The Wheels – Self Portrait (My Place Records)

Un autoritratto fatto a regola d’arte dove i colori si fanno portatori di un suono decisamente d’oltremanica strizzando l’occhio a band come Stereophonics e The Verve e facendo denotare una maturità integrata da ballate che funzionano lasciandosi alle spalle il superfluo e colorando il tutto con pastelli vintage eclettici.

5 canzoni di presentazione che toccano vertici poetici e assemblano uno stile inconfondibile cercando di trovare una via d’ispirazione che va oltre il già sentito.

Francesco Tocco alla voce, chitarre, tastiera, batteria, Mauro Ramon alle chitarre e Roberto Farci al basso si concedono di analizzare una corrente musicale targata ’90 raccontando quadri di vita di tutti i giorni mascherando l’inutile e andando diritti al centro della questione, come funamboli su di un filo che è la vita, sempre in equilibrio per non cadere.

Ecco allora che le chitarre si distorgono quanto basta per ricordare a tratti i Radiohead di Pablo Honey e per sperare che il loro cammino non finisca proprio adesso.

The Heart and the Void – A Softer Skin (Le Officine)

Soffice e delicato, elegante e così legato alle radici alla terra, a quel cantautorato soft pop che respira aria di folk tra salici e fiumi che non hanno direzione.

Riappropriarsi di una manciata di sorrisi e correre in punta di piedi verso ciò che ancora non conosciamo, respiriamo esuberanti l’aria come fosse un regalo a cui aspiriamo e teneramente ci divincoliamo su prati dall’erba che ci ricopre.

Questo è il secondo ep di The Heart and the Void, già passato su IndiePerCui con il primo lavoro, che a differenza di quest’ultimo, il nuovo, è un concentrato di maturità cantatutorale e storie nuove da raccontare.

Aiutato dalla compagna Giulia Biggio nelle seconde voci, il nostro da al tutto quella vena malinconica low-fi che accomuna molte produzioni di fama mondiale, partendo dai classici Dylan e Cohen su tutti fino ad arrivare a nomi come The Tallest man on earth o Iron and Wine.

Sei tracce di pura poesia tra saliscendi sonori e la chitarra a farla da padrone quasi fosse un tutt’uno con un corpo che chiede al cuore di fare il suo dovere, ancora per una volta.

Uno scorrere del tempo nel tempo, una foresta e i suoi abitanti e noi che entriamo in punta di piedi.

Miss Mog – Tutto qui (Dischi Soviet Studio)

 4 tracce tra sorseggi elettronici e il bel canto, commistionando e sapendo far interagire composti di un altro mondo per sottrarre l’inutile e facendo emergere solo la parte importante dentro ad ognuno di Noi.

Una formula strana questa per i veneziani Miss Mog che confezionano un’Ep particolare, a tratti etereo a tratti disarmante, una ricerca continua di suoni che nella loro semplicità si caratterizzano come un marchio di fabbrica tra fluttuazioni sonore e tempi che  si rincorrono a ricercare l’indefinito.

Compressioni sonore quindi, chitarre quasi assenti per un’elettronica imperante, ammaliante che si fa hip hop nel cantato e riemerge dallo spessore fangoso in cui era relegata.

Una via tutta loro quindi da Meteoritmo a Faust, quattro pezzi che scaldano e che stanno li in una galassia puntata da stelle al neon vibranti luce propria.

Questi sono i Miss Mog e questo è il loro mondo incasellato da un meccanismo segreto.

 

Latex Teens First Attack – Supermarché erotique (Autoproduzione)

foto marina muolo

Power trio veneziano incavolato, che si immola a garante per una colonna cinematografica di poliziesco anni’70 che incrocia nuvole sospirose di tritolo che ingigantiscono i sogni perduti di un alieno in decomposizione.

Latex Teens First Attack affondano appunto al nocciolo e con un nome furbescamente incasellato si dimensionano a portatori di un sound che è uno strumentale aperto al ripiegarsi delle onde, una compressa divagazione sonora che lascia sospirare vecchi film pieni di polvere e corrosi dal lirismo post adolescenziale che vorrebbe essere matrice portante, ma ne evidenzia in sostanza l’assenza.

Titoli divertenti in un supermercato erotico che lasciano divagazioni e incontrano convinzioni in un eterno costrutto che si fa reale in pezzi suonati alla grande come Lasagni fino ad Un bacio per te.

Un b-movie d’annata colorato dall’oscurità, Romero e Hooper che si fanno traghettatori di anime dannate, per stupire senza chiedere altro.

Luca d’Aversa – Luca d’Aversa (Sunny Bit)

Ascoltando Luca sembra di entrare nel tempo, utilizzarlo come dimensione, tanto caro è questo termine al cantautore che cerca disperatamente vie di fuga per raccontare una realtà tante volte ostile, ma piena e carica di sfumature.

Già all’attivo da molti anni il nostro si concentra sullo studio di cantautori passati per dare poi il tocco personale che cambia, evolve e migliora, quasi contorcendosi in amori persi e illusioni lontane.

C’è molto De Gregori in questo e c’è molto stile d’oltreoceano che interseca in modo esemplare un cantautorato che non è mai banale, ma che si autoconvince fino all’essenza, alla ricerca di qualcosa che solo il tempo appunto può dimostrare e cambiare.

Il brano Troppo poco è stato scelto per la colonna sonora di Confusi e Infelici, film di Massimiliano Bruno con Claudio Bisio.

Una ricerca di una felicità quindi, quasi spasmodica, tipica di un cliché italiano, ma che si immola come stato di grazia a cui tutti dovremmo arrivare.

Un cantautore non cantautore, che strizza l’occhio alla musica leggera non rinnegando le radici indipendenti di provenienza.

La purezza quindi mescolata alla voglia di usare, tipica di chi non si arrende mai.

My Speaking shoes – Siamo mai stati (Autoproduzione)

Si cimentano con il cantato in italiano e stupiscono.

Stupisce soprattutto quella voce, la voce di Camilla Andreani che abilmente commistiona un cantato rock al bel canto italiano, che con aggressività arriva a comporre melodie alla Natasha Khan su strutture dei primi Smashing Pumpkins di Siamese dream.

Il tutto poi si evolve toccando vertici hardcore con punte di new metal che strizzano l’occhio al noise rock d’annata e il punk più elettrizzante.

Le canzoni convincono, sia dal punto di vista linguistico sia perché generano una novità nel panorama della musica italiana avvicinandosi alla proposta, ma osando maggiormente, dei Sick Tamburo.

Tutto questo sono i My speaking shoes, gruppo di giovani di Sassuolo che rinfrescano per proposta e convinzione, relegando uno spazio a tutto ciò che è inutile e soppesando, da equilibristi sopraffini, tutte e 11 le tracce tra divagazioni sonore strumentali e non in cerca di costante ispirazione.

Un disco ricco di spunti e riflessioni, capace di renderci atti ad ascolti che vanno ben oltre il nostro sentire.

Prova in italiano superata direi e comunque gran prova davvero, che sovrasta per originalità e inquieto vivere capace di sfoderare, quando meno te lo aspetti, brani di questo livello.

The JellyTales – The JellyTales Ep (Autoproduzione)

JallyTales inabissano l’ascoltatore lungo un concentrato di suoni che abbracciano il cantautorato al rock, per toccare l’indie più estremo con accenno di prog e novità nell’aria che si esemplificano in cori puntuali e decisi.

Sono di Milano, sono giovani e amano divertirsi, assomigliano parecchio agli Artic Monkeys, ma strizzano l’occhio anche a The Black Keys e a tutta la scena indie del momento passando per Franz Ferdinand e qualcosa dei primi Arcade Fire.

Chitarre al vetriolo, fraseggio deciso, pronuncia inglese più che buona, fanno di questo ep d’esordio un’ottima carta da sfornare per l’apertura di porte e strade sempre nuove.

Capacità quindi di sintesi e iniziativa sono le caratteristiche principali di questa giovane band che suona assieme dai primi mesi del 2014 e già in grado di confezionare una buona autoproduzione.

Resta ora il tempo che li accompagnerà nella loro crescita personale sperando che resistano alle intemperie del mondo musicale e alle scelte che faranno nel futuro. Ben arrivati anche a Voi!.

 

Matteo Toni – Nilla!Villa!. (Woodworm/La Fabbrica)

Batteria e ritmi in primo piano, impostazione vintage, con occhio strizzante agli anni ’60, appeso fino in fondo come un soprabito sopraffino reciso dallo scorrere del tempo, ma incastonato in un vortice di colore che psichedelia a parte ci governa in modo naturale, quasi fosse la nostra anima, delle radici da cui partire.

Un folle direbbe che questa musica non è parte integrante di Noi e allo stesso tempo lo stesso folle potrebbe dire che questa musica guarda al futuro tanto è personale, quanto si concentra su ciò che più ci sta a cuore.

Matteo Toni è questo: un cantastorie rock che prende ciò che di meglio ci circonda, dal cantautorato indie pop, al rock cantautorale di prima classe, fino alla musica leggera italiana, da Lucio Battisti a Tenco passando per le incursioni dei The Rocks ai Corvi.

Chitarre distorte quanto basta, batteria che fa il suo dovere (Giulio Martinelli anche con Umberto Maria Giardini) e la presenza di Antonio Cupertino al missaggio, fanno di questa opera un disco strampalato e pieno di eterni significati che ognuno di noi potrebbe e dovrebbe trovare.

Qui IndiePerCui si è permesso di ascoltare in modo del tutto nuovo dieci tracce che hanno il sapore del passato, di un qualcosa di vecchio, ma non scaduto, un qualcosa di rigenerato e gettato sopra una tavola imbandita, dove non manca niente, nemmeno una gustosa torta e forse questa ne è proprio la ciliegina.

Dadamatto – Rococò (La Tempesta International)

dadamatto rococò

Quarto disco per i Dadamatto che con il loro post prog indie pop si concedono di creare meravigliose armonie uscendo dagli schemi del già sentito e marchiando abilmente il loro futuro con un sigillo che ben pochi sapranno imitare.

Questo è un disco complesso, ricco di sfumature e di controtempi che allegramente si prendono il giusto tempo per incasellare testi ironici e taglienti con altri più meditativi e portatori di un modo di scrivere che garantisce una continuità espressiva a dir poco travolgente.

Si snocciolano tranquillamente argomenti di elevata cultura metafisica come Pluridimensionalità per rendersi conto poi che tutto ciò che di più grande abbiamo sulla terra è l’amore per la persona cara o l’amicizia che va oltre il vissuto come in Insieme.

Si canta l’amore anche in Marina e si tende all’infinito sia con il Prologo che con l’Epilogo, formando quel cerchio che non viene spezzato e tantomeno viene a scalfirsi, tanto è ricca di sovrastrutture questa musica da far impazzire anche il più cervellotico degli ascoltatori.

Ecco perché possiamo leggere il tutto su più piani, c’è chi si accontenta dell’ilarità, c’è chi della profondità altri che apprezzano l’approccio di tastiere in improvvisate sonore.

Un disco carico, ricco e di per sé pieno di quella attitudine genuina e sicura tipica dei grandi e veri gruppi della penisola.

Polar for the masses – Una giornata di merda (Tirreno dischi)

unagiornatacoverCV_PFTMUn disco pieno e intenso che ti fa correre lontano alla ricerca di sinuose strade che si divincolano lungo spiagge semivuote, dove a farla da padrone è un mare cristallino che però nasconde non poche insidie.

Questo nuovo disco dei P4TM suona proprio così, è un amore che all’apparenza sembra tranquillo, ma già dalle prime note all’alba si concede un confronto netto e deciso dall’attitudine punk e dal massiccio rock cadenzato tipico di un power trio capace di meraviglie sonore.

A stupire il tutto è la forza compressa in ognuna delle 10 canzoni presenti nell’album, quasi a delimitare un territorio di caccia apparente dove la fuga è sinonimo di paura, ma anche di libertà.

Intenso quanto basta questo disco ci racconta i drammi della nostra società, in modo schietto e diretto, che ti entra e non ti lascia, non stanca e procede nel suo incedere profetico.

Abbandonata da un po’ la scelta di cantare in inglese per i nostri è il tempo di raccogliere i frutti sperati, con un cantato italiano che convince e una linea sonora capace di terremoti d’oltreoceano che estingue l’inestinguibile e fa rinascere ciò che si pensava fosse morto.