Ismael – Quattro (Macramé Dischi)

Cantautorato impresso sulle strade dell’Appennino a parlare di rapporti umani e sradicamento, viscere interiori sregolate dall’assurdo tempo di questo nostro vivere e rimpianti attaccati ad una deriva sempre più imminente, sempre più presente e fagocitante. Quattro è il nuovo disco degli Ismael, un album che si nutre di oscurità e abbandono, un album pregno di quell’attitudine diretta e sfacciata del migliore post punk dei Diaframma intersecato con una musica d’autore che riprende argomentazioni veicolanti lo svanire del nostro io, privazioni di punti cardine, di punti guida, in un ricercare sempre e comunque la bestia onnivora che risiede in noi, la bestia che ha devastato tutta la nostra semplice complessità. Gli Ismael confezionano una prova che riesce a guardarsi dentro, è uno specchio devastante e alquanto veritiero di questi nostri giorni, è un attaccamento alla terra e al suolo, agli alberi e al cielo, alla notte e al giorno. Quattro è una guida accecante che segue il fiume di questo nostro tempo, trasformando i ricordi e le situazioni in anfratti che non lasciano via di scampo, perpetuando l’onnipresente io in qualcosa da annientare definitivamente. 


Ismael – Tre (Autoproduzione)

Al terzo album gli Ismael dipingono poesie impressioniste regalando attimi di luce in un buio che illumina le chiome verdeggianti degli alberi estivi, quasi fosse un’estate relegata al continuo mutamento, un’estate dal dolce sapore mescolato all’amaro dei testi di un cantautorato sbocciato in punta di piedi, pronto ad arrivare a scoprire che poi tutto il mondo ci appartiene e quello stato d’animo adolescenziale si ricopre di nuova linfa in un indie rock ricercato e trepidante con tamburi assordanti e vivace complessità.

Fitte trame si condensano tra le chitarre in leggero delay quasi ad evidenziare un sentiero che si ritrova in bilico tra una pischedelia non voluta e un passo verso il nuovo, atto alla costante ricerca e privo di fronzoli post rock.

Un disco curato, testi cantautorali ben incentrati su di un argomento e ciascuno con peculiare segno di distinzione, armonizzati da un suono Kuntziano primi ’90 contrapposto da scelte stilistiche che riguardano maggiormente gli ultimi Marlene, più evocativi e criptici.

Rabbia, dolore e senso di abbandono si scagliano tutti d’un fiato a ricreare nell’ascoltare un senso di smarrimento che in poco tempo ti fa catapultare nel pensiero di Sandro Campani autore delle musiche e dei testi di tutte le 11 tracce, quasi fosse un nuovo De Gregori alle prese con un cambiamento generazionale inevitabile.

Un disco maturo che alterna in modo deciso momenti di chiaro scuri esistenziali, pronti a colpire e a lasciare il segno.