La XII notte – Il venerdì dei mostri (Overdubrecordings)

Prendi un banchetto dove chi aspetta sta per compiere qualcosa di favoloso, lucente e allo stesso tempo oscuro, vorace, di quella voracità pronta ad esplodere e  a lasciare in aria tracce di sostanze in decomposizione che si allineano all’idea di grottesco come uccelli che perdono il volo cadendo inesorabilmente a terra.

Prendi ciò che resta da questo banchetto di fine anni ’90: resta il grunge, il post rock, resta il rock nella sua più vera essenza, gridato a squarciagola e sudato fino all’inverosimile, fino alla tenuta di ciò che ora non ci appartiene più.

Prendi poi un gruppo di ragazzi, La dodicesima notte appunto, che mette su questo banchetto tutte le loro pietanze più buone, tutti i loro interessi, con l’intento si smascherare coloro che al banchetto indossano la maschera dell’opportunismo e del qualunquismo.

Ecco allora che tutto è spiegato, svelato, come fosse proprio quella magia che il mago, in tenere età, c’ha rivelato di nascosto in un orecchio, creando uno stato di svanimento misto all’arcano che si è protratto fino ad oggi nel vivere quotidiano.

Il venerdì dei mostri racconta proprio questo, racconta di un mondo che ci vede sempre Sul podio, ma nel contempo ci rende Borderline racchiudendoci in un Vortice che si porta tutto via.

Un disco per il nostro tempo, un disco che in qualche modo ci fa sperare di essere diversi, forse migliori, in attesa che i giorni cambino o meglio in attesa di cambiarli.

Klem – Ritagli di tempo (Autoproduzione)

0002530983_10Klem è graniticità allo stato puro, un suono che rapisce fino ai primi ascolti, un connubio sonoro di chitarre che si stagliano contro il muro del suono ad abbracciare melodie legate allo Stoner di QOTSA e al cantato italiano dei primi Timoria.

Una formula vincente questa, confezionata da un sapore retrò nell’uso stilistico di contrapposizioni sonore che ammiccano inevitabilmente ad un suono targato ’90, capace di distendersi per farti entrare in ballate stereoscopiche ricche di vapori che si incanalano nelle onde dell’oceanomente trasformando il tutto in un gioiello da portare appresso.

10 canzoni, il numero perfetto negli album dell’ultimo periodo;  tracce, passi che si evidenziano nei ritagli di tempo , quasi a costruire un puzzle dall’immagine completa, tracciando un contorno che risulta essere maggiore della somma delle parti.

Scacco Matto ti rapisce per coinvolgimento esistenziale passando per la spensierata Da te e arrivando con un balzo alle previsioni di Sfera di cristallo chiudendo nel finale con la strumentale al fulmicotone Acqua, terra e fuoco.

Un disco fatto per colpire, per colpire nel segno, segnando una breccia, e creando un ponte, un collegamento con il passato che mai sarebbe stato più fresco e vivo.

Chaos Conspiracy – Who the fuck is Elvis? (Overdubrecordings)

8 tracce che ti strappano la lingua lentamente, che si insinuano come serpe al collo e ti stritolano le materie prime che ti legano a questa vita carica di agonia e repentino incontrollo.

Un raggio di suoni che si amplia sistematicamente a rifornire di pesanti frastuoni un muro di chitarre gainizzate e messa a posta li per ricomporre ciò che era perduto, disperso, come barca in mezzo al mare che si porta con se ricordi, speranze, illusioni.

I Chaos Conspiracy fanno del grande indie strumentale con venature post e finalizzato al continuo discernimento del dovere, un distacco di maschere a gas che crea quel senso di assuefazione e lisergico letargo da cui dobbiamo uscire per combattere, sempre in ogni dove contro il logorio della macchina e del mondo.

8 pezzi che si librano tra RATM e Korn passando per suoni caotici in evoluzione.

Provare per credere I don’t wanna be your Ipod passando per Calogero Theory o ancora la dirompente title track.

Un chaos che in qualche modo si fa ordine, un rumore che tira le fila dell’indefinito in cerca di qualcosa che sempre e comunque risulta in divenire, tra l’astratto e il concreto tra l’improvvisazione e il costante incedere della novità.

Wu Ming Contingent – Bioscop (Woodworm)

Ci sta l’abbandono e la crisi generazionale che investe il proletario succube del potere.

Ci sta una mossa che ne vale almeno cinque in quanto pretende di essere quello che effettivamente è veramente.

Ci stanno i Wu Ming Contingent che snocciolano canzoni come fossero attimi di incorposa e sinuosa crudeltà verso un mondo polverso fatto di strade tra alti palazzi dove il fumo si alza in cielo nascondendo il reale, il vero e tutto ciò che può sembrare tale.

Un gridato che abbraccia la new wave e il post rock and roll toccando Lindo Ferretti quando ancora aveva qualcosa da dire e quando ancora il sudario era un pezzo di straccio pieno zeppo di pioggia dopo una performance da urlo.

I nostri scarnificano la massa e dicono che così il mondo non va bene, non funziona e si intravedono spiragli di luce solo nel seguire una determinata via racchiusa da confini immaginari.

Vapore e nuovole stridenti che si ascoltano in pezzi come Soladato Manning o in Italia mistero kosmiko lasciando tracce di lati B in Dio Vulcano! e Socrates.

Un disco di protesta e congiunzione, di rabbia e ricongiungimento verso un orizzonte che stenta ad arrivare, verso un’alba ancora priva di colore; per fortuna ci sono gruppi come i Wu Ming Contingent ad illuminare la via e a dare un senso a tutto questo.

Majakovich – Il primo disco era meglio (To lose la track)

Majakovich: “il primo disco era meglio”

Questo è il futuro della musica italiana.

Dopo l’ascolto del loro nuovo disco, prodotto da Tommaso Colliva, i Majakovich ci ribadiscono che la loro musica non ha nulla di scontato anzi il tutto ricalca alla perfezione un’idea, quel concetto di fare dell’ottimo sound in un periodo spesso alla deriva, ma ogni tanto anche capace di stupirti con perle di rara provenienza ed aspetto che ti entrano come vetri in frantumi nella pelle mutevole, costringendoti a trovare quella fiamma sempre accesa che risiede dentro di te.

Un rock emozionale contornato da muri granitici di chitarra che si contappongono in modo efficace ad una sezione ritmica che non ha nulla da invidiare a band di maggiore caratura.

Il tutto suona legato ad una cascata imperiosa di fronte ad un palazzo di cristallo dove la luce si fonde con la limpida acqua formando un arcobaleno di colori irrimediabilmente maestoso e solenne, quasi a trovarci al cospetto di una nuova meraviglia.

Ci sono echi di Ministri, Afterhours, Marlene Kuntz, ma anche Zen Circus e il suono via via acquista più incisività in pezzi che si contorcono dopo la sognante Ufo lasciando spazio a vibrazioni sonore che difficilmente ti fanno pensare che ora in Italia ci sia qualcosa di così maledettamente valido.

Un disco da tenere in qualunque angolo della casa: potrebbe essere una nuova colonna sonora per i nostri giorni, fino alla prossima prodezza, fino al prossimo respiro.

Plasma Expander – LIVE3 (Brigadisco)

Plasma Expander - LIVE3Musicisti con la M maiuscola questi Plasma Expander che con la loro uscita discografica LIVE3 sanciscono in modo espressivo un concentrato di musica che si deteriora e decompone per filtrare spazi sempre più ampi e cercare un punto di fuga.

Gli appassionati del genere potranno trarre godimento da questo disco perché in qualche modo si identifica con l’anima della band.

Un album suonato in presa diretta, dentro ad uno studio di registrazione, ma senza sovra incisioni, una piccola perla che valorizza le capacità intrinseche dei cagliaritani e li espone ad un confronto che a fatica troverà dei rivali, tanto la loro proposta risulta varia, respirando internazionalità colorata.

I Mars Volta vanno a braccetto con Mogwai e lo strumentale fa da colonna sonora al tempo che verrà.

5 brani di stravolgimenti con echi al passato, 5 brani che fanno la fortuna e danno la fortuna di ascoltare questi ragazzi dal vivo comodamente nella propria casa.