Eleonora Bordonaro – Cuttuni e lamé (Finisterre/Felmay)

Nel disco di Eleonora Bordonaro ci sono i profumi e le sensazioni di terre lontane, c’è la possibilità di comprendere una musica etnica che scava nelle radici interiori in un corso costante di pensieri che si fanno musica che si fanno emozioni private e poi condivise in un vociare che nel canto si fa poesia e bisogno mutevole di rassicurare. Un disco in siciliano, un album che vola con i ricordi ad un tempo non definito, ma sicuramente caro e vicino alla cantante, alla sua terra, al mondo che condivide e che cerca di tramandare grazie a canzoni che attraverso una musicalità sospinta si protendono nel ricercare spazi di luce, colorati, spazi azzurri che si confondono con la profondità del mare, con la meraviglia del cielo. Cuttuni e lamé è un disco che parla di natura, ma anche di persone, di ritratti, di immagini scolpite come fotografie lasciate all’attesa, sono frammenti di vita e di bellezza istrionica mosse da qualcosa di profondo e a tratti incomprensibile, ma sedimentato a dovere attraverso una voce che lascia al racconto il proprio senso di esistere. 


Leonardo Gallato – Tacet (Autoproduzione)

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Parole sussurrate, parole lontane a riempire la risacca, a riempire d’acqua la nostra sostanza materica intrufolandosi furtivamente vicino al nostro cuore. Tacet è un album di silenzi, un disco di canzoni che accompagnano fedeli e abbracciano in attesa di un nuovo giorno, in attesa che tutto attorno possa rinfrancare, rinsaldare rapporti, ricoprire lo spazio. Il disco del cantautore siciliano, in primis, è un insieme di canzoni quasi tutte dialettali dalla forte connotazione e dalla robustezza di fondo di certo invidiabile che mescolano più generi in maniera naturale e disinvolta. Si passa dal blues più cupo e oscuro fino ad arrivare alle improvvisazioni jazzistiche per tornare ad una canzone d’autore che negli stessi singoli presentati Vientu e Notturno trova il proprio punto d’appoggio, il proprio ancoraggio senza fine. Tacet è un disco d’atmosfera, omogeneo e pittorico, un album malinconico che si veste in modo elegante non per apparire, ma piuttosto per nascondere con timidezza la bellezza che può risiedere dietro ad uno sguardo. 


Rosario di Rosa – Un cielo pieno di nuvole (Deep Voice Records)

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Eclettico sperimentatore che dal jazz al minimal piano intesse un bisogno essenziale di dare voce alla scoperta elettronica attraverso un album complesso, ostico e ricco di spunti sonori che traggono linfa vitale direttamente dagli stati d’animo del compositore e intercettano quel sapore retrò e d’abbandono capace di creare il giusto appeal preferenziale a sodalizi con la musica più moderna e ricercata. Un disco d’avanguardia quindi quello di Rosario di Rosa, pianista siciliano già sulle scene nazionali come jazzista di indiscusso valore, una prova che al primo ascolto ricorda la rappresentazione visiva di Paul Thomas Anderson nel video di Daydreaming dei Radiohead, un entrare continuamente nelle porte del subconscio, attraverso il sogno in una realtà che ci spaventa, ma che nel contempo ci appartiene, una realtà a tratti claustrofobica che lega l’essenzialità della persona al cemento invalicabile. Fuori da ogni giudizio il lavoro di Rosario di Rosa è un sostenere la leggerezza dell’animo umano lontani dalle forme a cui siamo abituati. Un cielo pieno di nuvole è un osare coraggioso, complesso e sofisticato che ha dalla sua una maturità artistica che non ammette qualunquismi di genere.

When_due – Pendolo (Pistacho)

Secondo album per il duo proveniente dalla Sicilia che si cimenta con suoni ultraterreni da dance floor contemporanea in loop continuo a disegnare geometrie standardizzate e nel contempo eleganti che implodono ed esplodono ad attutire i colpi della materia per far rivivere armonie sotto forma di figure, colori e decostruzioni elettroniche. Pendolo dà proprio l’idea oscillatoria del moto, in un’esigenza a temporale nel consegnare risultati apparenti di sicuro impatto che si muovono attraverso cinque tracce che fanno parte della stessa matrice, hanno le stesse radici e portano con sé l’esigenza di intrappolare il momento fino a necessario bisogno di consegnarci una suite sonora divisa ad arte, un Pendolo musicale che parte e torna con la stessa forza, in un moto perpetuo studiato e necessario che ricopre le distanze e fa si che il mondo attorno diventi trottola consequenziale di un viaggio che sembra non avere mai fine.

VeiveCura – Me+1 (Rocketta Records)

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Davide Iacono, in arte VeiveCura immortala momenti sintetizzati di ambient condiviso in canzoni che strappano l’energia del rock e la condensano in quadri elettronici capaci di perforare la tela della realtà e aggiudicarsi un posto d’onore nelle parete labirintica di una mente in completa stratificazione, attraverso messaggi di synth che ricordano MGMT, Bon Iver, James Blake e attraverso una ricerca sempre continua che trova nell’esigenza di dare valore alla componente strumentale il proprio punto di forza. Piccoli mondi a se stanti che collimano assieme però nella dichiarazione d’intenti iniziale, un universo fatto di suggestioni e rapide discese verso ambienti da scoprire nella raffinata ricerca da perpetuare nel ricordo e nella cura stessa. Tra lacrime di pioggia a lavare ciò che resta nella nostra pelle ci sono le istantanee di ricordi polverizzati in sulfuree nuvole autunnali, ci sono i pezzi d’atmosfera e quelli prettamente pop e armonici, da What we were in our Past life fino a See you in the Next life, tra passato e futuro Davide sforna un ottimo album che non ti aspetti contraddistinto sempre e comunque da quel tocco originale che ha caratterizzato e caratterizza la ricerca dell’artista siciliano.

-FUMETTO- Ugo Bertotti – Vivere (Coconino Press/Fandango)

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Titolo: Vivere

Autori: Ugo Bertotti

Casa Editrice: Coconino Press/Fandango

Caratteristiche: Brossura,  17×24 cm, 152 pag, b/n

Prezzo: 17,00 €

ISBN: 9788876183096

 

Vivere è andare oltre lo sputo di terra che pensiamo ci appartenga, vivere è un atto di fede, un atto di coraggio nei confronti di ciò che può essere bene, buono per gli altri e in questo il significato altri abbraccia l’intera umanità senza nessuna distinzione o raffronto particolare,  un sentire comune che ancora deve essere condiviso per ammirare tanta propensione alla vita, tanto desiderio di poter essere utile alla terra, un viaggio dentro all’idea di coraggio che riesce ad incanalare i punti di vista dei protagonisti, un dono inaspettato, un destino che non possiamo comandare, ma che rende unico l’inizio di una nuova vita.

Ugo Bertotti rappresenta attraverso un racconto realmente accaduto, la storia di Selma, profuga palestinese che, attraverso un viaggio infinito, tra Siria, Egitto e il Mediterraneo si ritrova con la propria famiglia a condividere sette lunghi giorni su di un barcone sovraffollato; poi l’incidente, l’arrivo in fin di vita a Siracusa e la morte, una morte che può essere solo un inizio e nella tragicità del momento ecco sopraggiungere la speranza, la decisione di donare gli organi grazie alla scelta di un marito responsabile e ancora il ruolo dell’Ismett, centro siciliano all’avanguardia nel campo dei trapianti capace di ridare un senso a ciò che sembrava perduto, un nuovo senso a Don Vito, Mimmo e Maria, personaggi in grado di vedere oltre la finestra oscura a cui sembravano abituati, in grado di vedere oltre le attese un piccolo fascio di luce provenire da lontano.

Ecco allora che il tempo acquisisce il colore necessario, tra tavole di una profondità unica che per certi versi riprendono gli stati d’animo di Il mondo di Aisha nel ricostruire con attenzione non tanto lo sfondo, ma piuttosto i volti, il volto come vero punto di forza da cui partire per dare un significato alle vicende che ci coinvolgono ogni giorno; grazie ad uno stile fotografico, questa piccola perla unisce i destini di gente comune, unisce e non divide ripeto e nell’importanza del momento anche il disegno acquisisce un suo significato, la luce avvolge e nel contempo si ritrae impreziosendo stati d’animo e curve emozionali di rara intensità.

Vivere è una storia per immagini profonda e ammirevole, in grado di trattare un tema sociale e culturale attraverso la grandezza di un racconto che si fa spazio e prende il largo, sovrasta la quotidianità riflettendo su ciò che succede fuori dalla nostra porta di casa, perché Vivere è andare oltre lo sputo di terra che pensiamo ci appartenga, Vivere è il coraggio di donne, uomini e bambini che non hanno deciso la loro strada, ma che sono chiamati, ogni giorno a percorrerla; Vivere è un atto di fede e solo in questo dobbiamo credere.

Per info e per acquistare il fumetto:

http://www.fandangoeditore.it/shop/coconino-press/vivere/

Oppure:

Entrofobesse – Sounds of a past generation (Seltz/Viceversa Records/Audioglobe)

Corpi che si aggrovigliano e rilasciano al tempo un’ondata di aspettative che non si concretizzano, in un’oscurità celata dal profondo della nostra anima, dalla necessità di dare un senso a tutto quello che ci circonda, noi miseri esseri umani alle prese con substrati di energia da imbrigliare ed essenza viva da far propria per ritornare alla base, ritornare ad essere quello che non siamo stati mai.

Quello di Entrofobesse è un album che porta con sé carattere da vendere, raccontando di eventi immaginifici, affondando e ritornando dall’aldilà permettendo al nostro essere di cercare di dare un senso a quello che stiamo per fare, tra buchi neri e riempitivi, dopo sette anni dall’ultima uscita di Behind my spike, i nostri sono tornati più lisergici che mai incrociando sapientemente psichedelia cosmica a tanto rumore con ritratti ben delineati di un amore per la musica targata ’70, sia per approccio che per suoni utilizzati.

Ne esce un disco straordinario, che ci fa catapultare la mente dentro ad un altro mondo, un mondo che può essere diverso, in grado di cambiare la nostra mentalità, spazzare via l’inutilità del momento per dare un senso maggiore al nostro vivere; in queste tracce c’è tutta la nostra capacità di uscire dal buco di vita a cui siamo relegati per ambire ad orizzonti da osservare con occhi luccicanti.

Marian Trapassi – Bellavita (Adesivadiscografica)

Marian Trapassi, già vincitrice del Premio Ciampi, dopo un lungo silenzio, ci presenta il suo quarto album in studio, prodotto da Paolo Iafelice, Bellavita.

E’ un album silenzioso, leggero e allo stesso tempo un disco che suona sobrio ed elegante accompagnato da sprazzi jazz, ma che ricava la propria matrice esistenziale attingendo fonte d’ispirazione nel cantautorato di Dylan e di Cohen, cercando appigli nei confronti di  un’italianità scomparsa e priva di cantautori da leggenda come il primo De Gregori o il compianto De Andrè.

Il tutto suona morbido e sospeso, quasi ad incrociare l’estetica con il buon gusto, il bel canto e la leggerezza dell’essere che si innalza oltre ogni barriera.

E in fondo in questo disco si parla anche di barriere da sovrastare ed ecco che entra in gioco il tema del viaggio, tanto caro all’autrice, che percorre, attraverso i suoi occhi, una serie di immagini da cartolina, pronte ad essere confezionate nella mente di chi ascolta.

Bellavita racchiude il pensiero dell’intero disco mentre L’arancia invece fa da trait d’union tra Siviglia e la Sicilia, rispettivamente il luogo di ispirazione e il luogo dei ricordi, da dove tutto parte e dove tutto ritorna, poi le canzoni si fanno portatrici di una vena più ritmata con Giovanni, passando per la malinconica My Love e proseguendo in un sol fiato sino ad arrivare alle funamboliche incursioni di Finimondo per concludere con il sospirato ritorno A casa.

Una cantautrice matura e moderna, capace di sorprendere con le parole e portatrice di quella capacità, non comune, di racchiudere un’idea, quella del viaggio, non sempre facile da sviluppare; un savoir faire emozionale carico di esigenza di espirmersi, di fuga verso l’ignoto e ritorni inaspettati.

Storyteller – Vuoto Apparente (Seahorse Recording)

storytellerIl cantautorato abbraccia il rock più concettualizzato e regala sprazzi di pop melodico nella prova “Vuoto apparente” del progetto “Storyteller” di Riccardo Piazza, cantautore siciliano che già in questo album possiede tutti  i numeri per condire un’insalata ricca di sonorità legate alla dolcezza del ricordo, alla luce soffusa di una candela in riva al mare, al giorno che ci abbandona ogni, inesorabile giorno.

Storyteller viene definito un intreccio di strade a doppio senso con segnaletica a vista, io aggiungerei anche un intreccio di strade che è in sublime mutazione col tutto, con le emozioni più carnali e i sapori di un mondo in continua evoluzione.

Le parole si fondono in un’unica vibrazione che riporta i pianeti in un altro tempo lontano.

Riccardo si avvale in questa prova di Simona Alletto al basso e di Cristina Di Maio alla batteria, il tutto ulteriormente impreziosito dalle chitarre e dai Synth  di Paolo Messere e dagli effetti di Rino Marchese.

Un album certamente suonato con il piglio del cantautore che sottolinea l’importanza quasi necessaria di contornare una sezione ritmica di orpelli elettronici e giocattoli rumoristici, un lavoro di cesello e passioni inesauribili portate ad oltranza fino al sorgere di una nuova realtà.

Con il primo Benvegnù si affaccia la proposta “Dall’America con Amore” mentre i migliori Baustelle si riscoprono nella bellissima “Farfalle nel metrò” uno spezzone di foto spezzate, “Fatti di parole” ricorda sonorità pumpkiane per un finale degno di nota nelle ricerca delle “parole giuste”.

Storyteller centra l’obiettivo di una prima prova certamente da ricordare e sicuramente da custodire, non nel cassetto di una soffitta polverosa, ma in un prato di giallo vestito a primavera.

Il fratello – Il fratello (I dischi del minollo)

Una saracinesca sbarrata, scura, dalle tonalità dimenticate, 2 bambini camminano sopra  un marciapiede: sorella e fratello uniti, quest’ultimo sembra essere accecato da qualcosa, da una luce e decide di seguirla incurante di dove può portare.

Al ritorno il fratello non c’è più la bambina sembra non accorgersene; dove è finito per tutti questi anni?.

Inizia così l’avventuphpThumb_generated_thumbnailjpgra di Andrea Romano, siciliano, classe 1977 che assieme a Paolo Mei, Peppe Sindona, Francesco Cantone e Toti Valente forma alla fine degli anni 90 i Matildamay.

Poi l’avventura finisce, si sgretola, ma i rapporti rimangono e con questo disco nuove collaborazioni si presentano all’orizzonte.

Per l’occasione “Il fratello” ospita Mauro Ermanno Giovanardi, Lorenzo Urcillo (Colapesce), Giovanni Caruso, Valerio Vittoria, Angelo Orlando Meloni, Tazio Iacobacci, Carlo Barbagallo e Cesare Basile.

Un collettivo nel collettivo, amici soprattutto,  che grazie all’ispirazione inesauribile di Andrea Romano catapultano il suono a formare 8 tracce di delicata introspezione dove a parlare sono gli anni passati a rincorrere errori e gesti buoni da chiudere in un cassetto e riscoprire quando la stagione regala nuove idee e aspirazioni.

Velata amarezza nei testi, quasi aria mattutina invernale, un cuore malinconico dunque, ma aperto ad ogni forma di empatia con il mondo circostante; l’accostamento con la forma canzone e gli arrangiamenti dopo, risulta alquanto puntualizzato da sottofondi riverberati e voce soffusa, tende che si tendono in un abbraccio infinito.

Così Andrea parla del rumore di Lei, del rumore della luna o dell’assenza in “Vai via”, più dolce “Cos’ha che il mio mondo non ha” con Colapesce mentre la verità si fa auto determinazione in “E’ vero che per te” chiudendo con la meraviglia autobiografica “Nei ricordi di mio padre”.

Andrea con questo disco dipinge un mondo fatto di dissolvenze e profondità segnando la strada ad un nuovo cantautorato “nordico” figurativo dove ombre si stagliano nelle coscienze di chi ascolta, creando, grazie a rara capacità personale, quel pensiero di rimettersi in gioco sempre e comunque.