Decabox – Dissocialnetwork (VREC)

Protesta sociale che si insinua in un rock indipendente che trae linfa vitale da quella capacità che non è di tutti di riprendere temi legati alla vita quotidiana per trasformarli in modo preponderante, attraverso un suono convincente che a distanza di tre anni dall’ultima fatica si riempie di improvvisazioni sonore che trasportano, comprimono e con eleganza ti portano a costruire nuove realtà.

I Decabox in fin dei conti fanno un gran bel pop radiofonico, ma con tutte le carte in regola per essere alternativi e provocando grazie a testi che si discostano pienamente dal costrutto di una musica mordi e fuggi.

Infatti i nostri posseggono la capacità di stabilire relazioni, creare legami  e convincere grazie a 11 canzoni ben costruite e suonate che si spostano su territori rock adrenalinico per incanalare la poesia che li contraddistingue.

Si parte con il singolo Fingere che tutto sia, per finire con Tempo fa in un continuo sali e scendi di emozioni che da quello che posso capire gli amanti dei live possono solo confermare.

The Crocs – Music is a gamebook (VREC)

Questo disco, che ho tra le mani, trasuda di internazionalità sospirata tra le onde del mare, un po’oceanica e un po’legata alla manica, quello stretto passaggio in cui note si insinuano increspando parole di innegabile candore emozionale che scuote e ripercuote lasciando facili poesie alle prese con il passare del tempo che scorre.

Un genere fresco e frizzantino questo dei The Crocs, band milanese, che nel loro nuovo album si conce di trasformare l’inerte in qualcosa di pulsante, dando vita alla macchina arrugginita dello spettacolo; apoteosi granitica in chitarre onnipresenti, costanti e lisergiche.

In questo disco si sente parlare molto il linguaggio moderno, l’orecchiabilità delle canzoni è quasi stupore che si intensifica traccia dopo traccia nelle parvenze mistiche di Linkin Park e The Rasmus, raccogliendo l’eredità degli Stereophinics  e ammiccando con semplicità ed efficacia  al raccogliere consensi tra la folla.

Una musica suonata, studiata ed equilibrata, mai banale, che si concentra sull’essere e non sull’apparire, dando senso alla completa forma.

Medulla – Camera Oscura (Autoproduzione)

copertina album  Medulla - Musica  Camera Oscura

Entrare in una camera oscura dopo un flash poderoso e introspettivo, dove a pagare il riscatto per l’uscita di scena è il tempo  inesorabile che sbaraglia la concorrenza e relega il possibile all’impossibile.

Una fotografia impressa nella mente, una pellicola che conosce il profumo del tempo e come buon vino maturato al sole  i “Medulla” confezionano un degno secondo album dai tempi di “Introspettri”, acquisendo un suono più maturo e al tempo stesso elegante, contaminato dalla miglior scena italiana in primis fra tutti “Teatro degli orrori”, “Baustelle” e “Paolo Benvegnù”.

I quattro di provenienza “periferia Milano Ovest” sembrano voler racchiudere all’interno delle dodici tracce di “Camera oscura” tutta la rabbia che si respira tra il cemento e il degrado, tra le macerie e gli eco-mostri che non si differenziano dal cielo grigio, una rabbia che deve essere il punto di svolta per un miglior domani, un punto di svolta per fuggire da un cubo di piombo che distrugge senza comporre; quasi ad essere un puzzle legato da tasselli mancanti.

Ecco allora che il suono prende forma tra le chitarre di Michele Scalzo, quest’ultimo anche alla voce, coadiuvato dai synth di Carlotta Divitini e il basso di Marco Piconese, con la solidità ritmica di Giuseppe Brambilla alla batteria.

Un suono in continua ricerca ed espansione, che si permette incursioni parlate in pezzi come “Il nulla” e nelle finali “Il coniglio” e “La tenebra”.

Un disco ricco di chiaro-scuri esistenziali, di bianchi e neri che inesorabilmente cercano una propria via d’uscita: quasi ad essere come dispersi in un labirinto, quasi ad essere sostanza aggregante che congiunge molecole diverse, per far spuntare, tra il cemento, sempre e comunque  un po’ di vita.

Zivago – Franco ep (I dischi del minollo)

zivago-ep2013Gli Zivago raccontano storie sussurate, tristi, allegre, bianche, scure piene di ricordi da poter decifrare in silenzio, un ascolto ricco di attenzioni verso ciò che è stato per perpetuare un moto infinito, silenzioso quasi perfetto.

Una chitarra elettrica pulitissima che trasforma il cantautorato in avanguardia concentrando suoni ed echi profondi lungo le sei tracce di questo Ep dai risvolti crudi, sinceri e immacolati.

Gli Zivago sono Lorenzo Parisini alla voce, chitarre, basso, tastiere e Andrea Zonescuti alla voce, batterie e tastiere che registrano in CasaMedusa grazie a Paolo Perego (Amor Fou) e Francesco Campanozzi (Le gros ballon, the pianomachine) il loro “Franco ep” mentre la masterizzazione viene curata da Cristian Alati (Gatto Ciliegia).

Canzoni sul tempo, sull’insegnamento, un quadro impressionista che regala emozioni suggestive quasi un’indicazione di come usare i colori nel corso del giorno che avanza.

Ecco allora che pezzi come “Adele o dell’attesa” e “Fragilità” si fanno spazio in modo preponderante lasciando alla bellissima “Considerazioni” il tempo per avanzare nella finale “Domeniche di Maggio”.

Un disco in cui gli accorgimenti stilistici sono un valore aggiunto per completare un’opera fatta di piccole storie e grandi parole.

Un incontro importante per chi vuol fare musica in Italia, quasi d’obbligo aggiungerei io.

Gambardellas – Ashes (BigWave Records)

Con i Gambardellas, in soli quattro pezzi , si ripercorre la storia dell’hard rock tardo ’70, prima dell’invasione “new wave” e prima di tutto ciò che possono simboleggiare gli anni ’90 con annessi e connessi.

Un suono granitico, preciso e tagliente, registrato con maestria e corposo quanto basta per definire attimi di ispirazioni post bellica, da granata deflagrante e pronta a distruggere le idee che uno si può fare guardando la cover del disco.

Una cover quasi esoterica, che abbraccia il senso di certe copertine di quegli anni, con la capacità di intravedere lo spazio per un attuale innovativo, presentando agli ascoltatori un proprio stile: se non del tutto originale sicuramente in evoluzione.

Solo quattro canzoni che si ascoltano d’un fiato e ti fanno capire quanto di buono ancora c’è in Italia, tanto criticata a volte e persa nei dibattiti sull’importanza di cantare in italiano in un’era, cazzo, dove tutto ciò che ci circonda fa parte di un mondo più grande, internazionale, cosmopolita.

I tre si prendono il lusso di rifare “I got mine” dei “Black Keys”, ancora più dura e in tiro dell’originale.

Un gruppo, ne sono certo, bravo quanto basta da riuscire a trasmettere in pochi attimi un concetto ed un’energia non comuni tra le giovani band.

I Gambardellas sono Mauro Gambardella, Glenda Frassi e Grethel Frassi: pronti un’altra volta a farvi vibrare la terra sotto ai piedi.

La linea del pane – Utopia di un’autopsia (QB Music)

http://www.rockit.it/copertina/24303/la-linea-del-pane-musica-utopia-di-unautopsia.jpgCosa può arrivare dopo una giornata cupa fatta di nuvole scure e tetre dove un dipinto non può essere che contorno a un cementificio a cielo aperto?

“La linea del pane”, band milanese, è un concentrato ben studiato di cantautorato che si porta con sè il peso degli anni dove la musica d’autore regalava emozioni a non finire, ad ogni ascolto.

Perlustrando nei meandri l’intensità di questa band, si possono sentire echi di “Non voglio che Clara” più elettrifcati, toccando apici Kuntziani dove il Cristiano di turno si esalta scrivendo testi di immacolata bellezza e simbiosi con chi ascolta.

Un disco che suona perfetto stilisticamente, alcune canzoni mi ricordano il miglior Graziani; quelle canzoni da canzoniere che vorresti trovarti a cantare ogni giorno tanto efficaci quanto durevoli.

Allo stesso tempo gli 11 brani sono un viaggio interiore difficile da comprendere fino in fondo, ma così deve continuare ad esserlo; ciò che non è svelato nell’immediatezza sa regalare sempre delle piccole positive sorprese.

Ed ecco quindi un disco che inizia con i toni soft e velatamente pop di “Apologia della fine” per concludersi nella dolcezza di “Solstizo d’inverno” dove Teo canta l’anticipo è in ritardo e il Natale è già in Novembre, a sancire l’abitudine di anticipare i tempi senza vivere realmente il presente.

Un album che racconta con stile la decadenza inconscia del mondo.

Se solo potessimo avere maggiori sorprese di questo livello, se…

 

 

Calvino – Occhi pieni occhi vuoti (Autoproduzione)

Ascoltatevi il primo Vinicio Capossela con sprazzi del miglio Battisti intimista, aggiungete poi i Non voglio che Clara e l’elettronica puntuale e di sottofondo dei Gatto Ciliegia e vi ritroverete in un mondo fatto di impressioni e gesti veri, tra i più puri che si possano ascoltare in questo periodo di forte rumore e frastuono.

calvino

Mauro Ermanno Giovanardi e Mario Venuti avrebbero qualcosa da dire ascoltando i Calvino, progetto del cantautore milanese Niccolò Lavelli, che ricorda i La Crus per stile e impostazione canora.

Solo quattro pezzi di presentazione per entrare in un mondo di impressioni e visioni di vita che si sposano perfettamente con il passato facendo da tramite, da ponte con un punto di vista sempre originale e mai banale.

 

Bellissima “Nella città”, più movimentata “L’amore in aria”, mentre si ritorna nelle atmosfere sognanti con “Il clochard e la Senna” canzone amara quanto reale.

A concludere la preziosa “I fantasmi”: ballata orecchiabile dal sapore retrò.

I Calvino a mio avviso sono una bella realtà con numerosi punti di forza e grandi capacità personali, gli arrangiamenti si fondono in groove pacati e azzeccati e la linea melodica rispetta un certo rigore ed essenzialità.

Un piccolo disco prezioso da custodire e da far ascoltare solo a chi può cogliere fino in fondo il profumo di queste canzoni.

Galleria Margò – Giro di vite (Rocketman Records)

Un album sicuramente per il nostro tempo, questo del quartetto “Galleria Margò”, che si muove geograficamente tra Milano, BolGalleria-Margò-Fuori-Tuttoogna e Varese.

Un disco di debutto fatto i ironia e cantautorato che si mescola al folk e al rock passando delicatamente alla forma-canzone più espressiva e ricca di sfumature e similitudini con il grande passato.

Una prova che rimane personalissima, soprattutto in pezzi come “Giro di vite” e “Paga tu” a sancire doppi sensi che polemizzano in modo discreto sulla situazione attuale della vita.

Una voce asciutta e carica di fendenti quindi, che coadiuvata da una base ritmica sempre precisa, regala a chi ascolta il gusto di sentirsi in un veloce giro di giostra che non ha mai fine.

In questo disco si assaporano i colori di una passeggiata nel verde interrotta dalla spazzatura scaricata lungo i fiumi, si perchè la “Galleria Margò” sa cosa vuole colpire e lo fa in modo elegante e disincantato.

In poco tempo ci accorgiamo di essere spettatori quotidiani di un mondo che non è nostro.

 

Les enfants – Persi nella notte (Via Audio Records)

Oggi 20 Settembre 2013 i “Les enfants” presentano il loro disco all’ “ARCI Biko”.

Per ironia della sorte, senza saperlo, io mi sono messo a scrivere di loro, un album preso a caso tra le decine che sono lì in attesa di essere recensiti.

Dalla prima nota morbidlesenfantsa e avvolgente il disco mi è piaciuto, sono quei pezzi che creano con l’ascoltatore qualcosa di unico e magico e rendono necessario un continuo ascolto per entrare nell’immaginario di questi 4 giovani milanesi che sembrano vivere in una piccola casa su di un alto albero avvolti da nuvole e turbinii leggeri e autunnali.

5 canzoni, tra cui una strumentale, una voce particolarissima che mescola il miglior Finardi ad atmosfere più cupe e nascoste.

L’ep apre con “Milano” dirompente quanto basta per distruggere argini di vita racchiusa in condomini monotoni e uniformi.

“Dammi un nome” è pura poesia per quadri leggeri appesi in aria da fili immaginari.

“Cash” raccoglie atmosfere più eteree e sognanti accompagnate da vibrafoni e melodie orientali.

Chiude bene la speranzosa “Prendi tempo”.

Un disco che sicuramente vuole essere ascoltato, uno stile che sta prendendo una precisa direzione e spazialità, un album da rincorrere giorno dopo giorno, voce dopo  voce, per un respiro che può abbracciare la solitudine metropolitana.