La fine di settembre – La fine di settembre (Dreaming Gorilla Records)

La fine di Settembre è una band che ha tutte le carte in regola per fare della musica una passione che va ben oltre l’etimologia del termine, configurandosi tra le migliori proposte che la scena indie italiana di genere può donare in questo periodo.

I testi sono in italiano e questo è un punto che gioca a favore di questi ragazzi che imprigionano energia viscerale ad ogni singola nota, ad ogni singolo accordo.

Le influenze ci sono e si sentono, affondando le radici nel grunge dei primi ’90, anche se i nostri sono capaci di intersezioni lunari e capacità che non sono di tutti di far propria una corrente per scardinarla e cercare una via più personale da seguire.

I nostri in questo se la cavano molto bene e riescono a regalare lungo le 5 tracce un viaggio di sola andata verso sonorità distorte quanto basta per far tremare la terra dove siamo appoggiati.

Si discostano da questo insieme pezzi come Polvere e Inafferrabile, in cui il gridato diventa più più pulito, regalando matrici di sogni adolescenziali da far uscire dal cassetto per trasformare ciò che può essere melodia in qualcosa di più personale e concreto.

Auspichiamo che questo loro sogno si trasformi in un full-length, lontano da categorizzazioni di genere e con un occhio che guarda verso il futuro.

Daniele Sanfilippo – LEM (Suoneria mediterranea)

Immersi in acque profonde e spazi siderali ci apprestiamo ad ascoltare un’opera.

Completa per scelte di stile e capacità espressiva, questa è il racconto di un astronauta che si prepara ad ingabbiare gli ultimi attimi di luce per ricondurli in posti lontani, legati al ricordo e ai sogni infranti dalla realtà.

Il buio ci accarezza in questa prova strumentale e Daniele Sanfilippo la fa ricca di spunti da colonna sonora e mare quieto che sprigiona un incedere elettronico ambient e rilassamenti interstellari.

Le onde che piano piano ci travolgano sono fatte di piccoli interventi sonori quasi a racchiudere al proprio interno un desiderio di rinascita e speranza che man mano è intercalato da strumenti acustici a coronare il tutto con archi e caldi sottofondi.

Ecco allora che si ascoltano con un certo interesse brani come “Mission” o la parlata “Light in the sky”, struggente poi la ballata per pianoforte “Astronaut” per arrivare all’apice del disco con la title track “Lem”.

Ricordando Gatto Ciliegia nel loro fortunato #2 Daniele ci regala una prova matura e sicura, ricca di riferimenti con il mondo che ci circonda e soprattutto con le emozioni che l’uomo può provare, dal senso di solitudine e abbandono, al reale ritorno e la conciliazione.

In acque profonde e spazi siderali ci apprestiamo sulla via di casa, per essere, materia diversa e mutevole.

Alcova – Il sole nudo (Rossocorvo)

Ascoltare gli Alcova è fare un tuffo nel passato dove la new wave si fondeva in modo inesorabile con testi di matrice impegnata che raccontava di quotidianità, attualità; quel quotidiano che sembra così lontano e in punto di morte da quanto ne viene abusato nel suo silenzio.

Ecco allora che finalmente una band si schiera in modo palese, la critica c’è in ogni singola strofa, in ogni singola parola e il cuore pulsante e in divenire è fiamma sempre accesa che brucia le vecchie idee lasciando il posto ad un mucchio di macerie da cui rinascere di nuovo.

Questo non è un disco per tutti, è un disco impegnato e purtroppo in Italia le persone non sono impegnate.

Si lasciano andare alle chiacchere da aperitivo dimenticando ciò che li circonda, quell’intricata trama di fili che sorregge il mondo e ci fa vivere quotidianamente.

Ecco allora che i nostri Alcova si fanno portavoce di questo malessere, delle volte cantato, delle volte gridato altre parlato e ancora sussurrato; racchiudendo speranze in 9 tracce, racchiudendo un fiume in piena che non smette di scorrere.

Come non dimenticare le parole di Damasco o di Cannibali, passando per l’esemplare Il sole nudo o la decisione in Risvegli.

Un disco ricco di pathos e fibrillazione che dopo il primo ascolto ci lascia scossi, scossi dalla scintilla del voler uscire e fare qualcosa per cambiare modo di pensare, forse tutti ne avremmo da guadagnarci.

Angela Kinczly – La visita (Qui base luna)

Profumo di rose e di prati che colgono ogni raggio di luce per assecondare il ricordo alla ragione quasi in un’estasi mistica da cui uscirne illesi, privi di qualsiasi potenzialità, privi di quella ingenuinità che prima ci caratterizzava e ora resta solo polvere nei nostri occhi.

Magia adolescenziale e savoir faire da adulta per il disco di Angela Kinczly “La visita”, uno spaccato di emozioni che si concentrano su di un cielo ricco di avvenire e sogni da poter inseguire ancora per una volta come fosserro soffi di rugiada nel mattino che discende come coperta a racchiudere i corpi di due amanti persi nel sonno profondo.

11 tracce di un pop non gridato, non richiesto, non urlato; ma un pop che si colora di pastelli che mescolati ad acquarelli ci regalano un disco che miscela il meglio di tutto ciò che la scena italiana offre.

Bellissimi pezzi come “Lucciole” o la graffiante in sperimetalismi compiuti “Mercoledì no movie” ti trasportano in mondi lontanissimi.

“Orologi liquidi” è un omaggio a Dalì mentre il tutto si fa deserto nella strumentale “Nick and Joni” accompagnata da “Un giorno di settembre” ricordando Micah P Hinson su tutti.

“Volerò” invece si staglia come traccia sonora di incredibile grazia.

Un album perennemente in divenire che alterna momenti vibranti ad attimi di introspezione sonore.

Non possiamo far altro che sederci e lasciarci trasportare da quel profumo di rosa e dalla luce che avanza aspettando un nuovo passo, aldilà, verso il cielo.

LaTarma – Antitarma (Qui base luna)

Marta Ascari in arte LaTarma esordisce con un full length ricco di sperimentazioni pop in bilico tra l’indie e il mainstream, cercando di produrre un suono del tutto personale e fuori da qualsiasi tipo di schema prestabilito, ricomponendo il tutto ad ambizione profonda che si fa carne viva, naturale, in completo cambiamento.

E’ un disco si che suona pop, ma che riesce a catturare l’attenzione per sonorità affini ad un mondo poco convenzionale, ricco di sfumtaure che si librano soprattutto in un cantato moderno, ricercato e ricco di senso e condivisione.

Entrare nel mondo di Marta non è difficile anzi, lei mette a disposizione tutto quello di cui abbiamo bisogno per sperimentare e sperimentarci.

Un musica che si fa viva e raggiante racchiusa in brevi momenti di intimità che si fanno portavoce di un esistenzialismo moderno e di controcultura letteraria.

I testi sono in bilico tra il non sense e l’ossimoro esibito che prende forma all’interno di un contesto che racchiude perle da custodire e conservare, quasi fosse un regalo prezioso da far vedere solo a chi veramente conta.

Latarma sa il fatto suo e colpisce nel segno con pezzi come il singolo “Icastica” o l’energia in “fiori neri” passando per la tiepida “Istanbul”; fanno capolino poi nel finale la malinconica “Mongolfiera” e la sperimentale “La bellezza delle cose”.

Un disco per ogni stagione, che racconta il disincanto e la passione, un album che fa sperare tra la poesia e la magia: il mondo raccontato da Marta è un mondo dove poter vivere.

L’inverno della civetta – L’inverno della civetta (Taxi driver records)

L’inverno della civetta è un progetto che racchiude al proprio interno membri della scena indie genovese, un disco che in qualche modo rappresenta speranza.

Speranza intanto nel concepire un disco ricco di pathos, energia e momenti più catartici dove si sente la necessità di riassemblare un contesto che in qualche modo, molte volte risulta disunito e incontrollabile.

Speranza poi perchè in questo caso un gruppone di ragazzi si sono uniti per creare un qualcosa di magico, partendo da una stagione, l’inverno che porta con se gli amori disillusi, il freddo pungente e la luce sempre più fioca, quasi fosse un sogno che non riesce a realizzarsi, una continua astrazione da ciò che ci circonda.

Genova, il porto, le barche e il molo, Genova elegante, Genova che rincorre i cunicoli di una città che si perde tra le mura del tempo.

Quel tempo che si assottiglia e si dilata lungo questi 10 brani, che contrappongono il cantato in inglese all’italiano, commistionando generi e radici, substrato culturale ed eleganza mai urlata.

10 canzoni che vi lascio pian piano scoprire, il tutto suona come un viaggio, a volte quieto, altre movimentato, da lasciarci il cuore per tutta la bellezza vista e vissuta, quasi fosse un’istantanea da custodire nel quaderno delle cose vere, quelle che contano, quelle di colore giallo oro, ma dal gusto di fragola.