Brucke – Yeti’s Cave (Autoproduzione)

Psichedelia aperta a situazioni post rock in una musica da cinema che si fa colonna sonora introspettiva, elegante e destrutturata quanto basta per dare forme sostanziali in una ricerca che non segue le mode, ma piuttosto incentra il proprio suono nella riproduzione costante di un flusso senza fine, un intreccio di colori paralleli al caso che virando al verde intensificano un timbro ambito e del tutto originale, sottraendo tempo all’inutilità e dilatando proprio quel tempo capace di attanagliare e rendere il viaggio contestualizzato per approccio e per capacità di vedere oltre; perché i nostri Brucke sanno quello che vogliono e di certo il loro suono non può essere facilmente incasellato, anzi si ritrova ad essere etichettato tra le avanguardie musicali moderne in un contesto in pieno divenire che segna i passaggi come le orme sulla neve, neve che tarda a scomparire.

Endrigo – Ossa rotte, occhi rossi (IndieBox)

L'immagine può contenere: una o più personeCanzoni che corrono con noi alla velocità del suono, non lasciano scampo e non lasciano fiato, trattengono il respiro e le poche cose che ancora possiamo avere e ci consegnano uno spaccato di involuzione rock che sfocia ed esplode in attimi di rabbia convulsa che accecata dal troppo star male si riaddormenta in un sonno che porta i nostri Endrigo a cucirsi attorno una pelle di lacerante bisogno di sopravvivenza, contro le furie del tempo, contro l’inesorabile declino, apprendendo diligentemente la lezione dai FASK, dai Ministri e da altre band come Majakovich su tutte ad incatenare il nostro bisogno di appartenere a quella fame da palco che ha sempre e comunque una valvola di sfogo tra le tenebre in un inseguire continuo fatto di coraggio e bisogno di incanalare le energie, talvolta facendosi del male, ma con il potere di rialzarsi e di poter raccontare e raccontarsi ancora in pezzi come Controcrederci, Sobrio, Spara e la finale Buona Tempesta a ristabilire equilibri dopo le ondate di mare a rischiarare il tempo oltre i costrutti che conosciamo, senza paura, senza rancore, ma con un briciolo di esperienza e speranza in più.

MoMa – A permanent state of transition (Autoproduzione)

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Suoni di matrice tonante rock che sa convogliare la bellezza dei testi con l’esigenza di comunicare grazie ad un caleidoscopio di intenzioni e di nuovi terreni da ricercare, il tutto acquisisce forma affascinante nella misura in cui la stessa ricerca si fa anche ambizione nel correre per aprire nuove strade a nuovi pensieri in una quotidianità di fondo che si esprime in tutta la sua grandezza proprio quando i nostri ricercano la cura del suono e nel contempo la semplicità di fondo che traspare è sinonimo di attesa per grandi soddisfazioni, soddisfazioni culminate in un disco, dopo il primo del 2013 che ricerca ancora nell’ibrido funky rock la propria strada, un percorso condito da ballate a cuore aperto e quella sensazione di già sentito che in un attimo scivola per lasciare posto ad un’originalità che attinge dalle esperienze passate per dare un senso a ciò che forse senso non ha. Nell’incedere continuo e quotidiano, fuori dagli schemi di una musica omologata, i MoMa si differenziano per il riuscito passo indietro alle mode del momento.

Frequenze Retrò – Nel cilindro di un mago (Autoproduzione)

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Suoni acustici e sussurrati che riescono nell’intento di dare un colore di fondo a magie ultraterrene capaci di imbrigliare il tempo in un solo lampo accecante e costringendo l’ascoltatore ad entrare in un club tappezzato di legno alle pareti e al pavimento in grado di assorbire i suoni del tempo in una musica che trova ispirazione nello swing, nel jazz manouche all’insegna del divertimento, ma anche all’insegna di una caratterizzazione di fondo che mette in primo piano una ricerca sonora di invidiabile capacità in divenire, raccontando storie di ogni giorno, raccontando di noi e del nostro vivere, condizionato, ma anche sovrapposto ai mille pensieri dell’animo umano, tra sogno e realtà in un concentrato di Sicilia che vive grazie ai suoni e che implementa il proprio sapere attraverso una musica in perfetta simbiosi con l’ambiente circostante tra meraviglia e stupore, tra le gioie quotidiane e il nostro essere noi stessi fino alla fine.

Taprobana – Tabrobana (Autoproduzione)

Anfratti psichedelici profondi abissi lisergici puri che si apprezzano soltanto nella confusione del parlato e accecano occhi in due pezzi conturbanti a contenere questa piccola, mini prova, dal sapore d’altri tempi, un sapore di una musica carica di sostanza che deve cercare di uscire, deve cercare di esplodere, limando le imperfezioni e facendosi trascinare dal flusso costante del momento in una comunione d’intenti che in queste canzoni sa cercare anche un’originalità di fondo che deve continuare ad essere ricerca per un album completo che aspettiamo, in nome di una musica targata ’70 che nella dimensione  di movenza costante trova in questo mini disco il bisogno di uscire maggiormente.