Quarter Past One – The Ballad of Reading Gaol (Autoproduzione)

Ballata dal carcere di Reading parafrasando Oscar Wilde e componendo un concept ispirato allo scrittore tanto caro alla band e alle generazioni che fanno dell’estetismo romantico una complessa via per resistere agli urti della società.

Un disco di indie pop che mancava, qui da noi, accomunato da melodie semplici quanto geniali e capacità esperessiva e buon gusto che di certo ai Quarter Past One non può mancare.

Bellissimi gli intrecci di chitarra che suonano suadenti richiamando un brit pop d’annata che compie un’evoluzione intorno al globo cercando quell’attimo divino e perfetto che ci porta a scoprire nuove prospettive, che ci porta fuori dalle sbarre, spiccando un volo da pettirosso, dimenticando per un attimo lo stato angoscioso e le pareti oscure della prigione in cui viviamo.

Un album composto e composito, immagini che non si dimenticano tanto facilmente, un vissuto che crogiola resistenza verso l’ingiustizia e l’ignoranza.

Le canzoni parlano da sole e spicca su tutte il singolo Oh Moaning Wind portavoce di quella ricercatezza che non ha mai fine.

Una manciata di carte, fogli bianchi su cui scrivere, lettere indirizzate a tutti noi che non siamo niente senza un domani.

 

IBreviDiverbi – IBreviDiverbi (VREC)

Prendi un tavolino, un divano, una bibita rinfrescante, leggermente gassata e prendi anche una giornata di sole, dove i fili d’erba si trasformano in corde per la tua chitarra, in corde acustiche che si lasciano andare veso nuovi orizzonti, verso nuovi lidi.

IBreviDiverbi si concedono molto, regalando altrettanto, sono solo in due, due chitarre che incastonano perle preziose di quel cantautorato sbarazzino che ricorda molto la scena italiana degli anni ’60/’70 quando bastava uno strumento e la propria voce per fare la storia della musica.

Accomunati dal gusto e dal piacere di ascoltare Battisti leggermente più swingato e riportato ai canoni estetici moderni i nostri confezionano 10 canzoni che sanno di freschezza, di limpidità e di quella capacità sonora di perdersi dentro ad un accordo, dentro ad una cena tra amici in cui l’animazione post serata si concede ad uno strimpello sopraffino di vivide immagini e poesie.

Ecco allora che nasce questo raffinato cantutorato, nasce davanti ad un tavolino, a qualche sedia e ad un divano, quel divano in cui ci siamo fermati spesso tutti noi ad ascoltare, spingendo la notte sempre un po più in là.

Nothence – Public static void (Autoproduzione)

Raggelante bellezza si inerpica in questo album anomalo che mescola il grunge con melodie più vissute e combattute facendo virare il tutto ad una situazione di perdizione totale e di caos sonoro che si fa immedesimazione completa con l’ascoltatore in pezzi apripista leggiadri e xilofonati, passando per quadri distorti che ricordano Alice in Chains fra tutti e poderose cavalcate sonore che pian piano si aprono a qualcosa di più possente e cadenzato.

Si gioca con i numeri e si ambisce a farlo tentando di essere in qualche modo quel bambino intrappolato negli anni ’90 che non riesce ad uscire dal suo mondo innocente e dalla sua spensierata giovinezza.

Si tendono i fili dell’elettricità in queste 11 canzoni, dal sapore dolceamaro, legate al filone di quella camicia a scacchi che ha fatto la storia di chi ha vissuto in quel periodo.

I Nothence per l’appunto incarnano bene quello  stato e quel vissuto, tanto che si fa vivo, tralasciando la strumentale d’apertura, partendo da Chasms e finendo con Fugue in un rapido e odoroso splendore.

Un disco perdifiato che ti entra come Delorean per farti riscoprire un qualcosa, che con le lacrime agli occhi, non deve essere dimenticato.

Fankaz – Burning leaves of empty fawns (OverDubRecordings)

La velocità fa bene, la velocità è pura delizia per un corpo che non riesce a controllarsi tante sono le incursioni sonore che si respirano e tante altre sono quelle che ancora non conosci e vorresti condividere in un mondo diverso da questo, più naturale dove l’armonia si coniuga in modo perfetto al fragoroso incedere di nuvole elettriche che non smettono di tuonare.

Fankaz è un po’ la medicina per i mali di stagione, ispirati da gruppi come Action Men, NoUseForAName e Sun Eats Hours, non però i convertiti sulla via di Damasco The Sun, ma i primi più sfuggevoli e vissuti, i nostri si concedono il privilegio di spaziare dal melodico e più classico hardcore fino a toccare attimi di brutal death tra sezioni ritmiche da cardioplama dove i fusti della batteria sono pronti ad incediarsi in un solo alto fuoco che si comprime al pensiero che tutto possa svanire da un momento all’altro.

Attimi di luce quindi in una foresta in cui la luce ci sfiora appena lasciando solo quel piccolo spiraglio per respirare e rendere tutto omogeneo in una continua disillusione.

14 tracce con echi di cori in lontananza, che in modo massiccio si fanno sentire e si fanno ascoltare; quella caparbietà che solo il pensiero più lontano può rendere vicino, quella grinta che poche band accomuna e che i Fankaz sanno sfruttare appieno nel semideserto di ogni giorno.

Un disco sicuramente da esportare che sarà presente anche nel mercato internazionale e che vedrà i nostri portabandiera di un’italianità svanita in molti campi, ma nello stesso tempo sarà anche portavoce di qulacosa di più grande.

 

Red Shelter – Nothing more…Nothing Less (OverDubRecordings)

Musica sbarazzina, pimpante, con quel tocco di brio che mai guasta alle produzioni nostrane che in questo caso si affacciano prepotentemente sul canale della manica per far valere le proprie capacità ed intascando ad ogni ascolto sogni di gloria e speranza.

La band nasce nel 2010 e dopo un periodo di classiche cover band si interroga sul da farsi e soprattutto sulla voglia di creare qualcosa assieme che vada ben oltre l’intrattenimento da stuzzichini facili.

Ecco allora che nasce Nothing more…nothing less: 10 tracce che ti fanno alzare lo sguardo al cielo e in modo spensierato ti concedono attimi di luce solare nella piovosa Primavera che ci appartiene.

Nonostante una cupa copertina, l’idea dominante si trova in quella lampadina che ricopre traiettorie che non sono sempre uguali, ma che si contendono la via giusta da seguire.

Questa strada, i nostri, la conoscono egregiamente e con pezzi degni del loro nome dall’inizio di Alone passando per Just a game e nel finale di Floating in my mind il suono si concentra in attimi di pura energia che si divincola dal già sentito per prendere una nuova e personale via.

Un disco pieno e vivo, ricco di quella vitalità che non ha nulla da invidiare a produzioni ben più costose ed internazionali. Complimenti.

Sinezamia – Senza fiato (Atomic Stuff)

Due canzoni niente di più e niente di meno, un concentrato di musica che si estingue dolcemente lungo il singolo che esplode in catene contigue e a tratti laceranti dal sapore di piombo corroso, dagli attimi di introspezione che si rendono complici di una libertà che deve essere conquistata.

Un hard dai contenuti black e metal, con influenze Tooliane in primis passando a Black Sabbath degli esordi, dalle chitarre stagliate ai continui sali e scendi vocali che regalano implosioni sonore senza fine.

Senza fiato si ascolta trattenendo il respiro tanto il piccolo singolo racchiude quella capacità, in meno di dieci minuti, di controllare e arricchire la proposta che nonostante la minima quantità di tracce si rende naturale percorso di una band che sta riscuotendo buoni successi ed è in continua ascesa!

2 brani gridati con la caparbietà di chi non ha nulla da perdere davanti al destino, un’onda che ti travolge e passa sopra ad ogni cosa tramutando il superfluo in cenere e salvando ciò che serve veramente in attesa di un nuovo domani.

Gli Altri/Uragano – Split Album (DgRecords, Taxi Driver Records, etichette varie)

Com’era bello quando due gruppi si dividevano il disco tra lato A e lato B, si prendevano i sogni incorporati fino a quel tempo per creare qualcosa che insieme valeva in primis l’acquisto del sopra citato e poi valeva per creare collaborazioni, amicizie, legami che si esprimevano nella vita di tutti i giorni.

La scena Ligure in tutto questo risulta  capofila in Italia, anche perchè gli addetti ai lavori sanno cosa vuol dire unire le forze per restare coesi e lottare contro l’oppressione crescente di major e affini.

I gruppi in questione non hanno bisogno di presentazioni: i primi di Savona i secondi di Imperia fanno dell’hardcore la loro matrice e macchina respiratoria, fanno della sostanza una ragione di vita che nel corso degli anni ha portato alla ricerca claustrofobica di attimi incanalati in vero sudore che ne fa l’essenza del disco stesso.

Gli altri più meditativi, compensati e carichi mentre gli Uragano portatori di un qualcosa che ad un primo ascolto risulta più immediato e rigettato al suolo come corpo che stenta a rialzarsi.

Ci sarebbero pagine e parole da spendere per questa trovata che può ancora valere ai giorni nostri, anche se il punto di forza di tutto ciò sta nell’esprimere al meglio un disagio che si fa continuo cambiamento, un essere persona – strumento in grado di contornare l’indefinito di pillole e magie, un’illusione che dura per pochi istanti, un’illusione che ci fa stare bene.

Eidem – Friends are evil (Caino Records)

Dirompenti cavalcate sonore che ti entrano nelle orecchie come del buon vino che scalda la gola e si lascia trasportare dai flutti della corrosione lenta, ma efficace, quasi dilatata a comprendere l’incomprensibile, tanto il rumore si accosta e si associa alla melodia post shoegaze, post rock e post new wave, concedendo attimi di follia esistenziale tra le barricate di botti intrise di essenza pura.

Solo quattro pezzi che circondano il mistero, quattro pezzi che si lasciano ascoltare in velocità supersonica proponendo dirompenti misure contro il piattume del quotidiano vivere musicale, accostando chitarre in sovrapposizione e strumentazioni di forte impatto con scelta preponderante di sottofondi elettrici calibrati.

Un continuo incedere verso l’oscurità, urlando il proprio dolore, urlando la fatica nel dissolversi delle ombre che sono dentro di noi e Stefano, Fabio e Walter conoscono a memoria le nostre paure e quasi con un gesto magico impercettibile, riescono a concretizzarle per poi farle svanire in un lento, lungo sogno.

Od Fulmine – Od Fulmine (GreenFogRecords)

Qui c’è il cantautorato, ma anche il migliore rock  di fine anni ’90 che si inerpica e prende una piega inaspettata fondendo in qualche modo il disagio adolescenziale con il vissuto di un uomo che ha raggiunto la piena maturità.

Nel disco degli Od Fulmine colpisce il piglio di improvvisazione sonora, colpisce l’amalgamarsi perfetto di voci e cori che fanno da spoiler a continue corone in un mondo legato alla sopravvivenza, in un mondo italiano che deve essere cambiato e che regala attimi di luce quando dovrebbe splendere di luce propria.

Gli Od Fulmine non sono gli ultimi arrivati e si sente, a far parte di questa formazione troviamo membri di Numero 6, Esmen e Meganoidi, che incanalano idee per questo progetto anomalo di musica italiana che può facilmente entrare in qualsiasi classifica di musica fatta bene.

L’eterogeneità della proposta si trova nel mix di rock suonato alternato a ballate meravigliose come la splendida 5 cose o ingerendo parti di ricambio e testi visonari nella folle I preti dormono passando per le sostenute Da quel giorno e nel finale con la Fine dei desideri.

Un disco che rievoca immagini in susseguirsi stop motion con la classe di chi sa e vuole far emozionare, tendendo quel filo sottile che lega il cantautorato ad un genere come l’indie che sembra lontano, ma che ne condivide appieno le finalità e cioè quelle di voler comunicare qualcosa di importante, vero e reale.

Psychopathic Romantics – Psychopathic Romantics (Autoproduzione)

Canzoni che ti entrano dentro  e non fuggono più, canzoni che non si fanno sfuggire, anzi ricompongono quegli attimi vissuti, pieni, disinvolti e senza pensieri, quegli attimi che ti ricordi per sempre e che a fatica riesci a sostituire con qualcosa di migliore con qualcosa di più tangibile.

I Psychopathic romantics si concedono il lusso di regalarci 7 tracce che compongono il loro nuovo ep caratterizzato da incroci sonori con Coldplay e Snow Patrol su tutti ammiccando a quella formula westeriana tanto cara al Morricone nazionale e facendo di questo omonimo un piccolo gioiello lasciato  fluttuare nelle onde del tempo.

Sono canzoni vere, sincere, che lasciano un senso di leggero smarrimento e perdizione riportando però facilmente il tutto ad una calma felice e meditativa, ad una pace dei sensi che sa di corallo nel fondale del mare.

It’s all for you scarnifica e rimanda all’essenza fino a Thank you, un ringraziamento per la vita passata assieme, per i momenti regalati e quelli ancora da dare, quasi fosse la colonna sonora della vita di ognuno di noi.