God of the basement – God of the basement (Alka Record Label)

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Oscurità pronta a colpire e ad uscire allo scoperto intrecciando i brividi di una generazione raccolta qui in questo disco attraverso elucubrazioni sonore che entrano ed escono facilmente all’interno dei nostri pensieri producendo interesse per una materia cangiante e in continua mutazione. L’omonimo dei God of the basement racchiude al proprio interno un rock contaminato dal funk, dallo stoner e da un rock’n’roll che non si chiede troppo, ma che tenta una ricerca simultanea e non abbandona al suolo la polvere, ma piuttosto trasforma la materia in qualcosa di vibrante e di sempre vivo. Il disco della band fiorentina è un concentrato onnivoro di resistenza che si esprime in pezzi come Hell Boar, We do know, Kay, Get Loose, un insieme di pezzi che sprigiona attenzione a non finire e cura nel veicolare significati grazie ad un’energia che sembra non esaurirsi mai. 


Katiusha – Diverticoli (Overdub Recordings)

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Suoni a profusione verticale che escono dagli incasellamenti moderni per affondare le proprie radici in un suono anni ’90 che mescola le carte in tavola per costituire a fondo un nuovo corso. La band Katiusha partorisce un disco veloce e dinamico tra un punk rock che incontra l’alternative e le abrasioni indipendenti di una musica che trova ispirazione oltre oceano. Sono solo quattro canzoni suonate a dismisura dove le sensazioni e le emozioni sono parti costanti di un nostro io in cambiamento. Diverticoli è un EP che vuole uscire allo scoperto, trovare un proprio punto di fuga incontrollato dove stendere energia vitale e lasciare spazio al proprio essere interiore, emblema unico che conosce la strada da seguire, per una manciata di pezzi eterogenei e cotti a puntino. 


Ismael – Quattro (Macramé Dischi)

Cantautorato impresso sulle strade dell’Appennino a parlare di rapporti umani e sradicamento, viscere interiori sregolate dall’assurdo tempo di questo nostro vivere e rimpianti attaccati ad una deriva sempre più imminente, sempre più presente e fagocitante. Quattro è il nuovo disco degli Ismael, un album che si nutre di oscurità e abbandono, un album pregno di quell’attitudine diretta e sfacciata del migliore post punk dei Diaframma intersecato con una musica d’autore che riprende argomentazioni veicolanti lo svanire del nostro io, privazioni di punti cardine, di punti guida, in un ricercare sempre e comunque la bestia onnivora che risiede in noi, la bestia che ha devastato tutta la nostra semplice complessità. Gli Ismael confezionano una prova che riesce a guardarsi dentro, è uno specchio devastante e alquanto veritiero di questi nostri giorni, è un attaccamento alla terra e al suolo, agli alberi e al cielo, alla notte e al giorno. Quattro è una guida accecante che segue il fiume di questo nostro tempo, trasformando i ricordi e le situazioni in anfratti che non lasciano via di scampo, perpetuando l’onnipresente io in qualcosa da annientare definitivamente. 


Enjoy the void – Enjoy the void (Autoproduzione)

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Suoni sopraffini e culturalmente internazionali si espandono nella proposta degli Enjoy the void, un disco di rock atmosferico che mira all’eleganza del classico pur concedendosi spazi di aperture alla sperimentazione abbracciando gli anni ’90 come non mai e intrappolando all’interno della tela in divenire attimi di vita concentrica e di sostanziale interesse tra architettoniche presenze chitarristiche e quel bisogno di comunicare modernità con un’elettronica mai banale, ma piuttosto sedimentata e usata con parsimonia. Enjoy the void è un disco pieno che si fa riascoltare senza dare nulla per scontato, ma piuttosto ingabbiando la presenza costante di una canzone pop contaminata a dovere e ben amalgamata con la forma che non è soltanto apparenza, ma piuttosto intenzione. Tra i Counting Crows, Lenny Kravitz e le evaporazioni di David Sylvian i nostri si affacciano al mondo con malinconie sfocianti attesa, ebrezza mattutina pronta a rinfrancare la sera, melodie oltre le righe che non danno nulla per scontato, ma piuttosto creano un flusso, un andirivieni, un moto ondoso di sogni e speranze che racchiudono vita. 


Acustica – Sul fondo (Beng!Dischi)

Sul fondo è quell’iceberg che non vedi completamente, ma che sai nasconde una parte all’interno del mare, all’interno dei nostri sentimenti più nascosti e lì vi rimane a sedimentare, a cambiare forma, ad implementare o inesorabilmente a sciogliersi. Sul fondo degli Acustica è un album complesso che incorpora al proprio interno sonorità ben differenti, ma amalgamate, pur rimanendo in un alternative che stupisce per freschezza, ma anche per ascolti e background musicale. All’interno di questo album si possono udire frammenti di Radiohead, Coldplay, Muse solo per citarne alcuni e la raffinata composizione d’insieme rende armonico un bisogno di comunicare che ben si attesta tra pezzi come Sparirò, Un cane o la stessa title track nel finale. Sul fondo è un album da maneggiare con cura, spigoloso a tratti, morbido e quasi etereo nel complesso, un disco che esplode come una realtà importante, otto pezzi che sono in qualche modo la summa di un rock cantato in italiano davvero originale e da cui non possiamo fuggire.

Marrano – Gioventù Spaccata (Dischi Sotterranei)

Potenza incontrollata scardinata a dovere e implementata dalla roboante necessità di attrarre rumore come calamita e grida laceranti modernità che si fondono con un qualcosa che parte dallo stomaco e intesse trame inaudite di forza e coraggio, di follia e gratitudine dal palco. I Marrano partono con il singolo Belgrado per attanagliare l’ascoltatore in una morsa che è viaggio, che è coscienza perpetua di un mondo vasto, ma in decomposizione. I nostri sono tornati con un long playing generazionale che incrocia la furia dei primi Verdena con il rock dei QOTSA per un album che ha il sapore della gioventù e del cambiamento, del bisogno sostanziale di uscire dalle trappole incontrollate dei nostri giorni per implementare ardite conseguenze e traguardi sperati. Pezzi come il singolo già citato, Torna a casa, Fai ridere, Ce l’hai nel sangue sono spaccati di una nuova realtà da comprendere fino in fondo, una realtà appesa che nel filo della continuità attesta freschezza ad una band che può soltanto crescere. Un disco fresco e coinvolgente per un gruppo da seguire nella propria evoluzione personale.

Denial – Different ways (VREC)

Suoni pregevoli d’oltremanica che incrociano l’indie brit pop lasciando margini di amore da scoprire nelle plurime sfaccettature di una musica che ben si interseca con le intenzioni vissute ed elencate nel disco dei romani Denial, un album che è un omaggio al rock degli anni duemila tra la musica degli Stereophonics, dei Trevis, dei The Verve e degli Starsailor in canzoni che parlano della rarefazione del momento e del continuo incedere sentimentale all’interno di scatole chiuse di vita in un’internazionalità ricca di passione che con naturalezza scava l’animo umano per una prova d’insieme che riemerge dal tunnel delle disfatte quotidiane e si pone tra il riscatto e la rivincita contestualizzando gli ambienti di ogni giorno e percependo, con forte spirito, una musica che si staglia tra il sofferto e lo spensierato, una prova che porta con sé un forte carico di potenzialità ben espresse dal singolo Strong love fino a comprimersi nel finale di Sinking proud in un sodalizio d’attesa emancipato che in questa musica trova lampo di luce alla fine del tunnel.

Il diluvio – Il diluvio (Autoproduzione)

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Lande desolate dove il buio sembra vincere su tutto il resto, un tripudio di colori che abbracciano l’intensità del vuoto e ammaliano di luce grazie ad arpeggi che parlano e partono direttamente da altri mondi, si fanno veri in una ricerca testuale che comprende il nostro vivere dissimulato su spazi profondi, in attesa della pioggia che verrà, in attesa di quel salto nel vuoto da poter apprezzare, vivere e completamente abbandonare per lasciare spazio a nuovi slanci poetici, per un indie rock, questo della band bresciana Il diluvio  che sa apprendere da tutto il filone malinconico indie di band come Radiohead su tutti passando per la velata amarezza dei Fleet Foxes in un ep di cinque pezzi che racchiude la forza intrinseca dei viaggi nello spazio, il bisogno di fuggire per non vivere di rimpianti e quella rassicurata certezza che prima o poi l’acqua tornerà per lavare le nostre ferite, per farci dimenticare, anche solo per un momento la nostra finitudine.

Jumping the shark – Amami (Bananophono)

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Album diretto caratterizzato da suoni viscerali in grado di contemplare bellezza in riff nostalgici delle migliori produzioni degli anni duemila invertendo la rotta e consegnando potenza sostanziale ad un power duo che intensifica e affina la tecnica per consegnarci una prova senza fronzoli e impreziosita da una maturità conseguita con il tempo e nel tempo capace di conquistare palchi polverosi e sogni da destinarsi in un approccio diversificato da sovrastrutture letterarie e musicali che si fanno poesie distorte e di pregevole fattura valorizzando una maturità raggiunta e un primo piano messo a fuoco tra i parallelismi di Dimmi quando verrai a casa fino al fade out di Scomparire, passando per concentrati di vita in Vera show e Marilù a ricoprire pezzi di noi, speranze e illusioni urbane, tra l’orecchiabilità della canzone pop e l’intensificarsi di un rock che sa di internazionalità ricercata, ambita e compressa fino alla potenza del gesto e del suono che vive di vita propria e non ci abbandona.

Senura – Senura (Furious Party)

Suoni che sprigionano un’energia viscerale e strappano al tempo la conseguente forma di abbandono per incanalarsi in un flusso di magma continuo che stordisce come pioggia acida riuscendo a trovare dentro di sé un posto naturale in grado di formare geometrie lineari, ma fragorose, concentrate nel buio costante, nella rivincita e nell’abbandono dei giudizi scaraventando a terra, attraverso una base ritmica dal forte impatto, una necessità di intenti e di sapori che mastica l’attesa e l’assenza partendo proprio dal singolone Norimberga, di colori e scie nel cielo da osservare con occhi all’insù e rincorrendo i giorni-canzoni attraverso l’uso estremamente convincente del linguaggio e delle parole, tra l’iniziale Indaco fino al finale lasciato a I santi i nostri Senura apprendono la lezione del passato per un rock alternativo rigorosamente cantato in italiano che racchiude l’esigenza di oltrepassare le barriere fisiche e mentali, lasciando dietro di sé il ricordo lontano di una luce filtrata attraverso un buio costante e minaccioso, a ristabilire nuove forme di comunicazione e di amore.