The memory of snow – Home is where the heart aches (Alka Record Label)

THE MEMORY OF SNOW: “HOME IS WHERE THE HEART ACHES”, UN'ARMONIOSA ODISSEA  ELETTRONICA – THE MUSICWAY MAGAZINE

Viaggio sonoro incapsulato all’interno di cellule primordiali dove musica elettronica e new wave si sposano per dare alla luce un disco prezioso, inglobante luce, un suono d’oltremanica capace di affrontare le tempeste di questi giorni. The memory of snow, all’anagrafe Albin Wagener, artista sperimentale francese, riesce a creare una tavolozza di chiaro scuri esistenziali che attraversano la coscienza, incastrando, in un puzzle emotivo, tutta la propria capacità di dare un senso alla bellezza circostante. Ci sono canzoni importanti in questo album come il singolo No safe place, ma anche brani come Simple song, Drug, Miami, le bonus track Core, Man per un risultato d’insieme che trova nell’esigenza di parlare al cuore dell’ascoltatore un punto essenziale che diviene senso primario da scoprire ascolto dopo ascolto. Home is where the heart aches è un album complesso che si rifà ai grandi degli anni ’80 come i Tears for fears, i primi Depeche Mode ad agglomerare, nel complesso labirinto della mente, elucubrazioni sonore particolari e ricercate.


Mater – Vear (Resisto)

Pop rock inabissato nella Terra d’Albione e capace di strizzare l’occhio oltreoceano. Un suono capace di inglobare i fasti del passato trasformandoli in qualcosa di personale che parte dall’anima e riesce ad incentrare una poetica di stampo anglofono di sicuro impatto e mai così prevedibile. Il nuovo dei Mater, Vear, è un EP di quattro pezzi che diventa una rappresentazione simultanea capace di mettere in scena le capacità intrinseche di una band rock alle prese con i sentimenti profondi e gli ostacoli della vita che inevitabilmente bisognerà affrontare. Mater è un album mai definito, non è omogeneo, ma trova nell’eterogeneità sospinta un punto di forza per creare un qualcosa di personale e riuscito. I Mater, con questa prova, riescono ad entrare negli abissi della vita grazie ad un suono potente, a tratti deflagrante. Un disco dove energia e coraggio sembrano facce della stessa medaglia.


 

Raesta – Fuoco di paglia (Alka Record Label)

raesta - Topic - YouTube

Cantautorato disincantato che ricorda il Bugo più sperimentale intrecciarsi con il mondo circostante, con la quotidianità. Uno scrivere un diario di vita impreziosito da una produzione davvero importante che suona in stato di grazia pennellando cesellature che inglobano indie pop, psichedelia e un cantautorato a tratti sghembo, ma incisivo. L’album di Raesta, all’anagrafe Stefano Resta, è un concentrato autorale di passione e ossimori legati alla realtà di ogni giorno. Ci sono immagini che vengono raccontate, elementi figurativi che vanno ad implementare la bellezza di canzoni che non si domandano troppo, ma nel contempo utilizzano l’intelligenza per scavare a fondo alla ricerca di qualcosa che valga la pena essere ricordato. Ecco allora che il nostro, in questo EP, snocciola cinque brani pregni di poesia, di lirismo mai compresso; una volontà espressa che trasforma l’apparenza in concretezza raffinata.


molecola – Protovisioni (Tazzina dischi)

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Catturare l’atmosfera attraverso sincopate visioni caleidoscopiche intessute grazie ad un’alchimia fantasmagorica capace di unire un’elettronica mai prettamente di consumo, ma piuttosto una ricerca invitante che avvicina anche l’ascoltatore più incallito in un vortice fatto di manipolazioni digitali e tanto desiderio di sperimentare. Il nuovo disco di molecola, all’anagrafe Marco Testa, è un insieme di vento ed energia, di bellezza sovrapposta ad un’interiorità da scoprire che fa muovere, ma che fa anche riflettere. Un album in stato di grazia dove ogni cosa sembra al proprio posto tra gli esperimenti di Jonsi passando per una dance costruita ad arte e un essenziale bisogno di colorare paesaggi in divenire con l’evoluzione della tecnologia. Ecco allora che il nostro riesce ampiamente a distribuire, lungo tutta la durata del disco, impressioni sempre intense, sviluppando un’eterogeneità riconducibile ad un desiderio che parte dall’improvvisazione e si assesta laddove soltanto pochi sanno arrivare.


NU-SHU – Dox (Discographia Clandestina)

Dox - NU SHU | Foxy Lady Ascolta

Secondo disco per i leccesi NU-SHU, duo composito formato dall’instancabile Carmine Tundo e da Giuseppe Paskone Calabrese, un album caratterizzato da suoni distorti, potenti e deflagranti, fuori da qualsiasi schema incasellato e capaci di donare una botta viscerale da far tremare qualsiasi palco della penisola. Il sound di questo formidabile gruppo raccoglie la polvere di band industrial come i Nine Inch Nails per condensarla poi in un egregio quadro d’insieme capace di abbracciare il low-fi e nel contempo una sorta di luce mai evanescente, ma piuttosto ancorata ad una realtà da raccontare. Dox è sovrapposizione continua di suoni e rumori, di voci, di cantato e di gridato, una commistione che parte dal profondo per poi liberarsi nell’etere circostante attraverso un canale interpretativo esaltante. Da Vangelia fino a Eco di Liebel passando per Glena, Scura, If, i nostri riescono ad incamerare energia sempre nuova da poter donare al nuovo che avanza, al nuovo che verrà.


Drogo – Terza ridotta (Three Hands Records)

Atmosfere sulfuree velate da un lounge alternativo che ricerca nella sostanza gli ingredienti invidiabili di una prova consumata fuori dal tempo, fuori da ogni schema prestabilito e raccolta per l’occasione in un disco d’esordio davvero esaltante. Dietro al progetto Drogo ci sono Mattia Cappelli, Fabio Landi, Luca Pasotti, Stefano Passeretti, musicisti in grado di dare e disegnare un’architettura al tutto che si sposa con uno strumentale elegante e disinvolto, capace di creare nuovi flussi in divenire. Terza ridotta è sperimentale quanto basta per inglobare una potente visione personale di ciò che verrà. Sono disegni musicali maturi e nel contempo cesellati attorno ad un jazz sporcato dal funky, da una sorta di prog elastico che si inoltra in territori inesplorati. Da Bowie fino a Bowie outro il disco dei nostri suona intenso, a tratti viscerale, mai scomposto, ma piuttosto compatto e omogeneo. Un band che ha trovato nell’ingegno la propria fonte primaria di ispirazione.