La bestia Carenne – Coriandoli (Bulbart)

Pazzia sonora che si forma e si contorce nel ricreare labirinti che non danno nulla per scontato, ma piuttosto rafforzano una condizione esistenziale che si estende in questa trasposizione allucinata di pezzi sonori che sfiorano e colpiscono voracemente la potenza dell’intelletto studiando il potere sotto diversi punti di vista e creando un’unione di musica acustica e musica elettronica calibrata a dovere dove gli interventi si fanno veicolo stesso per la spiegazione di concetti originali e del tutto trasportabili nella società moderna, per un disco che parla del quotidiano, ma lo fa in maniera del tutto originale, una specie di concept sugli abusi di poteri che trovano nel singolo Le gambe belle materia di studio per lo stesso Freud incarnando un’idea di ricerca che propria nella sessualità vede la riconduzione di un quadro più ampio che ben si sposa o meglio che ben si accoppia con una musica strampalata, ma mai banale, sdoganando l’easy folk del momento e arrangiando una musica che ha proprio il sapore di una vita intera.

Il vuoto elettrico – Traum (Dreamingorilla Records / I Dischi del Minollo / La Stalla Domestica)

Fragorosi e imponenti, inclassificabili oltre maniera e alla costante ricerca di geometrie rock che cercano di dare un nuovo apporto alla scena circostante, implementando testi affilati in stato di grazia che per l’occasione sono sostenuti da un apparato strumentale davvero notevole e particolarmente incazzato che incrocia l’hardcore al punk passando per un rock pesante ad innescare i drammi esistenziali quotidiani, come fosse colonna sonora di una catastrofe profonda oltre maniera che si perde nel tempo ineluttabile e costringe l’ascoltatore ad arrovellarsi in un profondo stato di coma dove i bombardamenti sonori fanno parte di un tutto complesso e altamente disturbato e dove il notevole apporto negli arrangiamenti da parte di Xabier Iriondo porta l’elettricità di fondo ad incrociare il suono del Teatro degli orrori e degli Elettrofandango, per una pesantezza al limite che sfiora i Massimo Volume e ci consente di entrare in un mondo, in una casa, fatta da infinite stanze dove perdersi tra le nostre infinitesimali bassezze, tra gli specchi dell’anima che parlano di noi, mai più però come prima, ma profondamente diversi, profondamente cambiati, in eterna lotta tra ciò che è bene e ciò che è male e mentre la casa sprofonda noi anneghiamo con lei e con le nostre stesse paure respirando la caduta nel vuoto.

Elefanti – Noi siamo elefanti (Autoproduzione)

Esplosioni sonore che si dipanano e si auto costruiscono attimi lisergici profondi attraverso un garage rock compresso e nel contempo dilatato grazie ad un combo capace di vibranti prospettive e attese che esplodono proporzionalmente al valore delle canzoni che ci troviamo ad ascoltare, quasi fosse un diretto continuo di Il suicidio del samurai dei Verdena, tante sono le parti in causa che creano unione d’intenti, tante sono le passioni rigettate al suolo in questo disco di puro delirio da stanzetta dei giocattoli pronta ad esplodere in bisogni dichiarati fin dalle prime battute: non avrai il mio avorio cantano gli Elefanti, non sarai completamente mio per un atto di sfida al mondo della musica usa e getta, preservando la bellezza insita in queste genuine produzioni e per l’occasione costruita ad arte  in simbiosi con le canzoni che scorrono grazie ad un disco di rock e sudore che incontra le passioni dei nostri sfidando un agglomerato di stimoli circolari, contro ogni qualsivoglia forma di mercificazione.