Kaufman – Belmondo (INRI)

Omaggio a Jean Paul e alla Nouvelle Vague, alla bellezza da cogliere nell’attimo, all’istante che cattura sguardi e polaroid di un tempo andato pur proiettandosi in un futuro complesso, stratificato e ottenuto in una sostanziale ricerca musicale che fa della perfezione edulcorata un marchio di fabbrica davvero interessante e ricercato. I Kaufman sono tornati, sono tornati grazie a quella forza musicale che li aveva caratterizzati nel precedente e già recensito in queste pagine Le tempeste che abbiamo, i Kaufman sono tornati con un album meno oscuro, in parte più solare, ma comunque intriso di quella velata malinconia di fondo che racchiude gli anni migliori della nostra vita, del nostro essere vivi e ci conduce simultaneamente a scoprire le parti più nascoste di noi, le parti che non sapevamo di conoscere e che ora possiamo affrontare. 38 minuti di musica scritta con il sempre presente Alessandro Raina dei compianti Amor Fou, poco più di mezz’ora di canzoni che si inerpicano tra i singoli L’età difficile e Robert Smith fino ad attendere passioni in pezzi importanti come Senza Fiato, la bellissima Alpha Centauri o Ragazzi di vita. Citazionismo eclettico che assapora il momento, pop ben congegnato in un meccanismo che odora di emozioni per una produzione dal gusto cinematografico da osservare attraverso l’esplosione colorata di un caleidoscopio in divenire.

Kaufman – Le tempeste che abbiamo (Irma Records)

Abbracciare frontiere, un turbinio appartenente al vortice di quell’indiepop fatto e suonato bene che conquista al primo ascolto; parole ricercate si divincolano in modo preponderante in una tempesta atomica di polvere di stelle.

Le sciagure sono elencate, le sciagure però non abitano nella musica dei Kaufman, tutto suona impreziosito nell’etere, un passaggio obbligatorio verso mondi lontanissimi e che ti accarezzano piano piano.

Note di un piccolo armonio da cucina,  preso in prestito dai ricordi più nascosti, dove i pensieri si alzano e si contraddistinguono, vivono e crescono di luce propria.

La presenza di Alessandro Raina (Amor Fou) si sente nell’intera fase di produzione anche perché il suono si colloca molto facilmente vicino all’opera I moralisti di quest’ultimi: intelligente modo di trasportare l’essenzialità in un progetto di gran respiro.

I pezzi poi parlano da soli, in bilico tra un Graziani (Ivan) dei tempi migliori e di un Umberto Giardini ancora nel sensato Moltheni, accarezzando rose di un colore intenso e delicato, petali che si sovrappongono per insegnare a vivere ancora un volta.

Alieni disorienta delegando il passaggio dell’abbandono a Modigliani, crisi di certezze poi in Il manifesto struggente di giovani vampiri che cerca esigenze compiute di mondi lontani in Astronauta per passare alla ballata emozionale  Santa kryptonite.

Ancora i passaggi temporali in un Aprile immaginato lasciando ciò che resta nel country di La mia piccola rivoluzione francese, coronando il finale con Gotham: la loro oceano di gomma.

Un band di carattere che con grazia conquista al primo ascolto, chitarre mai gridate e voci sussurrate per l’ennesima conquista dei Kaufman, tra sortilegi dei primi ’90 e la classe cristallina di chi vive nel mondo di oggi.