Overlogic – From Where ? (Autoproduzione)

Entrare nello spazio profondo per tentare di dare un senso tangibile a quello che ci sta intorno, alla grande presenza nera che sovrasta e domina, non concede e come reale anfratto che si apre alla nostra coscienza si chiede e si interroga da dove discende una bellezza elettronica che si fa racconto di una musica che non ha bisogno di essere compresa, ma piuttosto porta con sé il bisogno di dover trascinare.

Loro sono gli Overlogic e grazie a questo EP ci trasportano in un suono 2.1 del tutto moderno e carico di un freddo cosmico che si apre a lacerazioni costanti e ci discosta brevemente dalla nostra routine quotidiana, delineando un paesaggio fatto di linee emozionali che conducono ad un trip illogico, fatto dai cinque sensi che ci accompagnano a scoprire paesaggi bucolici di galassie sconfinate.

5 pezzi che sono la summa del loro pensiero, da Memories. Remains fino a Early. Morning. Horizons., pezzi che ci fanno entrare in altri mondi paralleli, lontani dalle solite proposte musicali, per un suono che prima di piacere deve assolutamente essere toccato.

Mezzo Preti – Mezzo Preti (Phonogram Music)

Folk che spazza via ogni incertezza per entrare di diritto nelle produzioni genuine e immediate, capaci di conquistare soltanto attraverso il suono, soltanto attraverso una sospirata attesa che si trasforma in pulizia del superfluo e concede spazi di improvvisazione acustici che ben si delineano con un’elettrica macerata e distorta pronta a trovare il riff giusto in ogni momento, una musica che incontra il blues del delta e i sonagli in divenire che riescono a battere il tempo grazie ad una grancassa incisiva e costante per un duo che ha fatto e che farà, della potenza live, il proprio marchio di fabbrica.

Loro sono i Mezzo Preti, nome preso in prestito da un quartiere di Montesilvano Marina, paese di provenienza di Annaluisa Giansante che con il produttore e musicista Francesco Adessi decide di creare un cantautorato che si immedesima nel pop e allo stesso tempo si discosta dalle produzioni odierne per capacità intrinseca di essere proiettato in una modernità che si fa racconto di storie e sensazioni, reali e vissute, così vicine ad una contemporaneità da subirne tutta la sua pesante presenza.

Quattro pezzi soltanto che delineano grandemente la filosofia e il pensiero di questo duo milanese, quattro canzoni che si chiudono con Forma e sostanza dei CSI quasi a voler ribadire i costrutti con i quali i nostri sono stati creati e intendono proferire il verbo; un assaggio di presente per il futuro che verrà.

SAID – Istruzioni per Loser (RocketMan Records)

Ruvidi e sporchi, taglienti e irrefrenabili, in un concentrato di suoni che escono direttamente dall’asfalto ruvido e si incuneano nei timpani, disgregando ogni forma di opinione e lanciando al mondo un’idea di miscuglio di generi che va dal metal, molto ben rappresentato, fino al rock passando per il funk fino a quel garage che incontra l’elettronica che nulla ha da invidiare a produzioni più blasonate.

Loro sono i SAID e sono al sesto album, il primo disco però registrato in power trio dando voce a sonorità che risultano essere molto più dirette e meno ricercate del solito, con una maggiore  produttività nei testi, ben ingegnata quest’ultima e ben sospinta nel creare un interesse culturale che ci vede protagonisti delle situazioni giornaliere in cui viviamo, dove le istruzioni per perdenti possono diventare, esse stesse distruzioni, in un vortice emblematico dove costanza e immediatezza sono veicolo di esigenza sospinta nel creare e inglobare gli stili di questo progetto.

Rimasti in tre, Ricky, Gill e Matte, sputano al suolo una summa del punk rock fresca e coinvolgente, soprattutto in chiave live, dove le caratteristiche del gruppo possono travolgere e stravolgere ogni forma di movimento, io vi avevo avvertiti.

NI NA – Only Ghosts (Nimiq Records)

copertina

Una nuova idea, una nuova concezione astratta, ci avevano abituati bene con il loro primo omonimo EP e questo disco completo conferma la maturità artistica dei NI NA e la capacità di snocciolare dance e musica elettronica con cantati in inglese e peripezie quotidiane che sfidano l’infinito e lasciano ai piedi infuocati in pista il gusto di dire come il giorno finirà.

Gli avevamo lasciati nel 2014, questi Daft Punk  italiani e ora li ritroviamo direttamente sommersi da sintetizzatori abissali e vocoder distorto che rendono i ritmi, percorsi sonori, capaci di imbrigliare le concezioni del tempo e creare una realtà fatta di immagini psichedeliche e trance suggestiva, movimentando il tutto con la presenza in due featuring di Naif Herin in Amy e di Clelia Antolini in True Romance a valorizzare un disco di tentazioni future e di luce brillante a calcare la scena, ad illuminare i club che il duo ferrarese ha potuto calcare in questi anni.

Un disco pieno e transitorio che non cerca compromessi, ma immola l’arte della musica come pensiero costante dentro al proprio corpo, quest’ultimo utilizzato come strumento per trascinare e inglobare un pensiero che di certo farà tremare anche la notte più nera.

Babbutzi Orkestar – Tzuper (Parruski & Makkeroni Production)

Strampalati portatori di un suono balcanico con testi non sense e disimpegnati che danno colore e calore ad una vita grigia, intersecando i sogni con l’esigenza di vivere in una spensieratezza contagiosa, ricca di approcci e riferimenti nel partorire una creatura che risiede fuori dai confini nazionali, senza dimore, senza desiderio di dimora e portatrice di quella velata ironia, come succede nel pezzo Caramella, che provoca nell’ascoltatore un senso di leggerezza a dispetto della formosa cover del disco.

Ascoltare la Babbutzi Orkestar è come assistere ad una rissa di ubriachi in un bar dove vedi le sedie volare e dove ti viene spontaneo sorridere a così tanta follia umana, anche se qui il tutto è incasellato in una ricerca notevole del suono tra rimandi a Emir Kusturica e Fanfara Tirana per pezzi caldi e irrefrenabilmente portentosi.

Un disco da ascoltare lungo l’estate che verrà, tra balli attorno al fuoco e matrimoni di un’altra terra, divisa solo da un pezzo di mare, che a dirla tutta non è poi così grande e così lontano.

Sara Velardo – 3 (Adesiva Discografica)

Sara Velardo si concede con grande stile in questo nuovo disco dalle sonorità prettamente indie rock legate ad una musica più intima, che abbraccia un’idea di internazionalità che si affaccia oltre le tempeste e oltre l’atlantico già conosciuto, non dimenticando gli insegnamenti della prova d’autore Polvere e Gas e intascando una manciata di brani che sono il compimento di un percorso evolutivo di pura sostanza, che in questo caso prende forma grazie ad arrangiamenti vividi e d’impatto, arrangiamenti che abbracciano i loop e la puntuale presenza dell’acustica a tessere trame e implementare la scena.

Sara non dimentica la componente sociale del tutto e per i testi si ispira alla quotidianità che le gira intorno, con un battito d’ali vola come un uccello sopra la città per carpirne i difetti, le ossessioni, le manie, il manierismo abbandonato per entrare in punta di piedi lungo i confini di un qualcosa di immateriale; la nostra con disinvoltura ritagli pezzi delle nostre vite per poi ricucirle in un nuovo vestito e forse sta proprio qui la peculiarità della cantante calabrese, il riuscire nell’intento di abbinare una gran bella voce e bei testi ad un significato mai scontato, ricercato, Sara mi fa pensare ad una musicista a tutto tondo, capace di prodezze sempre nuove e che non smette di stupire ad ogni nuova uscita.

The Please – Here (Maciste Dischi)

Dispersi nel deserto psichedelico dei sogni dove i The Please vogliono portarci con la loro nuova prova, ci imbattiamo inesorabilmente in costruzioni non lineari,  attraversando spunti di riflessione per poter comprendere l’origine di questa musica senza tempo e priva di confini che attinge l’idea stessa del rock e del folk in un luogo remoto e inaccessibile, penetrante e al contempo lisergico, quasi acido che si immola e concede ricordi targati ’70 e una voglia di sperimentare alla Justin Vernon su tutti, in un cantautorato luccicante e brillante.

Una fotografia che mantiene ancora i colori di quello che è stato, a ribadire le proprie origini, tra Jefferson Airplane e toccate del White Album per un disco che tutto possiede tranne che un’italianità scopiazzata, questa è una prova con l’anima di quelle sentite e rilasciate a chi verrà, in un sostanziale avvicinamento al passato che tanto ha reso importanti le prove dei gruppi moderni che ancora calcano la scena, che ancora vogliono parlare di sé.

I nostri ci regalano una prova di respiro internazionale, intensa, dove la parola QUI non significa tempo, ma significa casa, un qualcosa che va oltre le concezioni per una musica che non ha età, ma che ha trovato la propria dimensione nel condividere; poi dentro c’è tutto il resto: i rapporti che si aprono e si chiudono e la vita che prende il colore che le vogliamo dare.

Silence, Exile & Cunning – On (Autoproduzione)

Stoner rock commistionato al folk, distorti stoppati e batteria in levare, attese che si fanno sentire e lunghi abbracci che ci fanno tornare a casa, questo debutto rinnova le speranze e si fa portatore di un suono ricco e calibrato, capace di smuovere e allo stesso tempo dare un segno di immediatezza comprensibile e orientativamente percepita.

Loro sono i SEC, si muovono tra Treviglio e Crema e fanno della loro musica un’unione invincibile di più generi, addomesticando facilmente le loro parti più introspettive fino a ridare un senso di energia al tutto che costringe l’ascoltatore a non staccare mai l’orecchio da quello che ascolta, entrando in una parte ben definita, ma elaborata, capace di voli pindarici e atterraggi lunari comprensivi.

Un disco che è aperto a numerose interpretazioni, un disco sull’odio, sul sesso, , sull’apertura nei confronti di un concetto e allo stesso tempo un disco sulla vita, fatta da innumerevoli contraccolpi, esigenze e speranze, un album fatto anche di ricordi e da ricordi; un significato che solo ognuno di noi può apertamente dare.

Split, split, split è canzone inno fino alla chiusura con Clip 22, 12 tracce dal sapore ’90 con occhio lungo al futuro che sta arrivando.

Ongaku Motel – Volcano (Autoproduzione)

Spogliati di qualsiasi orpello inutile e dilettevole il trio milanese di folk pop si lascia cullare dai flutti indisturbati e indissolubili di un mare lontano facendosi portatori di un suono che per lo natura è fonte di cambiamento e riesce in modo semplice e diretto a conquistare spazi sempre più veri e affermata capacità espressiva e compositiva, in modo di fissare concetti di un substrato in piena eruzione.

Volcano è il titolo di questo secondo Ep e si discosta dal precedente per maturità stilistica raggiunta e forte personalità impressa in un continuo circolare che convince e imprime il senso e il bisogno del viaggio, quasi fosse una sorta di parallelismo con ciò che ci portiamo dentro, le nostre aspirazioni, i nostri sogni e i nostri vuoti a rendere.

Sei tracce dalla spiccata esigenza di partire e dalla spiccata esigenza di raccontarsi iniziando con l’apertura affidata a Occhi Pesti e poi via via fino al finale ironico e disilluso di Amare gli amari.

Un disco pieno di spunti e musicalmente ben calibrato, che rende onore ai sogni e per un momento ci fa scordare il buio di ogni giorno.

 

 

La banda del pozzo – La banda del pozzo (Autoproduzione)

Un’autoproduzione con stile che fa sognare di mondi lontani e interseca quello stato racchiuso dalla bellezza del suono che incrocia i ritmi swingati e cantautorali narranti, in un vortice di sospensione millesimata e certamente indirizzata a contenere spunti e riflessioni, quasi fosse fame d’aria; un cambiamento di coscienza e forte personalità per questa band che nonostante sia al primo disco regala una prova certamente riuscita e coinvolgente.

Loro sono La banda del pozzo, nati in Sicilia, ma stanziati a Milano, hanno saputo creare, grazie a una raccolta fondi di più di 6.000 euro, un disco cesellato a dismisura, ricompensando i donatori con serenate notturne, cene siciliane, scherzi telefonici e quant’altro sia sgangherato e connesso alla stravaganza della band.

Un album che già al primo ascolto colpisce per cura del particolare, e rapisce per suoni sempre azzeccati, dando origine a collaborazioni con artisti del calibro di Mattia Boschi dei Marta sui tubi, Alessandra Contini e Gianluca De Rubertis dei Il Genio, Tiziano Cannas e Dario Ciffo per i Lombroso e Francesco Sarcina delle Vibrazioni in veste anche di produttore del pezzo Gina.

Freme ancor apre le danze, passando per L’illusione ti fa bella e Gina, convincente a dismisura La notte di San Giovanni per un finale meraviglia con Artie (e falla innamorar).

Un disco ballabile e sentito, romantico, ma con un piglio di ironia, capace di sostenere e autosostenersi in un turbinio di colori che abbracciano milioni di mondi ancora, tra un Fantastic Mister Fox di Anderson e la poesia moderna dipinta.