The Blue Giants – Flamingo Business (Autoproduzione)

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Puro Rock’n’roll dalla provincia di Vicenza in sodalizi con una musica ammiccante al passato che trova in questa modernità un punto di svolta o forse una pure e semplice ricerca delle origini che diventa contrappunto sonoro per questa ed altre soddisfazioni. Dai Ten years after fino ai Led Zeppelin i nostri non fanno dell’originalità un’arma vincente, ma piuttosto ricercano egregiamente una purezza di suoni dimenticati che nell’immediatezza e nell’urgenza trovano un forte impatto emozionale capace di scardinare e rendere attiva quella parte dormiente del nostro cervello. Flamingo Business è un album di puro rock di qualche decade fa, un album grandemente suonato, una prova artistica che se solo in futuro riuscisse ad osare di più permetterebbe ai nostri di guadagnare posizioni nel panorama di genere della musica italiana. Questo resta comunque un disco composito, dove le architetture non sono di certo banali e dove la speranza di compiere una rivoluzione ha gettato le basi in questa manciata di canzoni sovrapposte e dannatamente vissute. 


Livida – Io non ho paura (VREC233)

Io non ho paura by Livida

Rock che si intensifica ascolto dopo ascolto coadiuvato per l’occasione da testi diretti, maledettamente pop, di facile digeribilità, ma nel contempo di certo non scontati, intessuti da trame concentriche che rendono la prova dei Livida un incrocio tra passato e presente dove la maturità musicale si fonde con un qualcosa di immediato, urgente, non di circostanza, ma ricco di spunti che parlano di vita moderna, di vita vissuta, di amori che si consumano all’imbrunire di una sera qualsiasi. Io non ho paura è un album di per sé omogeneo, racchiude al proprio interno delle buone tracce che sanno in qualche modo emozionare e garantire un appeal con un pubblico che nell’urgenza del momento trova la propria valvola di  sfogo per parlare di quotidianità e di intensificazioni che via via approdano verso lidi di puro interesse musicale. Su tutte spicca il capolavoro Sette lacrime, summa forse di un album da far nostro ascolto dopo ascolto, in una speranza sprigionata nell’attimo appena trascorso.

Eradius – Eradius (Resisto)

Disco omonimo di debutto per il potente duo italo-britannico formato da Richard Dylan Ponte e da Edoardo Gomiero, un album espressivo al massimo che ingabbia lo stoner fino a disintegrarlo con sferzate di rock apocalittico da fine del mondo accentuato da fraseggi che ricordano band come Tool o RATM in un dominio esistenziale dei propri strumenti che rende il combo una perfetta macchina da palco pronta a suscitare emozioni impattanti e dal forte contrasto che non si lascia a momentanee illusioni, ma piuttosto trasforma il momento in qualcosa da assaporare, da vivere pienamente. La chitarra e la batteria quindi sono l’ossatura portante di questo duo composito a comprimere e successivamente a far esplodere decibel interiori, decibel di memoria in pezzi come Poison Eyes, Democracy, Desert, Raise and Resist o la finale Digital Puppetz in un crescendo continuo di soddisfazioni e di denuncia, di rabbia e di abbandono a scavare all’interno di ciò che abbiamo di più nascosto. Gli Eradius, ne sono certo, non ce li dimenticheremo facilmente.

Ladri di Mescal – Mediterranea (Autoproduzione)

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Musica priva di barriere capace di narrare una quotidianità sospesa sul filo dell’acqua, sul filo teso degli oceani che inglobano i nostri pensieri giorno dopo giorno, tra meraviglie elettriche e sferzate di rock che convincono e non si lasciano intimidire o influenzare dai cliché moderni. Il nuovo dei Ladri di Mescal è un album che continua un percorso musicale capace di comunicare in primis un senso di appartenenza con tutto ciò che ci circonda, attraverso pezzi viscerali, taglienti e in parte pungenti, attraverso una voce che convince grazie anche ad un comparto strettamente ritmico e solistico che rende l’intera proposta ascoltabile e ricca di immagini atmosferiche che parlano di mondi utopici, ma carichi di speranza dove le sfumature rendono l’idea di mondo e dove l’essere noi stessi, attraverso i sentimenti, supera i vincoli preimposti. D’amore si muore, ma anche la stessa title track o Il verso giusto sono l’esemplificazione di una poetica improntata sul tangibile. Canzoni poi come la finale Sospesa abbracciano significati di ampie visioni pronte ad estendere il circuito emozionale oltre il classico compitino fatto bene e fine a se stesso garantendo ai Ladri di Mescal un cammino aperto a sempre nuove sperimentazioni e soddisfazioni.

Nues – Lucido (Autoproduzione)

Suoni che abbracciano il tempo passato e si fanno portatori di un suono blues in questo disco dei Nues, progetto nato per cercare di dare ispirazione e melodie ad una musica latente capace di coordinare temi attuali e interiori con suoni velatamente rockeggianti che si muovono su quel confine non sempre preciso che comprende e sfiora la musica d’autore con le tinte oscure di un suono elettrico in profusione continua. Nues in sardo significa nuvole e grazie a questo insieme di canzoni i nostri ci fanno entrare all’interno di un mondo fatto di disillusioni ed età adulta raggiunta, di rimpianti forse, ma anche di desiderio contemporaneo di esprimere qualcosa, un significato, un pensiero, una metafora di vita. Lucido è la rappresentazione quindi di uno stato fisico e mentale ben evidenziato con pezzi quali Genova, Il blues dell’ubriacone, Strana-Mente e Occhi di vetro, canzoni che intensificano significati quando si percepisce tangibile la presenza di Davide Marzocchi alla tromba, strumentista capace di dare un valore aggiunto alle già buone composizioni di base in un risultato finale che nella conclusione New raggiunge apici davvero importanti. Lucido è la consapevolezza di avere tra le mani un disco capace di racchiudere gli interi attimi di una vita in rock.


Lennon Kelly – Malanotte (IndieBox Music)

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Potenza combattiva che apprende dal punk folk la strada da seguire intessendo trame di sicuro appeal che ben si prestano a rappresentare questi animali da palcoscenico  in grado di scaraventare folle grazie ad una musica sempre sul pezzo, attiva, ironica, tagliente e pungente, mai banale. A tre anni dal disco d’esordio i Lennon Kelly tornano con un disco folgorante che non lascia spazio d’azione e non lascia respirare, si mescolano prontamente i suoni dell’Irlanda con un combat rock mescolato alla musica d’autore raccontando di radici e di attaccamento alla propria terra, citando Tolkien e i classici del passato, in una narrazione che si fa leggenda anacronistica e fuori dal tempo quindi per come lo conosciamo. Pezzi come Mazapégul sono necessari per entrare nel mondo dei nostri mentre canzoni come Nobel per gli stronzi non risparmiano di certo nessuno e non si pongono certo il problema della morale o del buon costume. Long John Silver sarebbe perfetta per una partenza senza ritorno, mentre la title track rinsalda il legame di una famiglia che stupisce canzone dopo canzone. Malanotte è una chiara dichiarazione d’amore per il proprio essere, un guardare al passato con gli occhi di un bambino riscoprendo la magia del momento, la magia di ciò che non tornerà più.

Monolithic – Elephant (Autoproduzione)

Ascoltando i Monolitich sembra quasi di avere nel salotto della propria casa i Pink Floyd che fanno stoner mescolato all’hard rock più disperato con improvvisazioni psichedeliche che stupiscono per suono granitico e ben impostato e rabbia esplosa a dovere in un concentrato di azioni che si dilunga in aperture, costrutti eviscerati a dovere traccia dopo traccia, canzone dopo canzone in sodalizi con un passato che non c’è più, ma nel contempo con gli occhi protesi al futuro. Da Moloch fino a Spleen Mountain’s Giants  si passa di genere in genere, tra attimi che si fanno pensierosi fino a vere e proprie potenze di fuoco espresse. Importante in due parti la mutevole e cangiante The umbaptized and the Virtuous Pagans elaborata a dovere, quasi una jam session evaporante e potente nella sua interezza; basterebbe solo questa canzone per comprendere la caratura invidiabile di questo trio composito. Elephant è uno sguardo nell’interezza e nel contempo nella singolarità, sei canzoni per una band in costruzione che ha tutte le carte in regola per diventare capofila di un genere evolutivo e alquanto contagioso.

Stella Maris – Stella Maris (La Tempesta Dischi)

Difficili da descrivere queste scintille che appaiono nel firmamento musicale come regalo di Natale anticipato e che di certo non delude, ma piuttosto illumina di infinite possibilità e attimi un bisogno essenziale di ritrovare un certo tipo di musica, un certo tipo di sostanza approdata nei meandri e dal nulla esplosa in tutta la sua conturbante bellezza. Stella Maris è una super band formata da Umberto Maria Giardini, Ugo Cappadonia, Gianluca Bartolo de Il pan del diavolo, Emanuele Alosi de La banda del pozzo e Paolo Narduzzo degli Universal Sex Arena, un gruppo che esce dagli stilemi dei singoli elementi per dare voce e vita ad un progetto interessante e sospeso tra il passato, quello degli anni ’80 degli Smiths per intenderci passando per un certo cantautorato moderno che incrocia le poesie di Benvegnù e si definisce all’interno di un disimpegno impegnato. Nonostante la cifra musicale sia spesso scanzonata i testi sono sempre legati ad un certo interesse per gli ossimori e per le prese di posizione in questa società malata. Intenzioni quindi e aria vintage proclamata che si fa sentire in una maturità di fondo esemplare capace di caratterizzare pezzi come il singolone Eleonora no, senza tralasciare canzoni come Rifletti e rimandi, Piango Pietre, Coglierti nel fatto o la parvenza di suite sonora finale Se non sai più cosa mangi, come puoi sapere cosa piangi?.  Stella Maris è un disco folgorante, strutturalmente impeccabile che insegna alle giovani leve e non solo che un certo tipo di musica è ancora possibile in questa aleatorietà disturbante.

Effepunto – Coccodrilli (LaBellaScheggia)

album Coccodrilli - Effe punto

Confusione allo stato larvale per comprendere in anticipo la propria morte attraverso un cantautorato sghembo a tratti rilassato che pervade l’intera produzione di rimandi ad una scena quasi beat e psichedelica per un concept album che raccoglie idee prima della fine di questo tempo. Fatti quotidiani si alternano ad emozioni e stati d’animo che incupisco e nel contempo si fanno portatori di colori vivaci e leggeri, quasi prendendo poco sul serio discorsi così importanti che non troveranno mai una risposta. Effepunto, già con Ministri dal 2009 al 2013 ci prova con un concept d’altri tempi, rocambolesco per certi versi, dove il filo della matassa si percepisce nell’intero ascolto di queste sedici tracce verbose e suonate per l’occasione anche da Gianluca Gambini, Jacopo Tarantino, Federico Dragogna, Andrea Sologni. Coccodrilli è un concentrato onirico di sogni e paure, di fallimenti e speranze, di tutto quello che abbiamo in testa, ma che non riusciamo a dire nell’insieme di gesti e parole che caratterizzano il nostro vivere di ogni giorno.

Vea – Posto Fisso (Autoproduzione)

Ironica e arrabbiata Vea partorisce un disco che parla di quotidianità a non finire attraverso una musica d’insieme  che si espande in un EP di sei tracce dove le questioni di ogni giorno si fanno presenza costante nel raccontare una parte personale di vita che in qualche modo ci riguarda da vicino. Le funamboliche interpretazioni vocali fanno da contraltare ad una base ritmica e strumentale davvero interessante che non si ferma al già sentito, ma piuttosto incasella attimi originali che tralasciano gli assoli classic rock per imbrigliare il tutto in un’indipendenza di fondo davvero interessante sotto molti punti di vista. La figura della donna centrale quindi da Mobbing fino a Tutto di me passando per pezzi come Lobotomania e Party è essenziale per capire la poetica della nostra Vea. Canzoni strutturate e ben congegnate danno valore a significati odierni, cercando uno spiraglio di luce dominante dove luce non c’è in una profonda comunione con i sentimenti che aleggiano nell’aria e trasformano la vitalità espressa in concetti chiari e del tutto condivisibili.