Duracel – Supermarket (IndieBox Music)

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Carriera disinibita su palchi polverosi di una penisola in fibrillazione atriale concessa per un ennesimo disco dal sapore d’altri tempi e che vede i Duracel compiere il miracolo ancora una volta. Dopo L’ora d’aria e dopo un’attesa di quattro anni, torna la band veneziana che da quindici anni di sostenibile potenza trova ancora nella denuncia sociale una propria strada, un proprio grido potente per raccontare e raccontarsi, all’interno di quella scatola chiamata Italia che troppe volte toglie senza nulla dare. Le canzoni si sciolgono come aspirina nell’acqua e il toccasana riprodotto ha il gusto di qualcosa di forte e di ben strutturato, musicalmente classico, ma pieno di quella sostanza che si fa ricordare. Dodici canzoni che sono lo specchio di questi tempi, dodici pezzi che a fatica si dimenticano. Bentornati Duracel e che sia sempre un inizio per voi. 


-LIBRI ILLUSTRATI- David Pintor – Venezia (Kalandraka)

Titolo: Venezia

Autori: David Pintor

Casa Editrice: Kalandraka

Caratteristiche: pagine 64, copertina rigida

Prezzo: 16,00 €

ISBN: 9788895933757

Perdersi a Venezia, tra la maestà dei canali in lontananza e le case inglobate al centro attorno, i piccioni che appollaiati aspettano qualche grano di cibo e il vociare dei gondolieri capaci di attirare turisti in massa al rallentatore tra le calli, i ponti e le numerose fotografie che riempiono i nostri album di ricordi, i nostri pensieri lontani, il nostro appartenere a qualcosa di grande essenzialmente unico nella sua rilevanza più totale. A Venezia ci sono stato tante volte, ma così tante che non riuscirei a raccontarle. A Venezia studiava l’amore, c’erano amici e meraviglie sempre nuove da scoprire, dire che è una città magica e che incanta sembra banale, ma il banale è un effimero pensiero che qui non trova dimora.

Venezia è bella e smarrire la bussola della propria anima nel libro di David Pintor è cosa buona e imprescindibile, una cosa di gusto, un onirico viaggio nella bellezza che accorpa e rende le immagini un punto di ancoraggio fermo e reale in uno stile fumettistico dove sagome buffe compiono voli pindarici e bizzarri all’interno di un paesaggio riconoscibilissimo e a tratti stravolto dai colori accesi, dagli interventi cromatici che sono equilibrio e anche magnificenza che esplode di tavola in tavola, di pagina in pagina. L’autore galiziano, ormai da anni sulla scena internazionale per il suo disegnare riconoscibilissimo ed emblematico ci consegna una prova che non vuole farsi guida, ma piuttosto ricondurre il lettore attraverso illustrazioni pedalate come aveva fatto nei precedenti Barcellona, Lisbona e Compostela, immagini che non danno peso rigoroso all’architettura nel suo insieme, ma convergono dando la voce ai sentimenti che si fanno racconto di vita vissuta in prima persona.

Un blocco di schizzi, un bianco velocipede e le emozioni si aprono accompagnando l’illustratore giramondo in un sodalizio con ciò che rimane ancora di bello attorno a noi. Venezia, edito da Kalandraka, è un libro da scoprire sotto molti punti di vista. Un quadro surreale di una città da preservare, un insieme di luce che si fa disegno attraverso i tetti e i balconi delle case, attraverso le pietre a ricomporre strade e attraverso la nebbia del cuore che pian piano si dissolve regalando attimi, vedute, scorci che sono un piacere per gli occhi e una speranza nell’instabilità del domani. Pintor si siede sulla finestra della vita ammirando un tramonto lontano. Non serve vederlo, basta solo immaginarlo.

Per info e per acquistare il libro:

https://www.ibs.it/venezia-ediz-italiana-spagnola-inglese-libro-david-pintor/e/9788895933757

House of tarts – House of tarts (Autoproduzione)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Dimensioni sghembe elettroniche che ritrovano un appeal esistenziale nella concentrazione unisona di suoni che rispecchiano un mondo in decomposizione e alienante capace di straniare grazie ad atmosfere da horror b movie anni ’80 in un condensato da sistemare, ma che ammalia per coraggio, dose di sperimentazione appropriata quanto basta e vacuità di fondo che annebbia e ci conduce attraverso un mondo privo di punti fermi e in grado di variare ad ogni battito di ciglia. Le House of tarts sono un duo alquanto particolare capace di dimenarsi tra sintetizzatori e basso creando tappeti sonori carichi di quella schiettezza che porta con sé la post adolescenza incipriata da citazionismo colto che assorbe e porta a scoprire la realtà tra The Yellow line passando per la riuscita A day as anubi e My lullaby per poi tornare alla potenza di fondo con Unjohn50 e alla dolcezza del finale lasciato a Pearl. Le giovani sperimentatrici insaccano una prova davvero particolare che necessiterebbe soltanto di qualche aggiustatina nella cura del suono e delle voci; un duo che ha già le fondamenta per diventare le nuove Lilies on Mars.

Are you real? – Songs from my imaginary youth (Sisma/Dischi Soviet Studio)

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Poesie crepuscolari che attingono la propria vitalità nei sogni dell’infanzia e tra le cuciture della pelle, tra gli amori lontani e quelli vicini, raccontando un’esigenza nel ricreare ambientazioni folk in un indie rock che punta alto e si lascia trasportare dalla potenza dell’elettronica mai conclamata, ma piuttosto utilizzata come punto d’appoggio esistenzialista per futuri radiosi e nuove possibilità alla ricerca della propria anima, persa nel viaggio, persa nell’errare che ci caratterizza e ci contraddistingue in vellutate composizioni che si lasciano apprezzare, ammirare, coinvolgere e allontanare per poi ritornare in passi capaci di riscoprire una bellezza fatta di canzoni eleganti come l’apertura Song for a stranger, Behind your eyelids o I kissed Alice, per un disco, quello del veneziano Andrea Liuzza, in arte Are you real? che sa scavare nelle profondità dell’animo umano, desertificando l’inutilità del momento e consegnando a noi ascoltatori nove tracce fatte di purezza e veridicità che si respira, si percepisce e ammalia di luce e colore un pomeriggio grigio qualsiasi.

Miss Mog – Federer (Dischi Soviet Studio)

Synth pop intriso di vintage per l’ennesima prova dei Miss Mog che intascano racconti di pianura padana affacciata sul mare, tra quintali di slot machine periferiche e pomeriggi passati a convincersi che il mondo marcio in cui viviamo è effettivamente bello, rigoglioso e florido.

La balena bianca è stata quasi del tutto surclassata per lasciare spazio ai disastri che anche questa, nel tempo, ha contribuito a creare, nell’immediatezza della sua fame e nell’assurda convinzione di imprenditori facoltosi arricchitisi sulle spalle delle giovani generazioni del passato e ora pronti a creare stati di crisi in un mondo voluto e cercato da loro stessi.

I Miss Mog raccontano di un cane che si morde la coda, raccontano delle contraddizioni della ricca regione, raccontano di un passato non voluto e di una speranza ancora oltre l’orizzonte, sperimentando i bagliori di un’epoca che raccoglie il pianto di intere generazioni e poi lui il campione Federer a ricucire, come fosse una partita, il tempo perduto, la vittoria sudata.

Qui però in Veneto si perde in partenza, le generazioni che verranno saranno ancora figlie dei nostri genitori, perlopiù raccolti attorno a piccole soddisfazioni quotidiane, attorno alla domenica calcistica, la bottiglia di vino e la montagna di chiacchiere da bar, imprenditori di noi stessi si diceva un tempo, imprenditori per gli altri, spero, si dirà un domani.

Soulspirya – Stay Human (SlipTrickRecords)

Anfratti gotici che lasciano il segno in contemporanea allo spegnersi del sole, perpetuando le ombre in mobilità apparente, in stato accecante e confusionale, dove le onde del mare si appropriano del tempo rubato, donando calore e intensità a questa prova che sa di alternative studiato e calibrato, la solitudine centrale dell’essere umano e la continua ricerca di nuove sperimentazioni sonore.

In bilico tra Lacuna Coil, Portishead e Muse dei primi dischi il duo veneziano prosegue la ricerca di nuove abilità compositive che si possono ascoltare lungo le undici tracce dell’album, dando maggior risalto ad un’internazionalità di spicco pronta ad entrare prepotentemente in territori inospitali, rendendo il tutto una via di fuga verso una casa che ancora  stiamo cercando.

I testi esistenziali si fanno appiglio al colore seppia oscuro di un’immagine in dissolvenza e già dal primo pezzo We are coming  i nostri affrontano in totale libertà il loro entrare di diritto verso terre che ci appartengono, che fanno parte di ognuno di noi, creando quel connubio musicista/ascoltatore che permette di proseguire l’ascolto con attenzione, passando per riuscitissime The tunnel, Fading away, We will be alone fino al finale di The night before.

Un disco che racconta la solitudine dell’essere umano, lo fa toccando le aspirazioni dell’anima e quei muri che inevitabilmente ogni giorno troviamo davanti a noi, lo fa con rispetto verso il mondo ingabbiando quella solennità tipica di un genere che via via ci si ritrova a combattere per uscirne vivi, ancora una volta, come quelle onde del mare, laggiù all’orizzonte, tra uno scoglio silenzioso e la luna che governa le maree, quasi ad essere la padrona della notte: l’essere umano e il suo lato oscuro, l’essere e l’oscurità.

Yakamoto Kotzuga – Usually Nowhere (La Tempesta)

Intrecci sonori contagiosi privi di lirismo, ma che inesorabilmente si fondono a vissuti che lasciano in bocca ambizioni e concetti che vanno ben oltre la realtà che conosciamo, anzi si implementano in vuoti cosmici da riempire fino all’ultimo bicchiere, reso assurdità dal mondo e dal destino ineluttabile.

Giacomo Mazzucato è tutto questo, un’opera ansiogena in divenire che affonda e lotta, si consuma e crea, lasciando da parte l’usuale per comporre avventure soniche tra stranezze celebrative di un tempo che non è poi così lontano.

Questo disco può essere precursore di ciò che verrà, la lontananza non è mai stata così vicina e il sapore che ci lasciano queste 11 tracce non è un sapore legato soltanto alla sperimentazione, ma un qualcosa che va ben oltre il nostro udito, è materia da cui trarre spunto per pubblicazioni future: un suono extraterritoriale tra moti ondosi e calma piatta portatrice di nuove esigenze che esplicano in un bisogno essenziale di continua creazione.

Ecco allora un album da cui partire, su cui fondare il proseguo di genere, una lunga lotta indefinita, ma che pone le basi per ciò che verrà, tra contaminazioni e perfetto stile mai incasellato, ma sicuramente vissuto.

Sophie Lilienne – The Fragile Idea (Irma Records)

Sophie Lilienne è Il VeZzo e il VeZzo è Sophie Lilienne.

Marco Vezzonato viene da Venezia ed è uno sperimentatore di trip hop sonoro, mescolato all’elettronica d’avanguardia e a sonorità ultraterrene da terra di mare smerigliata e lucidata a dovere per sembrare ancora più bella.

The Fragile Idea racconta una storia, fatta di pensieri fragili, dentro la nostra testa, chiusi dal sacchetto della speranza che non ci da la possibilità di creare, di intraprendere quel viaggio necessario per la nostra totale compiutezza.

The Fragile Idea è anche la colonna sonora di un film che parla di Noi, di come ci muoviamo e di come tentiamo di comprendere il destino, ma che in realtà, proprio il destino stesso ci obbliga ad essere formiche rispettose e stabilizzate in tempi da rispettare, ma che non sono i nostri, relegati a regole già scritte da altri, ma che non sono nostre.

Questo disco è un ‘esperienza uditiva e dal vivo si trasforma anche in esperienza visiva, concentrando sonorità su immagini e immagini su sonorità; artefatti della vita e della morte dove in mezzo ci siamo noi con il nostro vivere quotidiano, innescato da qualche attimo di gioia o da qualche buon disco come questo.

Fragile Idea è colonna sonora essenziale ed esistenziale, dove i protagonisti sono gli umani, alle prese con la loro quotidiana innocenza.

Latex Teens First Attack – Supermarché erotique (Autoproduzione)

foto marina muolo

Power trio veneziano incavolato, che si immola a garante per una colonna cinematografica di poliziesco anni’70 che incrocia nuvole sospirose di tritolo che ingigantiscono i sogni perduti di un alieno in decomposizione.

Latex Teens First Attack affondano appunto al nocciolo e con un nome furbescamente incasellato si dimensionano a portatori di un sound che è uno strumentale aperto al ripiegarsi delle onde, una compressa divagazione sonora che lascia sospirare vecchi film pieni di polvere e corrosi dal lirismo post adolescenziale che vorrebbe essere matrice portante, ma ne evidenzia in sostanza l’assenza.

Titoli divertenti in un supermercato erotico che lasciano divagazioni e incontrano convinzioni in un eterno costrutto che si fa reale in pezzi suonati alla grande come Lasagni fino ad Un bacio per te.

Un b-movie d’annata colorato dall’oscurità, Romero e Hooper che si fanno traghettatori di anime dannate, per stupire senza chiedere altro.