Neventies – S/T (Autoproduzione)

European Rockers, Neventies, and their Latest Single, ‘Come on Down’

Una potenza sonora eviscerata a dovere intrattiene melodie metropolitane attraverso un uso sconsiderato di un fascino targato settanta che trova nella consacrazione del rock d’annata un punto di svolta necessario per comprendere così tanta capacità di immedesimazione. I Neventies ci sanno fare davvero e riescono, con la classica formula chitarre, basso e batteria, a regalarci un disco che profuma di libertà e sensazionale bisogno di appartenenza con la storia della musica. Led Zeppelin, Rolling Stones, The Stooges, primi Arctic Monkeys concentrati per l’occasione all’interno di un dischetto dove capacità creativa e appeal emozionale si sposano nel creare un qualcosa di solido e magico. Il singolone Come on down apre le danze per lasciare poi posto alle riuscite Fuck off, Go to L.A., Love to me, Out of control per un’opera d’esordio che profuma di polvere ed esigenza, fuori controllo, di creare la meraviglia partendo da riff nostalgici, ma sempre carichi di un’esplosività pronta ad accendere l’universo intero.


Rio sacro – s/t (Jap Records/L’amor mio non muore dischi)

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Elementi disturbanti e conturbanti. Elementi elettrici che si fondono all’interno delle vicissitudini della vita moderna per creare ispirazioni, sensazioni, nuvole sulfuree. Elementi ridondanti questi, ma efficaci che coprono l’etere di suoni a tratti strampalati, ma essenziali per delineare un quadro complesso, un quadro generale. Il duo umbro Rio sacro ci accompagna all’interno di un paesaggio aspro, ma rigoglioso. Un paesaggio dove arte e natura si fondono per dare vita a strutture in rapida ascesa nell’ottenere i risultati sperati. Ci troviamo difronte ad una sperimentazione percepibile, palpabile. Nulla di omogeneo, ma piuttosto un’eterogeneità sospinta a creare le atmosfere già ascoltate in band come Calexico, Iron & Wine ed impreziosite per l’occasione grazie ad un sentore di italianità presente in tutte le tracce. Il disco del duo umbro è genuino e terreno. Un mix importante di generi a ricoprire di verdi speranze il desolato deserto.


ĀraṇyakAƔnoiantAḥkaraṇA (ĀAAA) – s/t (Family Sounds)

Un nome che non riesco a scrivere. Un nome quasi impronunciabile. Un fitto e composito cambiamento coscienzioso di una parte scardinante il nostro io. Elementi esoterici si fondono con l’India. Con il sapore della guerra. Mistiche visione di una battaglia imminente. Fiumi che scorrono. Eccentricità atta a non subire, ma piuttosto a perpetuare un’esigenza atmosferica tra profezie, suoni, visioni. Poche parole per questa esperienza. Non un disco da ascoltare, ma piuttosto un riassunto indipendente che attraversa lo spazio per come lo conosciamo perpetuando l’infinito con un’energia oscura che tende alla luce. Un’energia impressa nel vortice emozionale di distruzione incamerata. Un’esperienza da vivere oltre l’ignoto. Poi probabilmente il nulla.


Chris Agnoletto – s/t (InLoop Music)

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Album d’esordio per il cantautore pugliese trapiantato in Veneto, disco d’esordio dalle tinte teatrali e potenti in grado di attraversare decenni di canzone d’autore italiana incasellando e incastrando a dovere uno stile che si concentra nel condividere di pari passo contenuti ed emozioni, quasi da grande di un tempo che non c’è più. Incrociatori esistenziali accoppiano la poesia di Fiumani con i Baustelle, passando per il vicentino Fabio Cardullo e per il maestro De André in un vortice di polvere dove la siccità sembra non esistere più, ma sembra prevalere quel senso di necessario da spiegare, da far proprio e custodire. Le canzoni acquistano valore e importanza ad ogni minuto che passa e se Sono ancora qui è prova generale all’interno di un disco dalle molte sorprese, pezzi come Basta così, Canzone per un amico, Carlo e Sara, Il mondo è morto, Sopravvivere controvento sono l’esemplificazione di un amore per la musica che va oltre le barriere quotidiane e ci consente di percepire a fondo il nostro credo, oltre le nuvole disintegrate di questa società. 


The Johnny Clash Project – s/t (Rocketman Records)

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Impresa riuscita ampiamente di tradurre in musica un pensiero dominante e stratosferico che caratterizzò la fine degli anni ’70 con la musica dei Clash qui rivisitata per l’occasione come fosse il grande Johnny Cash a sottoporre in esame passaggi epocali di un suono che ricordiamo ancora adesso. Il progetto del trio bolognese riesce nell’intento di riportare in auge, per intero, il primo disco di Joe Strummer e compagni con attitudine folk e rock’n’roll sedimentato a dovere e intessuto di occasioni capaci di arginare il rischio della banalità per una prova davvero impressionante sotto molteplici punti di vista e che permette di dare profondità ad una proposta visionaria e rivolta ad un mondo vintage e analogico che prevale su tutto, quasi a percepire ancora il calore delle valvole fumanti di amplificatori essenziali, ma avvolgenti come non mai. Gli episodi degni di nota sono davvero molti, pensiamo a I’m so bored with the USA o a London’s burning, canzoni capaci di segnare un confine, un’epoca e qui rivisitate con un piglio davvero interessante e mai noioso. The Johnny Clash Project colpisce nella profondità nel cuore, colpisce per bellezza intrinseca della proposta e soprattutto per una capacità quasi ironica di stupire.


Davide Iodice – s/t (Seahorse Recordings/Audioglobe)

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Miscugli eterogenei di musica classica e musica elettronica in compartimenti aperti che lasciano presagire futuri filtrati da luce soffusa che illumina la steppa innevata e lascia, al proprio passaggio, orme di una meraviglia strutturata e soppesata, affondando i colpi, affondando una voce che si sposa con una musica quasi eterea e ansiosa di contaminarsi ad influenze che per certi aspetti ricordano le sperimentazioni di un primo Battiato, quello lontano dalla forma-canzone pop e più vicino a contesti lisergici e pulizia del suono che vuole ricercare, nella commistione di genere, un proprio punto di fuga, un punto di atterraggio da dove poter meravigliosamente proclamare il proprio senso di libertà profondo in comunione con la natura circostante. Un disco non di facile ascolto, richiede più tentativi per immagazzinare l’insieme di sfumature che si protraggono all’orizzonte, di certo il nostro Davide sa confezionare una prova stilistica davvero notevole, caratterizzante e portatrice di una bellezza inconfondibile e originale.

The Pier – s/t (Faro Records)

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Improvvisazioni sonore che si ritraggono dal fondale azzurro cielo per andare a colpire la notte nei suoi punti più nevralgici intessendo trame geometriche consequenziali, quasi prive di logica e sulfuree occasioni di rimembrare una ventata ariosa di indie rock contaminato a dovere, difficile da incasellare, difficile da descrive e in grado di porsi da tramite essenziale nei confronti di un mondo in rovina, aggiustando il tiro e incrociando sonorità che si dispiegano e rendono gli arrangiamenti sostanziosi, mirati e prorompenti, per un disco senza titolo quello dei The Pier, un disco che travalica il sogno e travalica il quotidiano, lontano da forma consuete di inscatolamenti pop e vicino a forme sonore soggettive impreziosite da un’introspezione che culmina in pezzi come Exit Flowers o la finale Pier per un album da leccarsi i baffi in questo finale di anno, un album così categorico da non poter essere ricondotto a nulla se non alla mente contorta e in continuo divenire di questa band pugliese che stupisce rinvigorendo il passato rock stantio e primordiale.