Selva – Eléo (Overdrive/Shove/Goodfellas)

Quattro tracce da contorcersi e volerne ancora, boccate di ossigeno prezioso per acqua ad annegare le speranze in suoni cupi, oscuri, taglienti che si rincorrono concedendo spazi fuori moda e inseguendo aspirazioni ed esigenze di comunicazione che vanno oltre ogni singola speranza o spirito di sopravvivenza.

Selva è disordine metal impresso nel post rock più estremo alla ricerca di una via nelle profonde viscere da seguire perpetuando una serie di congiunzioni che si stagliano nell’integrità precostituita per una band che non ama le mezze misure, rievocando fantasmi degli abissi, rumori in pressofusione per canzoni che si dipanano da Soire a Nostàlgia passando per Indaco e Alma, proprio quest’ultima suonata con Nicola Manzan agli archi, per un suono esplosivo che nella dimensione live riesce a rendere maggiormente il significato di una rabbia pronta a secernere ambizione fuori controllo.

Corrosivi quanto basta i Selva sono pronti a scardinare qualsivoglia forma di concetto pop per farvi entrare, di prepotenza, nel loro mondo fatto di tanta sostanza.

 

Antonella La Terra Inghilterra – Sulle ali della mia voce (MusicForce)

Sulle pagine di Indiepercui approdano produzioni strane, alle volte molto lontane da ciò che siamo abituati ad ascoltare e lontane anche dal genere mediamente trattato, oggi sulle pagine di questa webzine, si parlerà di Antonella La Terra Inghilterra, un nome d’arte alquanto evocativo per la terra d’Albione e del suo nuovo disco Sulle ali della mia voce, produzione che accosta la musica pop al belcanto, un mezzosoprano che si abbandona in voli pindarici ed esecuzioni perfette che rimandano la mente all’opera lirica vissuta e nel contempo spiazzano per capacità esecutiva e capacità di ricreare immagini suadenti e di puro effetto scenico, immedesimando il tutto con una teatralità sospinta nel mettere in atto un’apertura sonora che sconfina e si pone nel mezzo, donando raffinatezza nel singolo e unico brano inedito In te andrò, per lasciar spazio ad interpretazioni in lingua italiana di classici musicali che vanno da Groban a Bacalov, per citarne alcuni, in un vortice concentrico che dissolve l’aria e lascia nella mente il pensiero di una bellezza che potrebbe non avere mai fine; un album che raccoglie la nostalgia del tempo rendendola amarcord infinito.

TERZACORSIA – Sogno o realtà (MusicForce)

I Terzacorsia spaziano tra sogno e realtà alla ricerca di un suono di matrice internazionale, contaminato da un’elettronica ben calibrata e sostanziosa in testi semplici, ma efficaci nella loro interezza che ammiccano alla canzone di facile impatto costruendo un bisogno essenziale di rinascita e rivalutazione del contesto per un rock omogeneo che ricerca il pezzo radiofonico pur non disdegnando la matrice indie da cui il tutto proviene, confezionando quattro pezzi che raccontano di ombre e luci del nostro tempo, raccogliendo l’eredità del mondo circostante e filtrando le esigenze verso tentazioni ed elucubrazioni per immagini preponderanti ed effettivamente complici di un suono freddo, quasi siderale, pronto ad essere scaldato però da testi che si consumano e ci lasciano presagire squarci di luce ad accecare il sole, da Tempesta fino ad Amarsi un po’, passando per Sudore e Sogno o realtà, un EP concentrico che racconta e si fa raccontare, distendendo il passato per dichiararsi al futuro che avanza.

Salvo Mizzle – Belzebù pensaci tu (Autoproduzione)

Evoluzione musicale e di scrittura per l’artista pugliese Salvo Mizzle, che dopo il già recensito sulle nostre pagine, Via Zara del 2013, ritorna con un album maturo e introspettivo capace di portare con sé caratteristiche peculiari di un cambiamento sovrapposto al tempo che abbiamo davanti, un cambiamento che per scelte stilistiche accompagna un concept album in bilico tra il cantautorato e il rock, passando per il folk e la progressione in musica chiara negli intenti di ricreare un mondo da abitare e tante volte un mondo da cui fuggire.

Lo stesso autore ci racconta che questo è un album che parla di vita e allo stesso tempo di morte, è un disco sull’abbandono e sulle stesse riflessioni che la vita ci costringe a fare, rintanando tante volte le certezze dentro a scatole oscure e riuscendo a strappare, barcollando nel buio, quel pezzo di sorriso che ci fa tenere in vita, in modo inadeguato forse, ma pur sempre mantenendo una forza interiore di lotta verso ciò che ancora non conosciamo profondamente, energia viscerale che compone e scompone, che rimette in sesto pezzetti del nostro corpo e ci rende attenti scrutatori di ciò che siamo diventati.

Un disco composito e importante, dodici canzoni che sono la summa di un pensiero ricercato nel vivere di ogni giorno, tra velata ironia e tanta sostanza, tra il tempo che è passato e tutto quello che abbiamo davanti.

Dounia Marta Collica – Silent Town (Viceversa Records/Audioglobe)

Incontri acustici per palati sopraffini che si distendono a rimirare il mare che ci separa da un’altra terra così bella e così lontana, pezzi di vita raccontata che si lasciano trasportare dalle onde della comunicazione e del dialogo, l’incontro tra mondi lontanissimi e la facilità nel proporre sapientemente una world music stupefacente per gli italo-palestinesi Dounia e la cantautrice/strumentista Marta Collica, pezzi di cielo a ricomporre le distanze, mondi musicali assai diversi, ma incrociati per l’occasione in un folk d’autore ricco di aspettative e simbiosi letterarie, in grado di consegnare all’ascoltatore una prova di alto livello compositivo e d’atmosfera.

Nove tracce in costante e mutevole cambiamento, ma legate tutte quante da un filo comune di integrazione e bellezza, da About anything fino alle splendente finale di Malatantafi, passando per Silent town e Wolves, il duetto imprevisto si batte per ricucire l’interiorità perduta, grazie ad un comparto tecnico di pregevole fattura, che riesce nell’intento di suscitare emozioni infinite, abbandonando le ombre del passato per rischiarare tutto il cielo sopra di noi in rappresentazioni esemplari di una musica sentita.

Un disco quindi che dona tanto e si pone nell’ottica di stupire grazie a sonorità acustiche e uso delle voci, contaminazioni che a lungo andare entrano nella nostra testa non lasciandoci più, oltre il cielo, oltre il mare a cui siamo solitamente abituati.

 

Entrofobesse – Sounds of a past generation (Seltz/Viceversa Records/Audioglobe)

Corpi che si aggrovigliano e rilasciano al tempo un’ondata di aspettative che non si concretizzano, in un’oscurità celata dal profondo della nostra anima, dalla necessità di dare un senso a tutto quello che ci circonda, noi miseri esseri umani alle prese con substrati di energia da imbrigliare ed essenza viva da far propria per ritornare alla base, ritornare ad essere quello che non siamo stati mai.

Quello di Entrofobesse è un album che porta con sé carattere da vendere, raccontando di eventi immaginifici, affondando e ritornando dall’aldilà permettendo al nostro essere di cercare di dare un senso a quello che stiamo per fare, tra buchi neri e riempitivi, dopo sette anni dall’ultima uscita di Behind my spike, i nostri sono tornati più lisergici che mai incrociando sapientemente psichedelia cosmica a tanto rumore con ritratti ben delineati di un amore per la musica targata ’70, sia per approccio che per suoni utilizzati.

Ne esce un disco straordinario, che ci fa catapultare la mente dentro ad un altro mondo, un mondo che può essere diverso, in grado di cambiare la nostra mentalità, spazzare via l’inutilità del momento per dare un senso maggiore al nostro vivere; in queste tracce c’è tutta la nostra capacità di uscire dal buco di vita a cui siamo relegati per ambire ad orizzonti da osservare con occhi luccicanti.

Fantasia pura italiana – Buffoni pecore e re (VREC)

La teatralità del  momento affonda le proprie radici lungo cinque pezzi che si muovono in modo assolutamente naturale tra folk, cantautorato, funk e ska alla ricerca del mood giusto per riuscire nell’intento di prendere alla leggera i grandi temi della vita, trasformando le aspirazioni del tempo in qualcosa di più concreto e sentito, disinvolto e ironico, in grado di entrare nella testa di chi ascolta, assaporandone versi, parole e concentrati di emozioni ben definite, da ballare, per un’estate che è emblema per questa musica, per un’estate che non vuole finire.

Loro sono toscani, ma trapiantati a Roma, hanno un nome da linea alimentare da supermercato, ma non per questo sono commerciali, anzi, la loro canzone pop è intrisa di significati congegnali ad ogni occasione, si passa facilmente dal singolo Piripì fino a Fette biscottate e Rock’n’roll, cambiando genere, sentendo il respiro della gente, il calore umano, necessario a questo tipo di band per progredire, un calore generato dalla commistione di più elementi in grado di apportare una formula tanto strampalata, quanto riuscita, in nome della musica, per la musica.

Questo è un disco che non è un riempitivo per l’aperitivo delle sei, anzi, questo è un album in grado  di far comprendere una musica che al primo ascolto sembra leggera come un vento primaverile, ma che nel profondo porta con sé le necessità del nostro vivere quotidiano.