Minimal Whale – Minimal Whale (Marsiglia Records)

L’evoluzione del grunge ce la consegnano i Minimal Whale, caratterizzati da una forte capacità espressiva da locale assetato e da sguardi inattesi e rubati.

L’evoluzione del rock quindi la troviamo in queste sei tracce, accomunate da sonorità tardo novanta con all’interno quella caratteristica inusuale di creare un connubio tra chitarre distorte e strumenti come sax e pianoforti.

Laydown ne è l’esempio più lampante, metrica perfetta per imbastire una meraviglia sonora da colonna portante per i nostri giorni.

Questa è una musica che va ben oltre le capacità di governare il tempo e il fattore emozionale come quello di improvvisazione è legato da un filo sottile che ci regala attimi di puro delirio in bridge quasi sconnessi, ma efficaci.

Oscuri e criptici, ricordano per certi versi il fortunato esordio dei Vanity, ma con un piglio di disincanto maggiore, capaci di inondare energia innaturale nel palco della vita.

Un gran bel disco, compatto e granitico, portatore, nella tradizione, di innovazione.

Athene Noctua – Others (Dreaming Gorilla Records)

Rock strumentale, stellare, claustrofobico: un viaggio verso un pianeta sconosciuto, pronto ed eterno quasi ad indicare la formula magica per non avvicinarsi al suolo.

Tribale suono che ti ammalia e ti trasporta, fatto di amore per l’improvvisazione e le distorsioni sonore, un concentrato di polvere da sparo che è lì pronta per scoppiare e ad ammaliare, ricoprendo il tutto di luce e di candore, di eternità racchiusa, di bellezza che accorpa masse indistinte di vita.

Un album matematico, da palco, sconfinata opera per territori lontani che si incanalano nel post rock e nello stoner con compressioni e divagazioni mentali per un viaggio senza ritorno.

Interferenze quindi galattiche, che sono pronte ad esplorare e a chiedersi il perché in una continua ricerca di sensazioni sonore sempre nuove.

Gli Athena Noctua sono Andrea Baio, Tommaso Fia, Cristiano Rossi e Simone Rossi e questo è il loro secondo prodigioso album.

I Goldoni – Un diversivo (Autoproduzione)

Questi tre sono dei fusi completi.

Rock and roll contaminato da testi istrionici e goliardici, ricchi di spunti di riflessione che abbracciano il folk e la musica d’autore.

Ascoltare i Goldoni è avere l’estate garantita tutto l’anno, tra umorismo e scelleratezza che da un sacco di tempo non si sentiva in un disco.

Un diversivo nasce quindi come riempimento, ma anche come esigenza di comunicare in una società che non ci da questa possibilità, pensiamo a canzoni come due punto zero, inno che parla della morte della musica e della parola in un costrutto di facile appeal dove piccoli inframezzi parlati fanno da apri pista per esilaranti pezzi ballabili.

Tra tutto questo però c’è anche la riflessione, il voler essere quello che si è, senza pretese, ricercando quella felicità che non si trova nei film o nelle pagine di un libro.

Un plauso dunque a questi laziali, per aver dato vigore ad un genere, prendendosi i propri spazi e la capacità di osare, caratteristiche essenziali per un ottimo diversivo.

Cadori – Cadori (Autoproduzione)

Finalmente un ragazzo che va oltre il cantautorato penoso e ripetitivo che rispecchia l’attualità dei premi Tenco, povero Tenco, e derivati.

Cadori regala emozioni e sembra quasi di ascoltare, per scelta di stile e arrangiamenti, quel Bon Iver a metà tra il For Emma e il successivo omonimo.

Arrangiamenti essenziali, solidi, che si intensificano con il passare delle canzoni.

Istantanee racchiuse da colori velati, seppia, una chitarra acustica che fa il suo dovere e un’elettronica non gridata, non disturbante, ma che ti abbraccia come un caldo manto invernale di lana, tra l’umidità dei vetri di un’auto che aspetta la nascita di un nuovo amore.

Pezzi come Countri 1 o la meditativa Fuori cadono fulmini sono sufficienti per riassumere un pensiero, una ragione per cui credere che tutto quello che ci sta attorno vale la pena di essere vissuto.

Notevole il cambio di stile in La brutta musica, una techno dal richiamo lontano che fa calar le luci in Tempeste di sole e chiudere il cerchio con Le cose.

Album riuscito, pieno di immagini di un crepuscolo lontano, che guarda al nuovo giorno con l’introspezione di chi solo sa regalare poesie che rimangono nella nostra mente.

Ottodix – Chimera (Discipline Records)

Alessandro Zannier in arte Ottodix, trevigiano, al quinto disco intensifica le sue capacità di artista poliedrico tra musica, arti visive e letteratura.

Per l’occasione il progetto Chimera uscirà sotto forma di disco, ma anche di mostra itinerante e di cortometraggio.

Un album elettronico che abbraccia la post new wave, la canzone d’autore moderna e del passato.

Disco pieno di citazioni e complesso, stratificato, in cui la chiave di lettura è da svelarsi nella composita mescolanza di luci e ombre che caratterizzano la nostra vita, la nostra esistenza.

Un album epico, dove una voce che ti entra dentro con disinvoltura si destruttura attraverso basi elettroniche espressive.

De Chirico si incrocia a Magritte e il risultato è un tunnel a cinque dimensioni dove perdersi è la sola via di fuga per la partenza di un nuovo viaggio verso infiniti spazi siderali.

Coadiuvato dai sempre presenti Mauro Dix Franceschini e Antonio Massari, il nostro per l’ennesima prova da studio, si concede in pompa magna, facendosi aiutare da orchestre di strumenti a fiato e dagli archi, con l’intenzionalità di creare un The Wall del nuovo millennio.

Sembra quasi di ascoltare nuovamente i La Crus, rinati e per l’occasione rinvigoriti, in un approccio moderno, attuale, suburbano e incendiario.

Audacia tanta quindi e capacità di non demordere, osando e superando il comune pensare, in un’ottica di ricerca e profondità che è rara da trovarsi nel panorama della musica italiana.

Claudia Cestoni – La casa di Claudia (The sounds of violins)

Entrare in punta di piedi all’interno di un labirinto suadente, fatto di immagini e capacità espressive che richiamano atmosfere fiabesche impadronendosi del nostro essere, delle nostre capacità, una comunione col tutto in un abbraccio infinito.

Il disco d’esordio di Claudia Cestoni è calibrato, perfezionista, racchiuso tra mura domestiche, ma che ricopre finalmente, a mio avviso, tutta l’esigenza di creare un nuovo cantautorato al femminile.

Si incrociano Consoli, Turci, Rei; quella musica dalle caratteristiche alternative che regalano emozioni da far ascoltare in un inverno che deve ancora arrivare.

Prodotto dal violinista Adrea De Cesare (tra gli altri Fabi, Nava, Negramaro), il disco ha un sapore internazionale, movimentato e introspettivo quanto basta per gridare, dico io finalmente, al miracolo.

Un disco sulla casa, sulla cura di essa, un disco sull’amore, su chi parte e chi torna, . persone in movimento che si guardano senza toccarsi, sussurri vitali in città claustrofobiche: questa è Claudia e questa è la sua casa.