I Picari – Radiosi saluti da Fukushima (Autoproduzione)

Radiosi saluti da Fukushima, l’album d’esordio de I Picari | OUT 29 Novembre 2014

Sono simpatici radiosi e divertenti, ma sanno essere taglienti come una lama di un rasoio, concedendosi a dismisura creando un vortice di passioni che si collega direttamente al cantautorato italiano targato ’70 e strizzando l’occhio al folk rock dei primi 2000.

Una commistione che incentra il tutto in testi autentici e sinceri, genuini e a dir si voglia neorealisti, che non lasciano spazio all’immaginazione, ma relegano la cripticità in un angolo buio impedendo ad essa di uscire anche solo per un piccolo accenno.

Testi diretti quindi, suonati in modo puntuale e raccolti in una manciata di canzoni che si rendono portatrici di un suono fresco e coinvolgente che non banalizza, ma anzi è alla ricerca puntigliosa del contrappunto sonoro, della nota in più che enfatizza il tutto.

Un disco fresco genuino e soprattutto reale, che tratta la modernità sottolineandone vizi e incompiutezze, speranze e sogni.

Franco Micalizzi – Ondanuova 1(Goodfellas)

Franco Micalizzi, non ha bisogno di molte presentazioni, provate a trovare la sua voce dedicata in Wikipedia e scoprirete le innumerevoli colonne sonore che hanno accompagnato film italiani e stranieri nel corso del tempo, nonché la benedizione di Tarantino che lo considera uno dei suoi compositori preferiti inserendo tracce da lui composte in film come Grindhouse – A prova di morte e Django Unchained.

In questo nuovo disco si avvale di musicisti e amici importanti come Fabrizio Bosso, Jimmy Haslip, Jeff Lorber e Eric Marienthal per creare un sound che si trova a metà strada tra il jazz il funky e la bossanova ricreando un circuito esistenziale che si fa portare, come su un’onda lontana, lungo i flutti dell’oceano.

Comprendere questa musica è assai difficile, l’essenziale è distendersi e farsi trasportare, in incursioni improvvise di fiati in stato di grazia a ricomporre un’esigenza e una fame che non è mai fine a se stessa, ma continua ricerca della perfezione.

Tutto questo è Franco Micalizzi, che non smette di stupire nonostante i 74 anni d’età; quella capacità sbarazzina di concedersi ancora una volta, come se la musica fosse strumento mentale che da senso alla parola.

La Fine – Scontento (SuperdoggyMusic)

La fine è arrivata, il caldo soffocante brucia i campi e i nostri pensieri, che non sono più fermi al loro posto, ma vagano e vagano alla ricerca di qualcosa che non troveremo mai, forse.

E’ un pugno allo stomaco questo album perché ti scuote dentro e come in un precipizio senza ritorno si concentra sull’essenziale, un post hardcore melodico e non troppo gridato, ma segno di una prova corale che lascia spazio al pensiero di andare oltre la smodata noia.

I nostri La Fine se ne guardano bene da ricreare stereotipi, anzi sputano in faccia al mondo intero parole di dolore e ineluttabilità, amore e morte in un ciclo continuo che si chiama vita.

Un flusso di domande quindi, negli stessi titoli delle canzoni a domandarsi il perché, senza trovare risposta.

Siamo soli loro ci dicono e siamo umani, capaci di relazioni, incapaci di mantenerle, siamo opere che ci sciogliamo al sole tra incroci di At the drive in e Fine Before you came, in un’inesauribile coscienza che dovrebbe essere di tutti, condivisa, ma relegata al sogno che mai si avvererà.

Dead cat in a bag – Late for a song (Viceversa Records)

 

Non so che cosa indosserò per il mio funerale, ma di certo questa sarà la mia colonna sonora, una lenta e degradante discesa lungo l’incerto, l’oscurità perpetua che se non fosse altro che un colore impresso nelle nostre menti, potrebbe tranquillamente risolversi in bianca luce celeste.

I Dead cat in a bag sono Tom Waits e Nick Cave messi assieme, sono Micah P. Hinson e sono anche Robert Johnson; racchiudono in modo espressivo un mondo e un colore che all’interno si ritrova a far da battaglia con assi di legno rotte e scricchiolanti.

Strumenti fuori dal tempo e foto fuori dal mondo che si immedesimano in un’epoca che non ha età e non ha confini, priva di quelle barriere a cui, magari questa musica potrebbe essere incasellata.

Questo dei Dead cat in a bag è tra i migliori album del 2014, sarà per indole verso questo tipo di musica, sarà perché colpiscono per la cura maniacale dei suoni, a ricreare un contesto assai intricato e poderoso che si lascia alle spalle sontuose ballate per uomini solitari, sarà perché entrano dentro fino a scavare in profondità, ma la loro musica resta pura e cristallina, non rappresa da finzioni legate al marketing, ma intrisa di quella poesia che si fa arte ancora una volta.

 

Il muro del canto – Ancora Ridi (Goodfellas)

Il muro del canto sorprende ancora, estrapola dalle radici di comunità romana un suono sempre più maturo e integrato in un mondo che parla di noi e dei nostri problemi, un folk indipendente che passa direttamente dentro ai nostri ricordi e ne riconcilia il candore di un’infanzia passata tra le alte mura di una città millenaria che racchiude un microcosmo culturale simile ai racconti dei nostri nonni.

Dentro a queste canzoni c’è la poesia di strada quella di tutti i giorni, che puoi udire dalla voce degli strilloni, in un mercato sonnacchioso, oppure in un centro vivo e accogliente; in questi pezzi c’è la voglia di cambiare, di far l’uno in funzione del tutto, mantenendo integrità, valori e morale che va ben oltre ciò che ci hanno insegnato nella dottrina al catechismo pomeridiano.

Questo album si fa da portavoce ai numerosi dilemmi della vita e di storia in storia, canzone dopo canzone ci porta a scoprire un universo di metafore e pensieri, solitudini nascoste e magari dimenticate.

Ancora ridi è il simbolo del nostro tempo, troppo lontano per sembrare nostro e troppo vicino per sentirlo indefinito, 12 tracce di protesta sociale, da cui si può intravedere uno spiraglio, laggiù tra i grigio – scuri, oltre la flebile luce.

Nymphalida – Portraits (Tranquillo Records)

Mi piace definire questa musica, una musica senza spazi e confini, da assaporare nota per nota e da dove poter attingere il giusto nutrimento nell’attesa che avvenga qualcosa di importante e di sperato.

Questo è un progetto davvero singolare, dietro a tutto questo troviamo Pietro Bianco che si diletta tra rumori di sottofondi sonori accompagnati da un pianoforte malinconico e ostentato che ricorda il Nyman di Lezioni di piano, atto alla rinascita in divenire di archi sintetizzati e preciso nell’istante di colpire al cuore ancora un volta.

Un suono calibrato e congegnato da quei meccanismi di ricercatezza che fanno in modo di inglobare narrazioni da altri pianeti e improvvisazioni sonore che introducono a nuovi brani con singolare perspicacia.

Ecco allora che la chitarra classica prende il posto del pianoforte ricreando una malinconia, diversa, quasi desertica aiutata da flussi di vento e incedere filiforme di ombre sonore.

Un disco, una colonna sonora utile e preziosa, raffinata e ricercata, che parla del tempo, della solitudine e di quella costante ricerca di perfezione che accomunava i grandi compositori degli anni passati.

Il dono – La rivolta ideale (29 Records)

Granitici e anti classic rock che ricordano molto i primi Afterhours, dissonanti e allo stesso tempo incisivi, capaci di raccogliere nel tempo quella necessità di fuga e di rivolta che deve provenire dal basso nell’intento di creare qualcosa di vero e unificante.

Portatori di un suono che lascia trasparire attimi di genialità la band romana Il dono si lascia ad elucubrazioni sonore che vedono l’elettrica in divagazioni catartiche di gioventù sonica.

Un fardello quindi che deve essere scaricato e l’atto della rivolta ne è l’esempio, l’emblema che ci porta al cambiamento, alla riunificazione della sostanza in un pensiero condiviso, create per Noi da Noi.

Testi in bilico tra trasposizioni poetiche e vissuti quotidiani che lasciano molto all’immaginazione e alla prorompente idea di cambiamento si pongono in competizione con la necessità di andare oltre un’etichetta e coraggiosamente i nostri ne prendono la via.

Una via sicura e precisa, battuta, ma non per questo banale, segno del tempo che matura e degli ascolti quotidiani che si fanno fonte d’ispirazione per creazioni sempre nuove nell’attesa che il rock torni al suo stato puro di essenzialità e ribellione.

PlunkExtend – Prisma (QB Music)

5 canzoni, 5 colori, tracce malinconiche che si spezzano all’inesorabile declino e alla speranza di centrare sonorità post floydiane in lento crescere e divenire.

Un pop rock ricercato che trae linfa vitale attraverso sonorità legate ai gruppi di fine ’90 primi 2000 in testa fra tutti Perturbazione, Paolo Benvegnù per finire con Amor Fou.

Testi che incantano per veridicità e introspezione e mettono in risalto una chitarra acustica che scioglie e crea atmosfere rarefatte coadiuvata da un’elettrica che fraseggia e si lascia trasportare ad effettistiche calibrate.

Un colore e uno stato d’animo, un colore e una creazione nuova che mescolano attimi di vita all’illuminazione, nell’intento di farsi strada, di ricercare un pensiero oltre il grigiore delle città.

Racconti di vita quindi che incanalano una tonalità che ci introduce alla canzone che sta per arrivare, al pezzo che vuole renderci partecipe della sua singolarità.

E come in un quadro il tutto si fonde in un’immacolata bellezza pronta ad ammaliare e a stupire ad ogni nuovo ascolto.

Zail – Worthless (Wasabi produzioni)

Sperimentali quanto basta per entrare in un limbo di suoni elettronici compressi all’interno di un cubo esistenziale dove passano neuroni e satelliti spaziali, divincolati da sonorità ultraterrene capaci di sperimentazioni fuori-norma e costantemente alla ricerca di una via da seguire.

Duo italo-tedesco con sede a Berlino, che non dimentica le origini italiane, si concede di fondere atmosfere trip hop al Kraut rock post industriale, ponendo l’accento su incursioni alla Massive Attack e fondendo sui generi una vibrante tempesta di colori.

Ricordando per certi versi i Radiohead di King of Limbs i nostri osano fino ad arrivare ad una concretezza tangibile.

Gruppo già maturo e collaudato capace di sorprendere per l’internazionalità della proposta e per la spiccata capacità di fondere testi criptici ed emozionali a melodie post noise e intense.

Questi sono gli Zail e Worthless è il loro primo Ep.

 

Luca Loizzi – Canzoni quasi disperate (Autoproduzione)

Queste sono tutt’altro che Canzoni quasi disperate, anzi, sono delle vere e proprie perle che omaggiano il tempo che trascorre dietro di Noi.

Un turbinio di suoni acustici e strumenti ben suonati, che anche solo per un momento, ci fanno assaporare quel cantautorato malinconico, ma vivo e presente come fosse un suono a noi famigliare.

Dopo il primo album pubblicato con Puglia Sounds Records, il nostro Luca Loizzi si cimenta in una prova ricca di armonie perpetue dove a farla da padorne è quell’esigenza di chiudere un cerchio che si apre inevitabilmente con le esperienze della vita e trova come sola via di fuga il viaggio, tra personaggi stralunati e testi taglienti che si ripercuotono in un pensiero condiviso.

Il cantautore si fa quindi cantastorie e dopo numerose collaborazioni che lo portano ad una crescita personale il nostro si permette il lusso di fondere il proprio stile con la canzone francese e la tradizione cabarettistica d’alta scuola italiana.

Ecco allora che sembra di stare dentro ad un circo ipnotico, pieno di parole dove trarre giovamento; bellissima E se per caso che si dipana in folkeggiamenti fino ad Estate di merda di Fumarettiana memoria che porta al finale di Valzer senza nome.

Un disco da spiagge deserte dove raccontare un’estate che non c’è più e dove sperare che qualcosa si veda, di nuovo, là, oltre l’orizzonte.