Give Vent – Midwest EP (Autoproduzione)

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Punk tascabile in formato acustico che regala immagini di tempi andati a ricoprire adolescenze da telefilm anni ’90 in continua evoluzione e amore a dismisura per quel tipico modo di vivere da college statunitense che ben rende l’idea di questo tipo di musica, urlata quanto basta per lasciare spazio però alla melodia e ad un cantato, a tratti stonato che comunque ci sta con la proposta in questione, per un album, questo piccolo EP di Give Vent, all’anagrafe Marcello Donadelli, che si lascia a due tracce originali: December e Midwest e rassicura con le cover riuscite di gruppi come The appleseed cast, The get up kids e degli At the drive-in in un disco estemporaneo, ma ricco di quella voracità giovanile che sempre e comunque farà scuola.

NADIE’ – Acqua alta a Venezia (TerreSommerse/LaChimeraDischi)

Siamo pronti a morire sotterrati dentro alla fosse del qualunquismo? Siamo pronti a combattere ancora oltre ogni modo e oltre ogni forma di mercificazione quotidiana? I Nadiè con il loro nuovo lavoro entrano di prepotenza in un mondo in bilico, una terra che viene mangiata e deturpata dai soliti noti, un album che domina di riflesso l’idea di illusione e non si lascia andare a mezze misure, ma convince per la capacità di creare testi abrasivi coadiuvati da substrati musicali che mantengono le promesse con il passato. Un disco di dieci pezzi, dai suoni tipicamente anni ’90, ma nel contempo incasellati in questo presente, un album che sente il bisogno di uscire e di farsi conoscere, in equilibrio tra Afterhours e Marlene Kuntz, in un evolversi poderoso di rock anti sistema, originale e ricercato, da quell’applaudire ai funerali fino a farci capire che ci sono e ci saranno bandiere a mezz’asta se non inizieremo a lottare, lontani dal disincanto e così vicini al cuore da essere umani grondanti verità.

Julitha Ryan – The winter journey (Atelier Sonique)

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La senti nell’aria e come un brivido sale su per la schiena, non si ferma incontrando le difficoltà quotidiane, ma assapora la vita istante dopo istante, attimo dopo attimo in un magma liquido e penetrante, multiforme e aggrovigliato che accoglie e poi abbandona, in un sali scendi emotivo di rara bellezza. Tra la rabbia e la malinconia le forme espressive ridanno colore a ciò che colore non ha e questo disco, dopo cinque anni, della cantautrice australiana Julitha Ryan è un vero toccasana per tutti coloro che vogliono ricercare nella musica non banalità, ma pura essenza, puro racconto, un maestoso declino verso il baratro per risalire piano toccando le corde dell’anima, accostando in una sola persona mostri sacri quali Antony, Joan as a police woman e Bjork per imprevedibili incontri autoriali che trovano nella canzone pianistica un avamposto per strutturare archi sintetizzati in pezzi stratificati che si aprono immensamente a pezzi di una certa caratura come Bonfire e Like a Jail, per passare ai labirinti di Memento e poi già a convogliare in un sodalizio che chiude il cerchio con There is no turning back, il tutto per stabilire che non si può tornare indietro, anzi solo proseguire il cammino, con la speranza che tutta questa magnificenza non sia effimera bellezza, ma qualcosa che possa durare ancora.

Roberto Vitale – Di legno e di cenere (Autoproduzione)

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Autoproduzione silenziosa che ingloba pensieri di solitudine e amore per canzoni da cuori spezzati e poesia che va ben oltre le concezioni del cantautorato moderno, fondendosi con l’istante, con i pensieri che non dominano la scena, ma che piuttosto ritrovano nella bellezza dell’attimo, nella compiutezza del momento, un proprio punto di svolta, un proprio punto di contatto e di occasioni per dare un senso profondo a tutto il mondo che gira e scivola lentamente dalle nostre mani. Il cantautore Roberto Vitale regala attimi di lucentezza dietro alla finestra della vita, lo fa con classe, stile ed eleganza, lo fa con la capacità e la sicurezza di chi non ha nulla da perdere, lo fa perché bisogna farlo e questo basta e ci vuole poco per perdersi in pezzi come l’iniziale E poi o Elicrisio, passando per la Title track o la bellissima Settembre. Un disco che rapisce dal primo ascolto, si denuda degli orpelli di un’elettronica moderna e si stabilisce in modo del tutto naturale come parte integrante di un mondo in continua costruzione, tra le bufere dei sentimenti e la bellezza nella condivisione, immolata per l’occasione a quadro naturale e moderno fuori dal tempo.

Egon – Il cielo rosso è nostro (Autoproduzione)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.Tuffi profondi in dissolvenza in grado di rispecchiare parabole ascendenti nei confronti di un disco in completa evoluzione contagiosa che si esprime nell’attimo dopo l’attesa, si esprime in un insostenibile bisogno dichiarato di passare dalla luce al buio, dal momento del crepuscolo fino alla nuova alba ed è qui che i nostri Egon si collocano, là dove c’è la notte più scura, cupa e nera, là dove ci si perde per poi ritrovarsi, tra incursioni rock legate indissolubilmente agli anni ’90 e quel parlato tipico di produzioni indie più moderne che si alterna facilmente e dona spazi di apertura anche all’inglese di Dry o almeno in parte, brano alquanto riuscito che incontra e scontra parallelismi doverosi ricordando gli Smashing Pumpkins di Try, try, try in un concentrato di lirismo rock e underground capace di maturare sempre più nel tiepido bagliore di un giorno pronto a morire, per lasciare posto alla tanto cara oscurità che ingloba.

Davide Solfrini- Vèstiti male (New Model Label)

Indossiamo vestiti per apparire o per far parte di un mondo che magari ci sta stretto, tra le solitudini quotidiane e il nostro vivere male che ci porta inesorabilmente a fare i conti con il nostro io, con noi stessi, tra le difficoltà di ogni giorno e quella forza che ci appartiene e che ci fa andare avanti oltre ogni cosa. Davide Solfrini continua la sua ricerca musicale attraverso panorami intrisi di verve poetica e letteraria, dove la ricerca testuale si sposa e va di pari passo con quella delle sette note, lo possiamo capire già dalle prime battute del nuovo disco, Vèstiti male, attraverso quella Portiere Notturno che sembra racchiudere un concetto essenziale presente in tutto il disco e cioè quel mondo mostruoso di cui facciamo parte, quel mondo che non riconosce l’essere umano come tale, ma piuttosto ne sottolinea i lati deboli e le continue sottomissioni; dal mondo lavorativo appunto, fino ad un mondo estetico raccontato nella title track, per arrivare all’oscurità dell’anima di Una volta ero un uomo diverso il nostro intasca una prova caratterizzata da chitarre anni ’90 e quel piglio malinconico e introverso che ben si lega al concetto di abbandono sociale presente nel nostro incedere quotidiano.

Cranchi – Spiegazioni Improbabili (New Model Label/In the bottle Records)

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Piccoli acquarelli lucenti che raccontano di un micro mondo che cresce attorno al cantautore Massimiliano Cranchi e alla sua band in un sodalizio con la canzone d’autore italiana che vede il nostro approcciarsi a sentimentali poesie di un tempo passato e di un tempo presente in grado di narrare, attraverso piccoli particolari, la bellezza e la semplicità della vita, tra le insidie di ogni giorno e tra le esigenze di domandarsi e di occupare un posto che ci permette di vivere completamente una situazione di intesa profonda con ciò che ci sta attorno, attraverso quello in cui crediamo. Tra sonorità mai sospinte, ma piuttosto sussurrate in rima, tra De Gregori e Guccini in un connubio d’autore che rende bene l’idea e l’apice musicale, i nostri muovono i propri passa alla scoperta di un mondo raccontato non come fatto di cronaca, ma piuttosto come idea intrappolata in nuvola sulfurea che si fa trasportare dal vento lontana nel tempo e confezionando un disco in cui si respira l’odore della pianura e del sole estivo alternato al gelo invernale.

Stato brado – Cosa adesso siamo (New Model Label)

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Country rock della campagna mescolato al folk e alla canzone tradizionale per un disco che sa di amarcord vintage nel pranzo della domenica affacciato al cortile della vita che per l’occasione mescola le carte in tavola a racimolare tratti esistenziali di quotidianità sotto il sole cocente, raccontando di sogni infranti, personaggi strampalati e uomini e donne di tutti i giorn, alle prese con le difficoltà che attanagliano e non rendono sicuro il cammino che abbiamo davanti. La ricerca di lo Stato Brado avanza prepotentemente grazie al suono condiviso, all’attuazione di una proposta ben stratificata e convincente mescolando il passato con il presente, la musica appunto d’autore con un qualcosa di più moderno che affonda le proprie radici nell’eventualità del momento e si fa spazio da Nient’altro fino ad Aspetta e spera in un connubio sostanziale di musica fatta per divertire e fatta per far riflettere che non stona assolutamente tra le proposte di questa moltitudine musicale in divenire.

Filippo Dr.Panico – Tu sei pazza/Edizione Deluxe(Frivola Records)

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Tempo fa avevo parlato dell’ufficiale Tu sei Pazza in questi termini:

Un disco spiazzante dalle sonorità semplici e un’attitudine punk da primo della classe che sfrontatamente cantando in italiano ci racconta di amori non corrisposti, di amori perduti, un disco sull’amore insomma.

Non quell’amore però da carta patinata e nemmeno quello che si fa raccontare nei diari segreti adolescenziali, questo è un amore da ring, un amore che si consuma e lotta per sopravvivere, dietro alle apparenze, dietro alla scia di vapore che ci ingloba, mentre tutti gli altri stanno a guardare, disinteressati, svogliati, accomunati per nulla dall’intento finale.

Quello di Filippo dr.Panico è un disco  dal carattere forte e deciso, con frasi ridondanti e ripetitive, segno dei tempi, segno di un concetto ossessivo, gridato e snocciolato mentalmente; Filippo ci consegna le istruzioni per l’uso, quelle da scatoletta dei medicinali, quelle da buttare per seguire l’istinto, a Filippo sostanzialmente non frega niente di come andrà questa sfida, lui tenterà in tutti i modi di viverla e questo basta.

L’edizione Deluxe regala sorpresine per tutti coloro che vogliono scoprire il mondo di Filippo nella sua per così dire completezza, anche se di completezza non possiamo parlare, ci sono diversi adesivi all’interno del plico, un poster, il libretto straordinario delle sue mitiche poesie ormai stra consumato da un po’ e in procinto di mietere vittime a dismisura sempre e comunque e il disco vero e proprio che si completa con una serie di canzoni, presentate dall’amica Mica che proseguono la ricerca sonora un po’ punk riadattata ad un cantautorato multiforme che nella finale Situazioni in altissimo male mare dà il meglio di sé e dona alla proposta una visione d’insieme altamente contagiosa che non smette di stupire anche dopo numerosi ascolti.

Uncle bard & The dirty bastards – Handmade! (Autoproduzione)

Sogni abbandonati sulle scogliere dove il mare continua ad infrangersi per poi ritornare ancora più inesorabile alla ricerca di un suono che si fa verdeggiante e carico di un folk che si fa musica estemporanea e nel contempo raccolta a racchiudere segreti di terre lontane, abbandonate, dal rigoroso silenzio fino alla costruzione mentale e musicale di suoni che solcano i mari e si riappropriano con frastornato stupore di tutto ciò che è andato perduto, di tutto ciò che è in procinto di sopravvivere oltre i segnali di un folk che sembra essere stereotipo, ma nel contempo si carica di una doverosa essenza per personalizzare una proposta che vede in primis un gruppo di amici che nella semplicità del momento raccontano storie attorno al fuoco, lo fanno con fare deciso e ispirato in questo disco, un disco completamente handmade fino all’autoproduzione, un album in cui gli ostacoli sembrano solo essere lontano ricordo e dove i sogni possibili e ispirati si contendono su di un palco polveroso capace di intrappolare il colore dell’Irlanda.