Meganoidi – Delirio Experience (Meganoidi)

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I Meganoidi sono ritornati con un album colorato e pieno di sfaccettature che vede il rock porsi come essenza centrale e soprattutto come chiava d’unione tra passato e futuro in un’esperienza basica di fondo a racimolare il gusto per le radici di una musica che sembra non avvertire il minimo segno della vecchiaia che avanza. Delirio experience è un caleidoscopio mirabolante che non disdegna i ritornelli pop, quelli che si fanno ricordare, donando al tutto una connotazione diretta e sincera, un modo semplice e utile per restare vicini ai propri fan e al mondo in costruzione che i genovesi, nel tempo, hanno saputo ampliare. I pezzi, nel loro complesso, creano un’omogeneità fresca ed invidiabile e riescono ancora a parlare di vita reale senza scadere nel banale o nelle ovvietà intessendo architetture semplici, ma di facile appeal, dove i testi si dipanano tra luce e oscurità, visione d’insieme e introspezione per un risultato finale che porta i Meganoidi ad una genuinità reale attraversata da un mondo che si racconta grazie all’impatto di dieci canzoni in bilico tra classico e modernità, sostanza chiara e bellezza immediata. 


FASE 39 – Imperfetto (Autoproduzione)

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Ep minimale che abbandona l’elettronica del primo disco consegnandoci una prova dal sapore internazionale e duraturo, un insieme di canzoni congegnali che attraverso una commistione di generi smistano il pop con l’hip hop e l’r’n’b potenziando un interesse d’insieme che in questi brani ritrova un punto di origine, un punto di contatto con qualcosa di primitivo a riscoprire radici e pensieri, a rimarcare ancora un desiderio di sopravvivenza che nell’imperfezione si fa soggettività a tratti analitica, a tratti disincantata, un’idea sincera nel riappropriarsi di un mondo che sembrava perduto. Il disco dei FASE 39 è un agglomerato urbano di pensieri, un’immagine in movimento, non statica, del nostro vivere la quotidianità e il tutto viene raccontato attraverso pezzi simbolo come la stessa title track o la bellissima Cristallo in un vortice di sensazioni che colpisce al primo ascolto. Imperfetto non è solo un disco, è uno stato, è il nostro vivere e la band di Torino riesce nell’intento di delinearne contorni e sovrapposizioni che vanno aldilà della banalità di questo tempo. 


Amandla – Non ci pensare (Autoproduzione)

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Poppettino ben condito a dovere che non disdegna gli approcci elettronici e alternativi a ricucirsi un ambito addosso che cerca nella marea delle produzioni italiane un piccolo posto dove abitare. Amandla è un disco d’esordio che si può definire acerbo, ma nel contempo è un album affascinante, niente è troppo esacerbato, ma piuttosto il tutto trova una propria collocazione, un proprio ambito d’interesse che si esprime in canzoni intriganti capaci di parlare di modernità e di giorni ad umori alterni. Niente di nuovo sul fronte occidentale, anche se i nostri ci mettono impegno e determinazione e si sente in queste otto tracce a tratti distorte, a tratti più riflessive. Canzoni che parlano di un mondo in dissolvenza, un mondo che non sa comunicare con le generazioni, un mondo statico nella sua perenne evoluzione. Non ci pensare sembra quasi un monito, una visione d’insieme in grado di ambire ad una ricerca minuziosa, ad una strada da seguire che nell’incontro riesce a conoscere e a ritrovare un proprio stile di sicuro interesse e facile appeal. 


The Johnny Clash Project – s/t (Rocketman Records)

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Impresa riuscita ampiamente di tradurre in musica un pensiero dominante e stratosferico che caratterizzò la fine degli anni ’70 con la musica dei Clash qui rivisitata per l’occasione come fosse il grande Johnny Cash a sottoporre in esame passaggi epocali di un suono che ricordiamo ancora adesso. Il progetto del trio bolognese riesce nell’intento di riportare in auge, per intero, il primo disco di Joe Strummer e compagni con attitudine folk e rock’n’roll sedimentato a dovere e intessuto di occasioni capaci di arginare il rischio della banalità per una prova davvero impressionante sotto molteplici punti di vista e che permette di dare profondità ad una proposta visionaria e rivolta ad un mondo vintage e analogico che prevale su tutto, quasi a percepire ancora il calore delle valvole fumanti di amplificatori essenziali, ma avvolgenti come non mai. Gli episodi degni di nota sono davvero molti, pensiamo a I’m so bored with the USA o a London’s burning, canzoni capaci di segnare un confine, un’epoca e qui rivisitate con un piglio davvero interessante e mai noioso. The Johnny Clash Project colpisce nella profondità nel cuore, colpisce per bellezza intrinseca della proposta e soprattutto per una capacità quasi ironica di stupire.