The heart and the void – The loneliest of wars (leOfficine)

The heart and the Void lo conosco bene, è passato di qui con le prime autoproduzioni, i primi EP e finalmente è arrivato al momento del grande salto con un disco completo, intenso, sincero e vissuto. L’artista sardo è un concentrato di parole e bellezza da ammirare affacciati al fiume della vita che ingloba e nel contempo sussurra parole d’amore e di speranza, un cantautore di certo talentuoso che dopo aver girato di gran lunga la penisola è riuscito ad imbastire un album completo ben ponderato e calibrato che raccoglie l’eredità del passato e centrifuga un desiderio innato nel mescolare il sempre citato The tallest man on earth, passando per Iron & Wine, An Harbor senza dimenticare i grandi che hanno fatto la storia della musica d’autore come Dylan o Nick Drake. Attraverso dieci pezzi il nostro raccoglie una pittura velata da una leggera tristezza e malinconia, un’introspezione profonda tipica dei poeti della terra d’Albione, un mix di emozioni struggenti che possiamo scegliere se far scivolare lungo l’ascolto dell’intera produzione oppure, come consiglio, prenderle e portarle nel posto che abbiamo più vicino al cuore, là dove tutto nasce e tutto muore. The heart and the void si conferma essere una delle voci più rappresentative del folk italico, un cantautore da seguire negli anfratti della nostra penisola, dalla pianura alla città, dai mari fino alle montagne imponenti e lontane.

The Heart and the Void – A Softer Skin (Le Officine)

Soffice e delicato, elegante e così legato alle radici alla terra, a quel cantautorato soft pop che respira aria di folk tra salici e fiumi che non hanno direzione.

Riappropriarsi di una manciata di sorrisi e correre in punta di piedi verso ciò che ancora non conosciamo, respiriamo esuberanti l’aria come fosse un regalo a cui aspiriamo e teneramente ci divincoliamo su prati dall’erba che ci ricopre.

Questo è il secondo ep di The Heart and the Void, già passato su IndiePerCui con il primo lavoro, che a differenza di quest’ultimo, il nuovo, è un concentrato di maturità cantatutorale e storie nuove da raccontare.

Aiutato dalla compagna Giulia Biggio nelle seconde voci, il nostro da al tutto quella vena malinconica low-fi che accomuna molte produzioni di fama mondiale, partendo dai classici Dylan e Cohen su tutti fino ad arrivare a nomi come The Tallest man on earth o Iron and Wine.

Sei tracce di pura poesia tra saliscendi sonori e la chitarra a farla da padrone quasi fosse un tutt’uno con un corpo che chiede al cuore di fare il suo dovere, ancora per una volta.

Uno scorrere del tempo nel tempo, una foresta e i suoi abitanti e noi che entriamo in punta di piedi.

The heart and the void – Like a dancer (Autoproduzione)

Ci sono artisti che è sempre un piacere recensire perchè creano quella comunione con l’ascoltatore che, a dispetto del genere che possa piacere o meno, fanno dell’alchimia musicale una ragione di vita.

Questo moto perpetuo spesso accade con in cantautori e qui ci troviamo a varcare territori in bilico tra un primo Dylan e il più recente The Tallest Man on heart.

La voce del sardo Enrico Spanu convince perchè riesce a raccontare storie malinconiche e velate quasi inattese con arrangiamenti minimal, ma calibrati, dove l’acustica prende il sopravvento in tutti  e quattro i brani del mini ep.

“For the little while” parte con grancassa sostenuta a dare il tempo alla dolce zuccherata “The morning after”, “Empty house” porta appresso arrangiamenti ricchi di phatos mentre “When winter ends” è una canzone per l’inverno che deve finire.

Un album che  sprigiona vento come foglie di alberi che mutano al cambiare delle stagioni.

4 pezzi per il tempo quindi che ci attende, un svegliarsi improvviso accarezzati dal futuro: questo è The heart and the void.