco uscito alla fine della primavera, ma carico di quella sostanziale introspezione che trova il suo apice nella bellissima e conturbante Just Once, rincorrendo i giorni, rincorrendo un’immagine preponderante davanti ad un mondo privo di forza mobile.