Florence Elysée – Home (Autoproduzione)

Panorami atmosferici di grazia che si installano nella mente e inseriscono nel mondo onirico una bellezza di fondo che si esprime in tracce che prendono ispirazione dal rock d’oltremanica e d’oltreoceano interagendo con flussi elettroacustici in stati emozionali propendendo per un suono d’insieme che dalla commistione rende viva l’espressività di una voce fuori dal tempo e fuori dal coro, uno voce incasellata in un pop rock fatto ad arte, in un’omogeneità di fondo che sfiora band come Keane, Snow Patrol, Goo goo dolls o la raffinatezza dei primi album dei Coldplay per convergere in un disco che riporta tutto a casa, intessendo le trame degli affetti e scaraventando al suolo le velleità. La band di Pesaro Florence Elysée ci regala un album maturo, complesso e stratificato, carico di forma e sostanza dove la viola da gamba dona valore aggiunto ad una prova ricercata che ci tocca da vicini, una prova impreziosita dal valore del tempo: unico metro di misura per assaporare distanze e sostanze impresse in queste preziose registrazioni.

Salvario – Duemilacanzonette (Beta Produzioni)

Musica d’autore in grado di raccontare anfratti di vita necessaria tra ballate acustiche e introspezioni che scavano all’interno del proprio io per tirarne fuori la parte migliore, quella essenziale a cui non possiamo rinunciare e che lo stesso Salvario, all’anagrafe Salvatore Piccione, tenta di ricucire addosso alla sua pelle di cantasorie raffinato che si muove egregiamente tra la musica passata e il post duemila, ad intrecciare i suoni dei Perturbazione, dei Mambassa, dei Nadàr Solo presenti quest’ultimi nella grandissima Dinosauri a raccontare di un mondo amoroso in estinzione e a cercare nella grotta dentro di noi un barlume necessario per ricominciare. Tutta la poetica di Salvario si muove tra un dare e un ricevere, la voce calda riempie l’intero disco e le stratificazioni rock necessarie sono parte fondante di un tutto che si appresta ad incoronare canzoni come l’apripista Caro amico, Una parte di me, Lasciami così e il finale sospeso in Deja vu come pezzi di gran classe che rendono omogeneo l’intero album in un’intenzione che parte dal cuore e si solleva a ricoprire le nuvole sopra di noi.

-FUMETTO- Andrea Satta/Eleonora Antonioni – Officina Millegiri (Sinnos)

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Titolo: Officina Millegiri

Autori: Andrea Satta/Eleonora Antonioni

Casa Editrice: Sinnos

Caratteristiche: brossura, pag.46

Prezzo: 10,00 €

ISBN: 9788876093210

Il tempo che passa a racchiudere aspettative e speranze in piccole storie che parlano delle nostre più recondite fragilità, raccontando di vite poste al ricordo di un’adolescenza continua, motivata e sentita, emblema di un percorso umorale tra sali scendi emozionanti che vedono per protagonista, di ogni capitolo a se, la bicicletta, mezzo pulito, ecologico, energico, romantico, recuperabile e riciclabile, amato e voluto, sospirato e acceso, quasi a riempire il nostro immaginario di una tavolozza di colori che ben si amalgama con i sentimenti dei protagonisti: ricercatori attenti di un mondo da scoprire.

Con questa uscita, la casa editrice Sinnos, sempre attenta alle problematiche dello sviluppo psico sociale del bambino, ci regala un fumetto dedicato ai pre adolescenti; capace, attraverso la fantasia, di creare ponti con l’immaginato e il reale, una prova egregia che sa ammaliare anche gli adulti, rivivendo la possibilità di entrare in contesti ormai dimenticati e lontani, quella capacità che ben si evince dai disegni sperimentali, caratterizzati da un tratto asciutto, di Eleonora Antonioni e dai testi di Andrea Satta, voce dei Tetes de Bois già profondo ammiratore del mezzo a due ruote, tanto caro al nostro da essere riuscito nell’impresa di riportare a livello narrativo, dopo Film a pedali, quel concerto  alimentato dall’energia motrice di 128 spettatori, un concerto, in versione semplificata, raccontato, in Officina Millegiri, fumetto carico di emotività temporale da saper cogliere e mantenere nel tempo.

Più racconti, più storie con un filo conduttore, il pedalare: tra la ruota giradischi e l’amore lontano da raggiungere, un giro d’Italia tutto particolare e l’orsa alla ricerca della propria libertà, dal cacciatore di nuvole fino al sogno di due giovani musiciste per una scelta editoriale che profuma di gioventù, di innocenza e di essenzialità, una piccola perla che riesce nell’intento di dare un senso diverso ai nostri sogni, alla ricerca di un umano più libero da vincoli artificiali, alla ricerca di quella purezza di fondo che nell’atto del pedalare racchiude le nostre aspirazioni ambite, per un mondo più coscienzioso, diverso e forse più vero e condiviso.

Per info e per l’acquisto del fumetto:

http://www.sinnos.org/officina-millegiri/

 

The fangs – The fangs (Autoproduzione)

Prendete la scena di Seattle più sporca e cupa ricca di improvvisazioni sonore e cataclismi rivoluzionari che caratterizzavano il continuo divenire di un’epoca.

Prendete un po’ di britpop, si proprio quello, la facilità di ascolto dei ritornelli e quello stile che si intreccia a convenzionali che non sono più convenzionali assoli di chitarra gainizzata e niente di più.

Prendete infine tre ragazzi che la musica la masticano a pranzo e a cena con del buon vino e un sorriso ironico che rende tutto più semplice, pacato ed espressivo.

Ecco allora che nascono i The fangs, gruppo vicentino che al loro primo demo intona un grunge vivo più che mai, contaminato da gruppi come QOTSA e A perfect Circle non dimenticando le origini Pearliane sorrette da un cantato che ricorda per certi versi il compianto Layne Staley.

Un mix di colori che si sovrappongono al grigiore, un impasto sonoro che si fa carne viva pulsante in pezzi come l’energica Fingerz, la sincopata Sheriff, il delirio di Bukkake, passando per la Bluriana Behind the camel e finendo con le improvvisazioni sonore di Root, incisiva come i solchi di un aratro che si fa ancora pulsante in un mare di corpi che affogano, ancora di una nave  pronta a solcare, lasciando alle spalle i giorni che non funzionano, i giorni andati a male.

Cinque pezzi che racchiudono un mondo, il mondo di Diego Zandiri, Paolo Facci e Michele Petullà, un microcosmo di vibrati virali che racchiudono un urlo che sentirete ancora per molto.

Io non sono Bogte – La discografia è morta e io non vedevo l’ora (LabelPot records)

Daniele Coluzzi assieme a Carlotta Benedetti, Federico Petitto, Dario Masani forma la band romana dei “Io non sono Bogte”.

Si fanno conoscere al pubblico nell’autunno 2011 con il singolo“La musica italiana e altre stragi”, uscito in contemporanea con il libro “Rock in Progress – Promuovere, distribuire, far conoscere la vostra musica” scritto da Daniele, nonché piccolo e prezioso vademecum per band emergenti.

Una prima particolarità di questo inno alla decadenza della musica in Italia si scopre dal formato: una chiave usb a forma di cassetta, un ritorno alle origini con lo sguardo al futuro, un invito quasi a comprare l’album a prescindere dal contenuto.

La musica dei “Io non sono Bogte” è abbastanza uniforme per genere al filone di cantautori cosiddetti degli anni zero “Vasco Brondi, Colapesce, Di Martino ecc…” anche se qui la dialettica si fa vivace e più visionaria.

La band riesce a cogliere le sfumature di una catastrofe con parole semplici, ma sapientemente utilizzate, cori perfetti e segni di cinismo esistenziale che legano ricordi al futuro incerto, lontano, senza vie di fuga.

Sembra di ascoltare un frullato punk rock di sogni adolescenziali post fine mondo.

“Io non sono Bogte” intro tagliente per gli addetti del settore.

Scambio di prosa elettrica in “La musica italiana e altre stragi” cantando “Lavoro precario portami via…”.

“Il mercato delle ostie” pezzo con cavalcate alla CSI e pause di frammenti interiori.

“Papillon” la canzone più incisiva del disco, ci si chiede: che cosa potevo fare ancora di più di quello che ho fatto?

“Cinque e mezzo” apre il disco verso un’altra via, più introspettiva e malinconica.

Simbolo di questa malinconia la si trova in “La cosa più importante è che tu stia male” e in “Margaret nella testa”.

Canzone legata invece al filo del ricordo indelebile è “Ti ho confessato tutto il mio amore” che lascia posto alla sperimentale “Sette anni di prudenza”.

L’album chiude la sua circolarità con “L’aridità sentimentale e altre cose che ti appartengono”.

Annientamento, illusione, malinconia, senso di fallimento e risalita: perchè non sempre è facile racchiudere in mezzora un concetto che può sembrare ormai sfruttato e abusato.

“Io non sono Bogte” invece dalle ceneri dello zero regalano emozioni a lunga conservazione per rinascere, ancora una volta.

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