Lefter – Lefter (Autoproduzione)

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Duo composito e sperimentale che distorce il suono a dismisura comprimendo stanze vaporose, ingabbiando nuove forme di decostruzione provenienti da numerose fonti incontrollabili e ricche di pathos e atmosfera che si dipanano lungo le sei tracce proposte. Il disco ha una potenza incalcolabile, le canzoni scivolano attraverso un parlato indistinto con la musica che impatta, scoperchia e rimanda ad uno stoner sporcato da un alternative che trova sfogo nel post rock degli anni ’90 per un insieme di pezzi fuori dal tempo, un insieme di brani che convince sfuggendo ad una categorizzazione di genere in un istinto psichedelico per l’arte che inchioda e fa di questo piccolo esordio una voce importante nel panorama underground italiano. Canzoni polverose e inscindibili con il mondo quindi attorno che trovano nell’attesa immediata la loro vera e unica fonte di sostentamento e ispirazione. Bravi.

Elettronoir – Suzu (Goldimine Records)

album Suzu - Elettronoir

Città vaporose e notturne dove una nebbia elettronica ti avvolge aspettando l’attimo del crepuscolo fino a quando il nuovo giorno sta per arrivare tra poesie di mondi lontani e oniriche visioni che invocano l’infinito abbraccio tra il vissuto e quello che ci resta da vivere. Suzu è un album completo, lacerante e pieno di rimandi ad una musica colta, ad un certo tipo di suono studiato a tavolino che nell’impressione generale comprime gli spazi e sfiora le autoriali divagazioni dei Non voglio che Clara, dei La Crus passando per la sperimentazione dei Bluvertigo. Gli Elettronoir raccontano di vite al limite in questa società abbandonata e malata, lo fanno con stile ricercando comunque una formula sempre adatta ad essere indossata per poi calarsi lungo le strade che riempiono questa vita. Pezzi come l’apertura Divisione Satie sono l’attimo prima della tempesta fino alla title track nel finale a comporre un quadro d’insieme dove l’uomo al centro del tutto costruisce quotidianamente un’autodistruzione da qui al domani senza accorgersene, senza avere la benché minima idea di dove tutto questo lo porterà. Gli Elettronoir, al loro quindo disco, ingabbiano le ambizioni di una prova estremamente autoriale lasciando parlare il cuore, unica cosa che in fondo conta veramente.

Samsa Dilemma – Wake up Gregor!! (Kutmusic)

Autoproduzione convincente dal sapore internazionale totalmente registrata in casa e piena di rabbia gettata al suolo in una costruzione di architetture che si affacciano alla modernità senza tralasciare le contemplazioni futuristiche degli anni ’90 in assaggi post Blur dove l’identificazione sonora avviene tramite una bellezza scarna, disincantata e soprattutto lucida. Il nuovo dei Samsa Dilemma è un insieme di storie dentro ad altre storie, ci sono pezzi in inglese e pezzi italiano, c’è un’iniziale voglia di partire con i piedi ben ancorati a terra per poi soverchiare le regole precostituite dando al tutto un sapore essenziale nella propria rotondità. Wake up Gregor!! è un uscire a denti stretti da una realtà che pervade di liquidi contrasti, è un ottenere un posto nel mondo quando tutti i posti sembrano essere occupati. L’album dei Samsa Dilemma è un pugno allo stomaco al perbenismo e nel contempo è un lascito di meraviglia da apprezzare canzone dopo canzone, senza rimpianti, ma con gli occhi che guardano oltre le barriere che infliggono e ci rendono deboli, un album che trova nell’immediatezza il suo apice musicale.

Fiori di Hiroshima – Horror Reality (Phonarchia Dischi)

Paura compressa a dismisura che attanaglia e ci impedisce di vivere il momento, una paura che entra subdola nella nostra società e non esce, anzi si radica all’interno fino ad implodere in schegge impazzite che sono parte imprescindibile di ognuno di noi. I Fiori di Hiroshima analizzano il mondo che ci gira attorno, lo fanno dal lato oscuro della luna e non si accontentano di canzoni fine a se stesse, ma inglobano piuttosto un concetto che rende omogeneo l’intero lavoro, un lavoro fatto di passione, sudore, amore per la musica e soprattutto un’esigenza di andare oltre al già sentito in un’internazionalità di fondo davvero sorprendente. In Horror Reality ci sono elementi blues che si inerpicano su riff da scimmie artiche e consegnano un lavoro a tratti oscuro e a tratti smussato e tagliente. Pezzi come la title track, La terra dei mostri, Il mare o il delirio messaggistico finale di Output sono emblema di un bisogno nel denunciare un’oppressione costante, fino all’ultimo respiro, fino a quando il nostro incubo avrà fine, forse, un giorno.

Pierpaolo Scuro – Tu che guardi (Dormiveglia dischi)

Disco che parte con il botto e poi si trasforma sinuosamente in un’avventura introspettiva per romantiche prospettive dove lo scavare in fondo alla nostra anima è diventato l’unico modo per sopravvivere ancora. Il nuovo di Pierpaolo Scuro è un viaggio dentro la condizione umana, un guardare oltre le mille sfaccettature che la vita ci propone per dare un senso diverso a tutto ciò che ci circonda, il tutto condito da una musica d’autore sporcata dal blues, dal jazz, dal rock e dallo stoner più importante. Pezzi come Non cercarmi mai, Deserto, Una notte ancora, Bambino sono emblema in evoluzione di un progetto maturo e ricercato che non si ferma alle apparenze, ma stabilisce un confine da superare tra diversi stili posti in essere in simbiosi molecolare per un album fatto di sguardi e profondità, di bellezza e ricercato amore per ciò che ci può salvare; un grido forse, una risata, un gesto significante, un passo sospeso verso quel burrone chiamato vita da superare oggi più che mai.

Latente – Monte Meru (IndieBox)

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Rock emozionale che si inerpica sulle pendici del Monte Meru ad aspettare l’esplosione vulcanica, ad aspettare che tutto ciò che ci portiamo dentro possa passare attraverso i secoli per lasciare qualche particella infinitesimale di noi nell’etere che ci circonda. I Latente ritornano di gran carriera con un disco immediato di rock alternativo che lascia le aperture shoegaze iniziali a canzoni e ballate più incisive e meno sognanti sempre però affidate ad ampiezze che nei ritornelli raggiungono l’immaginazione valorizzando l’uso della parola che conturba e capace di creare immagini in costante cambiamento e alquanto visionarie. Tratti di psichedelia si contorcono dunque ricordando i primi Verdena, pezzi come La mia stanza buia, Nervi, Brace ed Everest ne sono emblema fino a chiudere un disco carico di una naturalezza e forte capacità espressiva difficili da trovare ai nostri giorni. Un album che suona già sopra di un palcoscenico illuminato, un disco catapultato di gran carriera nella nostra quotidianità ed è lì, forse che i Latente vogliamo trovare.

Kaufman – Belmondo (INRI)

Omaggio a Jean Paul e alla Nouvelle Vague, alla bellezza da cogliere nell’attimo, all’istante che cattura sguardi e polaroid di un tempo andato pur proiettandosi in un futuro complesso, stratificato e ottenuto in una sostanziale ricerca musicale che fa della perfezione edulcorata un marchio di fabbrica davvero interessante e ricercato. I Kaufman sono tornati, sono tornati grazie a quella forza musicale che li aveva caratterizzati nel precedente e già recensito in queste pagine Le tempeste che abbiamo, i Kaufman sono tornati con un album meno oscuro, in parte più solare, ma comunque intriso di quella velata malinconia di fondo che racchiude gli anni migliori della nostra vita, del nostro essere vivi e ci conduce simultaneamente a scoprire le parti più nascoste di noi, le parti che non sapevamo di conoscere e che ora possiamo affrontare. 38 minuti di musica scritta con il sempre presente Alessandro Raina dei compianti Amor Fou, poco più di mezz’ora di canzoni che si inerpicano tra i singoli L’età difficile e Robert Smith fino ad attendere passioni in pezzi importanti come Senza Fiato, la bellissima Alpha Centauri o Ragazzi di vita. Citazionismo eclettico che assapora il momento, pop ben congegnato in un meccanismo che odora di emozioni per una produzione dal gusto cinematografico da osservare attraverso l’esplosione colorata di un caleidoscopio in divenire.

Syncage – Unlike Here (Bad Elephant Music)

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Syncage fin dal primo ascolto significa complessità, forse abusata, ricercata, ma sicuramente voluta in un vortice di sensazioni che si inerpicano attraverso le montagne della nostra anima e affondano i vissuti in un sostanziale bisogno di entrare in comunione con forze apparentemente lontane da noi. Syncage è la la natura sprigionata e attraverso Unlike here si può comprendere la potenza espressiva e del tutto controllata di un alternative rock mescolato al metal, al prog, al jazz in una fluttuante sensazione di connubio tra passato e presente dove le forze in campo si scontrano e incontrano in pezzi cosmici e stellari come l’apertura affidata a School, passando per Skyline Shift e poi via via intessendo trame ardite in pezzi come Redirect e la stessa title track che chiude il disco. Unlike here è un disco assai lungo, più di un’ora e dieci di musica per un totale di dieci canzoni, minutaggio necessario per far comprendere una complessità di certo non banale, ma piuttosto radicata su un territorio grande quanto il mondo che ci circonda. L’evoluzione dei Syncage parte da ciò che erano i Rising Horizons, un’evoluzione necessaria che in questo disco trova un punto di incontro, un punto di contatto tra i grandi del passato e una modernità sempre più sospinta che avanza, pur mantenendo di fondo un’importante dose di originalità necessaria nel garantire simili risultati.

Fumonero – Dentro (Autoproduzione)

Terra che vibra in dissoluzione con il nostro io ed emerge a ricoprire ombre del passato che non passano inosservate, ma ci incatenano al suolo e ci rendono schiavi di un qualcosa da cui sentiamo il bisogno di fuggire, di andare lontano, di scomparire. Fumonero apre le tende del nostro cuore nero e ci guarda Dentro grazie ad una commistione ben dosata di musica rock mescolata all’elettronica d’insieme che intaglia a sufficienza elementi di teatralità per consegnarci una prova strutturata che ha il sapore del concept moderno capace di creare attesa e interesse suddividendo l’intero disco in cinque parti: Assuefazione, Perdizione, Resurrezione, Tentazione e Liberazione più la presenza della cover di Tutti i miei sbagli dei Subsonica a chiudere un album di percezione e di profondità alle massime speranze possibili. Dentro è un disco che si fa ascoltare, ma nel contempo attanaglia, estrapolando una rabbia primordiale che si può percepire già nella traccia d’apertura per poi culminare in un tramonto esperienziale che rende intrigante la poesia fin qui costruita.

MDGA – The Album (Beta Produzioni)

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Commistione di generi in alternativa ascendente dirompenti per necessità e bisogno di attanagliare vita e concedersi in pezzi da primo album che regalano eterogeneità alla proposta e un gusto per la sperimentazione davvero non indifferente. Gli MDGA sfornano un lavoro di per sé strutturalmente complesso, carico di quel bisogno di comunicare che non è di certo facile rappresentare ai giorni nostri e con spirito d’iniziativa i nostri contengono ambizioni per parlare di vita quotidiana, di realtà che facilmente possiamo cucirci addosso come abito che ci sta stretto e che prima o poi sentiamo il bisogno di cambiare per sempre. All’interno del The Album c’è un insieme di generi davvero particolare, si parte dallo ska  e alle spruzzate di reggae passando per l’hip hop e la canzone d’autore, il tutto costituito ed elargito a far da costante magnetica per pensieri non banali di certo, ma che ci regalano attimi di pura emozione in pezzi come l’apertura lasciata A sud di ogni cosa ad intervallare capacità espressiva in Big town, Questa è la mia vita o Sunshine fino al gran finale che odora di richiamo e gioventù concesso a Ear me now. Un disco stratificato quello dei MDGA che uscirà a Settembre inoltrato, un album in cui l’originalità di fondo dona la possibilità di aprire le proprie aspirazioni ad un qualcosa di condiviso che tocca vertici notevoli e sentiti.