Danubio – Danubio (Vollmer Industries/DGRecords/I Dischi del Minollo)

Disco corrosivo che riempie l’etere di tanta sostanza sonora capace di rinfrancare gli animi più esigenti in un concentrato di rock sudato che fa da perno ad una produzione di tutto rispetto che cavalca l’esigenza di sputare in faccia alla realtà un significato profondo che ben si evince in questa stratificazione musicale, al di là di qualsivoglia forma di omologazione e riempiendo gli spazi con suoni che si affacciano ai primi Verdena, quelli di Solo un grande sasso per intenderci, fino a toccare vertici di apertura a band attuali come FASK in un sali scendi di sensazioni e sviluppi che attanagliano e conquistano, abbracciano e ripagano di tanto lavoro quasi ad ottenere nella naturalità del momento il guizzo giusto, la scintilla errante pronta a scoppiare e a far fuoco di nuovo, da Dailan fino a Dov’è la psicopolizia quando serve? passando per Nuoto perpetuo e Tre, se conti me per una prova che apre spazi e si confronta con una realtà tante volte troppo pesante per essere compresa, ma che in questo disco trova una via preziosa di fuga da questo stesso vivere e forse solo questo conta.

Psiker – Maximo (Autoproduzione)

Artista visivo che abbraccia l’elettronica d’aspetto e ne protende visioni e speranze in costrutti decentranti e cerebrali, il tutto ad infittire trame e  strutture in stereofonia arrangiata a dovere e prendendo spunto dai contesti di vita che si affacciano direttamente al suono degli anni ’80 intrappolato nella rete della modernità a ricostruire parabole ascendenti verso l’ignoto e soprattutto verso il proprio essere, verso quello stare al mondo che è sì parallelismo coscienzioso, ma anche aspirazione, attesa e volo libero che si respira in tracce come il singolo Metropolitana a studiare i movimenti, i viaggi, le vite delle persone, le vite degli altri, in un colore vintage tipicamente italiano che si innalza a synth pop studiato in pezzi come L’altro ieri, Parla parla parla o nel finale da Attento, per una manciata di brani, precisamente dieci che ricoprono decadi di un tempo che fu e qui rispolverate a dovere nella speranza che ci sia una giusta riscoperta di un genere che in questo disco si riappropria di contenuti e di tanta sostanza, messa lì a sedimentare a comprimersi e a contorcersi, fino all’esplosione finale dove la ricompensa sarà solo un punto di partenza per la strada da seguire e dove le collaborazioni con artisti passati, che hanno fatto la storia di genere, come Francesca Gastaldi degli ZEROZEN, Raffaella Destefano di MADREBLU, Luca Urbani dei SOERBA e Odette di Maio dei SOON, sono fondamentali per entrare nel mondo di Psiker e delle sue composizioni digitali.

Gianni Venturi/Lucien Moreau – Moloch (Autoproduzione)

Duo straordinario che ammalia e incolla all’ascolto grazie a poesie crepuscolari che si affacciano al 2.1 in cui viviamo, stravolgendolo e schiaffandoci in faccia una realtà senza giri di parole o questioni astratte da percepire e di cui parlare, un disco a pugno chiuso emozionale quanto basta per gridare al miracolo, in questa era sterile e omogenea, quasi disadorna di un sentire comune che dovrebbe invece essere percepito in tutta la sua massima potenza.

Gianni Venturi e Lucien Moreau ci fanno entrare nel loro mondo fatto di disordini cosmici musicali che accompagnano poesie di rara intensità, nella bellissima impresa di ricreare un post band CSI all’interno di 1984 ambientato nei nostri giorni, dove la globalizzazione è segno di inciviltà e dove il terreno fertile per far crescere la natura, quella vera, se di natura vera possiamo parlare, esiste al di là del nostro vivere, ma è ancora vicino a noi alla portata del nostro costrutto esistenziale, in una protesta musicale che ingloba anni di storia in un disco magnifico e di rara introspezione, un disco non da ballare, un disco da ascoltare per essere migliori.

Mattia Caroli & I Fiori del Male – Fall from grace (TimezoneRecords)

Disco soppesato a dismisura che trasporta l’ascoltatore nel convergere la bellezza di fondo racchiusa in questi pezzi che si stagliano all’orizzonte e, come quadri dipinti, vivono di vita propria, portando con sé una propria anima, mescolando citazioni letterarie ad ambientazioni legate alla vita di tutti i giorni per concentrati di amori perduti che affondano nella notte dei tempi e perseverano nell’incedere, nel trovare un punto di contatto, un punto sostanziale di meraviglia, la stessa meraviglia che possiamo ascoltare in canzoni che gravitano tra levitazioni di indie folk rock e blues in una spasmodica ricerca dell’originalità in un mondo musicale saturo di proposte.

I nostri dopo questa prova ne escono vittoriosi, capaci e carichi di quella bellezza essenziale che fa innamorare al primo ascolto e rende bene l’idea di album costruito e pensato non per durare un giorno, ma per tracciare un solco alquanto indelebile nell’era delle produzioni moderne, tra passato e futuro troviamo Mattia Caroli e i suoi Fiori del male, ad incidere minuziosi paesaggi sonori che colpiscono al cuore e ci trasportano con la testa lontano, tra le nuvole.

Maru – Maru (Resisto)

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Maru è una cantautrice polistrumentista che gioca nella sua cameretta a creare magnifiche ossessioni quotidiane in grado di amalgamare un concentrato di suoni lo-fi e pop con la canzone d’autore che fa sorridere e dando un’importanza veramente inusuale alla parola a ricoprire d’attenzioni un mondo fatto di particolari, tra la vita di tutti i giorni e le sensazioni che scaturiscono dal cuore, la nostra tra chitarra, ukulele, pianoforte e tastiera racconta di mondi non troppo immaginari in una forma canzone quasi onirica e incantata che in un attimo accoglie però tutto il suo disincanto tutta la sua imperfezione per un chiaro scuro alternato che mette in risalto le capacità della cantautrice di voler dare vita a quadri costruiti tra spruzzate di colore che si accavallano partendo da quella Zerotresettedue fino a Trucco + Astor, passando per Denti da latte e per l’irriverente Un meteo nel caffè, per un appeal sbarazzino, non troppo serio, ma in grado di far aprire gli occhi nelle giornate di pioggia, creando uno spirito reale, uno spirito giusto, per soddisfazioni future respirate a pieni polmoni.

Moostroo – Musica per adulti (Autoproduzione)

I Moostroo sono tornati e hanno le armi della parola dalla propria, una musica per adulti confezionata puntigliosamente dove le incursioni dell’underground distorto sfiorano un concetto elettrizzante e penetrante, che non cerca sicuramente le mezze misure, ma che osa fino a dimostrare che il pop è un’altra cosa, il pop è per bambini non ancora formati, questa è musica per grandi, qui ci sono le sofferenze della vita, ci sono le illusioni della vita stessa e ci sono anche le speranze nel domani, in poesie al crepuscolo tendenti al nascondere i sentimenti, anche quando di sentimenti parliamo e sono proprio questi a non permetterci di respirare, sono nove canzoni che si consumano nell’amore fino ad attorcigliare corpi su corpi, passioni nel tempo, vincoli da scardinare, montagne da scalare, in questo disco si osa, tra tempi in cui le macchine venivano parcheggiate male per assaporare la grazia del momento fino alla vecchiaia che ingloba attimi su attimi, pezzi di carne mutevole, cangiante, lucida e pallida, scura e asprigna, tenera come la notte e accecante come il giorno, i Moostroo sono tornati e ci fanno sentire il loro modo di esistere/resistere chiamando in causa anche l’amico Luca Barachetti in Usura, spaziando il cielo fino alle introspezioni dell’acustica finale Umore nero, vuoto fuori, pieno dentro e tutto il resto non conta.

Plan de fuga – Fase 2 (Carosello Records)

Plan de fuga

Qui ci si tuffa nel buio della nostra spirale elicoidale per comprendere, in modo migliore, come siamo fatti, che cosa vogliamo diventare e che cosa potremmo fare di noi stessi davanti ad un futuro segnato dal buio e dalla fagocitante miseria dei sentimenti che sempre più avanza e ci relega ai margini, sconfitti, in cerca di un appiglio, di un punto su  cui fare leva per poter gridare la nostra sofferenza, ma nel contempo abbandonare il senso di sconfitta per risollevarci ancora una volta.

Grazie alla band bresciana Plan de fuga tutto questo è possibile, si lotta, ci si strappa, si ricuce e si ricostruisce insieme un mondo diverso e migliore in cui vivere, ricordando i vicentini Virgo, grazie a incisive produzioni di notevole caratura, una voce che convince in modo del tutto naturale, quasi fatta apposta per ricreare uno stato desertico in cui scavare una buca e riporre al centro di essa, tutte le nostre cose più importanti, tutto ciò in cui crediamo, alla ricerca, forse di una salvezza che possiamo osservare ancora da lontano, ma che possiamo comunque vedere.

Mi ucciderai è un pugno allo stomaco fino a Distruggi tutto che fa da apripista al ritorno del cantato in inglese con Change it, spiraglio per avvisagli futuri che vedrà la band abbandonare l’uso della lingua italiana per tornare al respiro internazionale caratterizzante gli esordi, forse per comprendersi maggiormente, per dare un senso diverso ai racconti creati, noi di certo saremo qui ad aspettarli.

Shapeless Void – Telema (Autoproduzione)

Con gli Shapeless Void il rock del passato si raffina in maniera esemplare trasmutando l’interesse per i suoni sporchi degli esordi in nome di un approccio più dinamico e per così dire pop, anche se la sostanza qui è di casa nel confezionare un mini Ep che abbraccia le attitudini dell’indie americano con un brit sound ben suonato e calibrato a dovere, sempre alla ricerca di un attracco, di un punto fermo esistenziale dove far correre i propri pensieri fluidificanti, tra chitarre in strutture vintage dove passato e presente si ripercorrono, si fondono e si ricreano, pur mantenendo una forte connotazione istintiva e del tutto personalissima che si evince tranquillamente in tutti i pezzi proposti da Black candles, passando per Feelings, Crawling walls fino alla bellissima, nel finale, White pond per un disco compresso, ermetico e ben suonato che dimostra la capacità della band di saper percorrere strade alquanto battute con una forte dose di coraggio e di originalità.

Rocco Granata – Works (Autoproduzione)

SONY DSC

Composizioni malinconiche che abbracciano l’orizzonte e si inerpicano pian piano sopra i pensieri nella nostra testa, uno zaino di emozioni da regalare e soprattutto una trovata alquanto geniale e coraggiosa per un album stampato in 300 copie che non si potrà acquistare, ma sarà disponibile solo e soltanto attraverso due modi: la distribuzione attraverso il downloading gratuito e la diffusione del disco grazie alla presenza di vere  e proprie installazioni poste in parte dell’Italia da dove poter ritirare la propria copia; un progetto do it yourself in grado di aumentare il valore artistico di queste 12 composizioni strumentali che si muovono egregiamente tra minimal, elettronica e rarefazioni sacre tra l’analisi di mondi lontani che in modo concentrico si perdono per poi riavvicinarsi, si mescolano e conglobano il mistero creato nella bellezza del donare, nella bellezza di queste tracce che oltre alla presenza di Rocco Granata al basso, synth, sampling e alle orchestrazioni, annoverano Thomas Munz al piano e Lita Rodcenko al violoncello, un trio sospeso in stato di grazia, un trio che mescola nomi di fantasia, ma in grado di condividere tanta e tanta capacità di fondo che oltre a rimarcare la qualità della proposta si sofferma sul senso della musica nell’era 2.1, sul senso di ciò che facciamo per promuoverci e di quanti mutui dovremmo fare per far ascoltare la nostra musica secondo i dettami del mercato moderno; questo Works di Rocco Granata è un essere indie fino al midollo e ci fa capire che diversamente si può.

Per tutte le informazioni e per trovare i dischi vi rimando qui:

http://www.roccogranata.it/

Buzzy LAO – Hula (INRI)

Buzzy Lao è un cantautore multiforme in grado di contaminare un suono acustico con le melodie del mondo, un suono in grado di veicolare atmosfere sonore imbrigliando fasci di luce e trovando un modo sempre esemplare di coniugare la forma canzone al blues americano spruzzato dal reggae  per una musica percossa e digerita da una voce calda e delicata, una voce che si fa sostanza e tende le mani all’infinito, tende le mani ad un folk che vira nel soul approfondendo percorsi sonori che vanno bene aldilà di ciò che possiamo comprendere, c’è proprio tutto un mondo dentro, un mondo fatto di città popolate e di paesaggi sterminati, desertiche compressioni che lasciano il posto solo ai sentimenti più veri, raccontando di amici, amori lontani e lottando contro le iniquità sociali, lottando contro un sistema che non ci appartiene e tenta ogni giorno di screditarci, di farci perdere il valore aggiunto ed essenziale che portiamo dentro; ecco allora che Buzzy Lao centrifuga tredici canzoni che sono un percorso non solo fisico/musicale attraverso il nostro pianeta terra, ma piuttosto il nostro ci trasporta in una dimensione personale e introspettiva, dove l’amore sembra essere l’unico veicolo, l’unica forza, l’unica energia in grado di poterci ancora rinfrancare.