Majakovich – Elefante (v4v records)

album Elefante - Majakovich

Si respira fuoco e un’aria di novità, lacerante idea di un giorno che mai sorgerà ancora di nuovo e scoppiettante flusso di pensieri errabondi che trovano un canale di sfogo dopo giornate spese male, dopo l’eterna lotta tra bene e male, dopo l’insaziabile ira per una luce migliore.

I Majakovich sono tornati e lasciano il segno, lo fanno con testi spiazzanti coperti dal fragore delle chitarre elettriche e da quell’insaziabile bisogno di comunicare, di lasciare una traccia indissolubile nell’eco poetica che ci rappresenta, parole tormentate che si spiegano e vanno oltre, parole di rimando e testi che, in modo dirompente, lasciano presagire futuri memorabili per la scena indie rock italiana.

Paragonarli ai FASK sarebbe troppo semplice, i nostri cercano di trovare una propria via di approdo, un’illusione che svanisce, alla ricerca di un sentiero tangibile, partendo dalle origini ed estrapolando una carica dirompente capace di immagazzinare una forza che in chiave live si fa veicolo per raccontare e raccontarsi.

Da Elefante fino a Salvati il viaggio è una spirale, ricco di attese e sacrifici, la testa tra le nuvole, ma con i piedi sempre per terra, quelle parole poi che arrivano diritte al cuore e non ti lasciano più, questi sono i Majakovich e questo è il loro Elefante.

 

Majakovich – Il primo disco era meglio (To lose la track)

Majakovich: “il primo disco era meglio”

Questo è il futuro della musica italiana.

Dopo l’ascolto del loro nuovo disco, prodotto da Tommaso Colliva, i Majakovich ci ribadiscono che la loro musica non ha nulla di scontato anzi il tutto ricalca alla perfezione un’idea, quel concetto di fare dell’ottimo sound in un periodo spesso alla deriva, ma ogni tanto anche capace di stupirti con perle di rara provenienza ed aspetto che ti entrano come vetri in frantumi nella pelle mutevole, costringendoti a trovare quella fiamma sempre accesa che risiede dentro di te.

Un rock emozionale contornato da muri granitici di chitarra che si contappongono in modo efficace ad una sezione ritmica che non ha nulla da invidiare a band di maggiore caratura.

Il tutto suona legato ad una cascata imperiosa di fronte ad un palazzo di cristallo dove la luce si fonde con la limpida acqua formando un arcobaleno di colori irrimediabilmente maestoso e solenne, quasi a trovarci al cospetto di una nuova meraviglia.

Ci sono echi di Ministri, Afterhours, Marlene Kuntz, ma anche Zen Circus e il suono via via acquista più incisività in pezzi che si contorcono dopo la sognante Ufo lasciando spazio a vibrazioni sonore che difficilmente ti fanno pensare che ora in Italia ci sia qualcosa di così maledettamente valido.

Un disco da tenere in qualunque angolo della casa: potrebbe essere una nuova colonna sonora per i nostri giorni, fino alla prossima prodezza, fino al prossimo respiro.