La banda del pozzo – La banda del pozzo (Autoproduzione)

Un’autoproduzione con stile che fa sognare di mondi lontani e interseca quello stato racchiuso dalla bellezza del suono che incrocia i ritmi swingati e cantautorali narranti, in un vortice di sospensione millesimata e certamente indirizzata a contenere spunti e riflessioni, quasi fosse fame d’aria; un cambiamento di coscienza e forte personalità per questa band che nonostante sia al primo disco regala una prova certamente riuscita e coinvolgente.

Loro sono La banda del pozzo, nati in Sicilia, ma stanziati a Milano, hanno saputo creare, grazie a una raccolta fondi di più di 6.000 euro, un disco cesellato a dismisura, ricompensando i donatori con serenate notturne, cene siciliane, scherzi telefonici e quant’altro sia sgangherato e connesso alla stravaganza della band.

Un album che già al primo ascolto colpisce per cura del particolare, e rapisce per suoni sempre azzeccati, dando origine a collaborazioni con artisti del calibro di Mattia Boschi dei Marta sui tubi, Alessandra Contini e Gianluca De Rubertis dei Il Genio, Tiziano Cannas e Dario Ciffo per i Lombroso e Francesco Sarcina delle Vibrazioni in veste anche di produttore del pezzo Gina.

Freme ancor apre le danze, passando per L’illusione ti fa bella e Gina, convincente a dismisura La notte di San Giovanni per un finale meraviglia con Artie (e falla innamorar).

Un disco ballabile e sentito, romantico, ma con un piglio di ironia, capace di sostenere e autosostenersi in un turbinio di colori che abbracciano milioni di mondi ancora, tra un Fantastic Mister Fox di Anderson e la poesia moderna dipinta.

Voina Hen – Noi non siamo infinito (Maciste Dischi)

La realtà sbattuta in faccia, la realtà che squarcia le giovani generazioni e le protende ad un ineluttabile destino, in cerca di appigli dove potersi aggrappare, dove poter sperare, in contesti fuori da ogni schema di logica comune e altrettanto disadattamento per i pensieri, quelle molecole che fanno funzionare le nostre vite e ci rendono forse ancora più liberi.

I giovani Voina Hen sanno che cosa vogliono e sono alla costante ricerca di tutto questo, ci raccontano di un’Italia che non funziona e parlano delle aspirazioni dei ragazzi di oggi, lo fanno con rabbia, rabbia contro il sistema, una rabbia però costruttiva che si confessa e ci rende partecipi dello sfacelo, partire da quell’idea di fondo che noi non siamo nulla, noi non siamo infinito, noi non siamo quello che gli altri vorrebbero che fossimo, siamo tutti diversi e soprattutto non vogliamo una vita fatta di cliché e di banalità che ci sommergono.

Ecco allora che dal punto di vista musicale i nostri incrociano i Ministri passando per i FASK e condividendo quella protesta vissuta in piazza che deve essere il segno del cambiamento, non un semplice lanciare messaggi, ma una vera e propria presa di posizione verso una cieca sovranità nazionale.

Prodotti dalle menti contorte, ma efficaci, di Manuele Fusaroli e Marco di Nardo i Voina Hen confezionano undici pezzi di puro indie rock nostrano, partendo dall’elettrizzante tempesta e concludendo il tutto con la fine/inizio del tutto Il funerale; undici brani di grande spessore che parlano di fallimento e di rinascita, di scoperta e di amore per quel qualcosa che si chiama vita.

La sindrome della morte improvvisa – Di Blatta in Blatta (Autoproduzione)

E’ lo scarafaggio che si insinua nella tua mente, è quel pezzo di giovinezza assemblata che non ritrovi più da un giorno all’altro, è quell’essere che scalpita e ti tiene inchiodato dentro ad una prigione immaginaria, una compostezza che si apre in deflagrazioni sonore, un incedere piano e sincopato per poi aprirsi al nulla che avanza.

Ep immacolato con cambi umorali degli di una rock band che sa il fatto suo e si concede trattenendo il fiato, apnea serrata e liquefatta pronta a consegnarci una prova spettacolare e distorta, quasi malata, la metamorfosi kafkiana che si ripropone a noi, scendendo sempre più negli abissi a riscoprire ciò che abbiamo perduto.

Anticonvenzionali per scelta e per necessità i nostri lombardi sfoderano quattro pezzi Blatta, Buscemi, Korsakof e Sfiati nel cranio: quattro immagini scritte nel libro del tempo a rincorrere parole che a poco a poco si concentrano su di un’essenzialità che fa da rimbombo esistenziale.

Un eco poetico, un trascinarsi di moto ondoso, fino all’oscurità, rapiti da qualsivoglia forma di vita, rapiti da una coscienza che può essere rappresentata solo dal buio dentro di noi.

Alessandro Sagresti – Ogni giorno (Alka Record Label)

Cantautorato che si esprime docilmente quasi in maniera raffinata fin dagli inizi per aprirsi pian piano ad incontrare sovrapposizioni elettroniche e parole efficaci per narrare un concetto, una storia, che fa parte del nostro essere al mondo e racchiude quella capacità intrinseca di far si che l’amore per la musica si trasformi in un qualcosa di condivisibile e puntualmente preciso.

Alessandro Sagresti nasce a Milano e coltiva dentro si se il pensiero che la musica debba essere rinascita e nuovo modo per affrontare le avversità tra malcelati chiaro scuri esistenziali che si fanno veicolo per accese ripartenze ed uno sperato rinascere che racchiude il senso intero della vita.

Quattro canzoni per un ep ben congegnato, quattro pezzi da Energia Libera passando per l’autobiografia Io sono così, veicolando il tutto con la ritmata Ogni giorno e la chiusura di denuncia Spegni la televisione.

Impressioni e acquarelli in pittura che delineano le esistenze e che si promettono un nuovo inizio, una nuova era per tutti Noi fatta di cose semplici e narrazioni delicate, cariche di quel cantautorato che si da per raccontare.

Victoria Station Disorder – Non è questo il giorno (Gente Bella)

I Victoria Station Disorder confezionano cinque brani con i fiocchi intrappolati in un’elettronica molto particolare e ricercata che attinge direttamente agli albori dei costrutti tra Kraftwerk e NIN in divenire, elegantemente e prepotentemente confezionata  in modo che l’amore verso l’avanguardia si trasformi ben presto in un qualcosa di tangibile ed essenziale.

Suonano come fosse l’ultima volta, suonano per creare innovazione sonora e di certo nel 2015 questo è un punto a favore di questa band milanese che sa sicuramente quello che vuole e lo dimostra in Non è questo il giorno dove qualsiasi suono esce come fosse idea einsteniana da carpire e ricondurre ad un filo comune ed essenziale.

Primo EP dall’avvento del nuovo vocalist Alberto Pernazza Argentesi che come un megafono sciolto si lascia a refrain continui e ossessivi, parole che entrano dentro e scorrono come sudore da asciugare, scorrono e si dimenticano del tempo, tra tastiere filtrate e chitarre esasperate in delay che sovrastano, scaldano e si consumano.

I testi poi raccontano di vita sciolta, di vita da raggiungere in un completo appagamento che non risolverà mai la nostra sete d’aria.

Disco ben congegnato, dal sapore di rivolta, che alle volte non fa di certo male.

Il Fieno – I Vivi (Autoproduzione)

 

Il Fieno

Il fieno continua il proprio percorso alla ricerca della canzone perfetta.

Il fieno ci regala finalmente il primo full legth dopo i primi due ep di qualche anno fa.

Prodotto da Paolo Perego, I Vivi è un disco di materiale scottante, che parla della dura realtà che dobbiamo affrontare e di quell’eterno equilibrio a cui siamo sottoposti giorno dopo giorno, istante dopo istante quasi fossimo noi protagonisti apatici di una vita che non ci appartiene.

E forse il fulcro del tutto parte proprio da qui, dalla necessità di creare qualcosa per noi che sia bene e in questo Il fieno ci aiuta  a trovare la strada, a smuoverci dalle comodità della televisione per renderci partecipanti attivi del mondo in cui viviamo.

Le otto tracce presenti hanno il sapore dolce-amaro di una pop song targata ’90 proiettata però negli anni in cui viviamo, dove a costringerci a restare a galla sono i pochi ricordi che ci appartengono.

Una commistione quindi di sonorità che si amalgamano in modo egregio e spettacolare e ci fanno sentire un qualcosa di già sentito nel singolo Del conseguimento della maggiore età, rafforzando l’idea dominante e colpendo dritto al fondo.

Un disco che fa e che farà centro sulle nostre realtà, sulle nostre paure e sulle avversità da affrontare, un album per chi resterà, per noi Vivi in attesa di compiere il salto nel vuoto che ci attende.

La musica è un lavoro. MusiCraft lancia la sfida.

LA MUSICA E’ UN LAVORO.

E SE VUOI CHE TI DIA DA VIVERE, NON BASTA SAPERLA SUONARE!

MusiCraft lancia la campagna a sostegno degli artisti emergenti e del mondo musicale.

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 La musica può essere un lavoro se considerato come tale, se affrontato con dedizione, consapevolezza e professionalità.

E’ questo il messaggio chiave racchiuso nella campagna #lamusicaèunlavoro lanciata lo scorso dicembre da MusiCraft, la neonata associazione culturale milanese, vincitrice del bando IC (Innovazione Culturale) 2014 promosso e sostenuto da Fondazione Cariplo.

Una campagna partita sui social network (www.facebook.com/MusiCraftIT) attraverso una photogallery di volti incazzosi – più o meno noti – e un teaser tragicomico, intitolato “Musicisti anonimi” che sulla pagina Facebook ha raggiunto oltre 50 mila visualizzazioni in meno di una settimana. (www.musicraft.it/2014/12/musicisti-anonimi-campagna-video-musicraft/).

Una campagna per diffondere, innanzitutto, una cultura della professionalità in ambito musicale, una cultura che il nostro paese non ha compiutamente metabolizzato e che ci porta a vedere la musica come un hobby, una passione, un’attività accessoria. In secondo luogo, una piccola scossa per provare a superare questo senso di spaesamento e di frustrazione che affligge gran parte degli artisti, soprattutto gli emergenti, ai quali occorre dire: “C’è bisogno di darsi da fare. C’è bisogno di cambiare forma mentis, di comprendere i nuovi modelli di business dell’industria musicale. C’è bisogno di essere preparati. C’è bisogno di adattarsi al cambiamento”.

MusiCraft è un’Associazione d’innovazione culturale che sostiene la crescita professionale dell’artista emergente attraverso formazione su auto-produzione e auto-promozione musicale, in un’ottica di self-management (www.musicraft.it). << Siamo partiti nel settembre 2013 e siamo partiti da un’idea, o forse da un ideale! >> racconta Francesca Pagnini, presidente di MusiCraft. << Grazie al percorso d’incubazione vinto tramite il bando IC (Innovazione Culturale), abbiamo cercato di trasformare l’idea in un progetto. E adesso che abbiamo le risorse necessarie, cerchiamo di renderlo un’impresa culturale a tutti gli effetti! >>. Si, un’impresa. Perché riuscire a costruire una community attiva intorno a un progetto d’innovazione culturale, potrebbe essere un’impresa! Oltre a Francesca Pagnini (cantante professionista e operatrice musicale), fanno parte del team MusiCraft: Claudio Avella (artista di strada, nonché chitarrista della band emergente Koyaanis), Alessandro Cesqui (editore e produttore musicale presso Novunque) e Andrea Rossi (consulente amministrativo e finanziario). 

INFO

Francesca Pagnini

Responsabile comunicazione e web marketing

[email protected]

+39 328.1079137

 

The JellyTales – The JellyTales Ep (Autoproduzione)

JallyTales inabissano l’ascoltatore lungo un concentrato di suoni che abbracciano il cantautorato al rock, per toccare l’indie più estremo con accenno di prog e novità nell’aria che si esemplificano in cori puntuali e decisi.

Sono di Milano, sono giovani e amano divertirsi, assomigliano parecchio agli Artic Monkeys, ma strizzano l’occhio anche a The Black Keys e a tutta la scena indie del momento passando per Franz Ferdinand e qualcosa dei primi Arcade Fire.

Chitarre al vetriolo, fraseggio deciso, pronuncia inglese più che buona, fanno di questo ep d’esordio un’ottima carta da sfornare per l’apertura di porte e strade sempre nuove.

Capacità quindi di sintesi e iniziativa sono le caratteristiche principali di questa giovane band che suona assieme dai primi mesi del 2014 e già in grado di confezionare una buona autoproduzione.

Resta ora il tempo che li accompagnerà nella loro crescita personale sperando che resistano alle intemperie del mondo musicale e alle scelte che faranno nel futuro. Ben arrivati anche a Voi!.

 

Ongaku Motel – Ogni strada è un ricordo (Autoproduzione)

Primo disco, primo Ep per gli Ongaku Motel e direi anche prima soddisfazione collettiva per questo gruppo proveniente dal milanese che associa melodie acustiche per cosi dire semplici a testi che parlano di tutti i giorni, quasi a non voler far morire il giorno, esorcizzando la notte che deve ancora arrivare.

Ogni strada è un ricordo, è un racconto di un viaggio e di tutto ciò che uno si porta a casa, un’istantanea di case tutte diverse dove il sapore delle fragranze si mescola ai profumi di terra bruciata, una commistione molto particolare e riuscita.

A livello sonoro ci troviamo davanti a Battisti e a Gazzè, ma anche ai Perturbazione di mezzo, per intenderci quelli di Canzoni allo specchio e Pianissimo Fortissimo; alle volte più introspettivi di quello che sembrano o che vogliono apparire i nostri si concedono cinque pezzi di naturalezza domestica, pronta a stupire e a lasciare il segno.

Le cose che mi hai detto è canzone in stop motion che apre la strada all’introspettiva Le mie paure, la title track è ritmata quanto basta per voler concedersi il lusso di far muovere il piede su e giù.

Chiudono bene il cerchio Settembre e la narrazione sonora di Elia e Michelle.

Un disco di facile ascolto, diretto e immediato, pronto ad essere ascoltato più e più volte, senza rimpianti e senza preoccupazioni, un cammino segnato e una strada da seguire tra vecchie fotografie e ricordi lontani.

Cronaca e preghiera – Cronaca e preghiera (Autoproduzione)

Atmosfere post punk per questo esordio al fulmicotone che interseca sintetizzatori e suoni per cosi dire carichi di malattia ad un cantato Ferrettiano cupo e in fase di raccontare fiabe reali, che come un pugno allo stomaco si concentrano sulla psiche e riversano, odio, amore, giorni passati e militanza nei confronti di ciò che non c’è più.

Inutili i riferimenti, perché si sentono eccome CCCP e compagnia, i quattro divisi tra Milano e Firenze stupiscono per freschezza e capacità di reinventare un genere che sembrava morto e sepolto, ma che in questo disco Cronaca e Preghiera rinvigorisce, prendendo la forma di un qualcosa di concreto, mescolando stili e soprattutto testi, che parlano di blues maledetti, pornografia, vizi e quotidianità, che riguardano pensieri e costanti, giorni e mesi, in una continuo cerchio di disillusione.

I nostri adottano un piglio creativo e con sarcasmo affrontano ciò che più ci ferisce e che si trova sedimentato nel nostro lato oscuro e poco conosciuto .

Un disco quindi fatto di matrice cruda e veritiera, canzoni che squarciano e rendono accessibile l’inaccessibile, pensare alla solitudine di “Condominio”, la decadenza del rapporto in “Ucciderti a rate” o “Costa meno andare a troie” tra i tanti episodi dell’album che trasformano la realtà e la fanno vedere per quel che è e per quel che vale.

11 pezzi che si trasmutano in realtà, canzoni non per tutti, ma per i pochi eletti che fanno della vita motivo di riflessione e non di semplice consumo.