Lo Sburla – I Masochisti (Libellula Label) ANTEPRIMA Uscita 10 Settembre 2013

 

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Lo sburla è irriverente cantautore, acido e magnetico che ti inchioda sapientemente e con stile tutto personale alterna momenti di introspezione a rabbia giovanile che esplode in un solo istante come bomba a orologeria.

Roberto Sburlati vive a Torino e già bassista e chitarrista dei Madam di Marco Notari, decide di confezionare un disco dal sapore un po’ retrò, da sala videogiochi anni 80, dove i motivetti di tastiere accennate sono portanti per un genere sintetizzato e riflessivo, quasi a raccontare immagini enigmatiche dove storie di tutti i giorni si intrecciano con i pensieri dell’autore.

Ecco allora che alle chitarre accennate si sovrappongono batterie elettroniche e piani leggeri che contornano un vissuto di parole pesanti che bruciano qualsiasi speranza di cambiamento.

Il suono a tratti ricorda l’esordio di Michele Maraglino mentre la poetica è figlia dei cantautori post 2010.

Canzoni sicuramente riuscite sono “Regionale At-To” un pezzo sulla disillusione del viaggiare per raccontare, ma solo se si riesce ad arrivare…mentre brano dalle tinte marcatamente provocatorie è “Moderno”: “Io sono figlio di nessuno e per fortuna ancora padre di nessuno…lei è intellettuale legge e si droga…”

A finire Offlaga sound nei “I Masochisti?”.

Sburlati parla al popolo con parole semplici e dirette, concetti affascinanti rivisitati con stile e egregiamente suonati.

Un album che ha il piacere di condensare frasi e vita, amore e solitudine, una solitudine che resta, anche senza frasi vuote nella testa.

Mimmo Parisi – Quando non sei Totti o Ligabue (Autoproduzione)

mimmo-parisi-artista-musica-download-streaming-quando-non-6-totti-o-ligabueMimmo Parisi nel suo primo album “Quando non sei Totti o Ligabue” confeziona una prova di stile rock classicheggiante condita da numerose sferzate di improvvisi cambi nell’approccio e nella musicalità.

Il cantautore Bolognese per stile e simpatia si avvicina a sonorità legate al rock d’annata vedi alle voci Scorpions, Brian Adams, acuti sopraffini strizzano l’occhio agli italiani Nomadi, mentre l’incedere del basso e della batteria ricorda a tratti la new wave anni 80 di Gang of Four e Joy Division.

I testi sono un concentrato di temi quotidiani conditi da un linguaggio a tratti diretto e immediato alla Vasco Rossi, a tratti invece più meditativo e pensato in cui le parole risultano scrigni criptici da aprire e gustare a poco a poco.

Un cantautore quindi schietto che fa della sua immediatezza un trampolino di lancio per arrivare con facilità anche al pubblico più lontano.

Uno stile e una voce poi che riuniti regalano viaggi di sola andata verso anni passati; una DeLorean del futuro proiettata nel tempo.

Antonio Manco – Ok…il momento è giusto (Autoproduzione)

Antonio Manco confeziona un album di antoniomancopura e reale matrice rock, con ammiccamenti post ’70 e un approccio al brit-pop con sguardo vicino alla canzone d’autore sussurrata nei pensieri e percepibile lungo quel filone dove energia e poesia vanno a siglare 8 pezzi da cuore aperto e ritorno alle origini.

Il giovane cantante partenopeo è accompagnato dall’inseparabile band dei “Briganti”, esplosioni sonore di raro pregio, che trovata la fusione giusta di genere, dopo svariate formazioni, registra “Ok … il momento è giusto”.

L’album è l’incontro tra il vivere quotidiano e i pensieri ridondanti di un giovane alle prese con i problemi di una cieca società.

Il filone dantesco del viaggio corre lungo il filo del rasoio e Antonio si identifica in un continuo sali scendi senza vie di fughe, il linguaggio delle volte si presenta diretto a tal punto da sembrare sangue che, lì pieno di rabbia, non riesce ad uscire, non riesce a contribuire alla nascita di qualcosa di importante per un cambiamento futuro.

Le sonorità sono principalmente di puro stampo rock, da chitarra alzata e riff sempre pronto; i temi trattati invece rispecchiano un animo inquieto e turbato in tutte le tracce del disco.

Ottima prova direi per un ragazzo di soli 24 anni, un prova che ha il gusto del nuovo, nonostante il saturo genere; ad Antonio il pregio di essere riuscito a riversare in poco più di trenta minuti, rabbia e malinconia, speranza e fiducia, per un cambiamento che deve partire solo ed esclusivamente da noi.

Cani della biscia – Fai come faresti (Autoproduzione)

I cani della biscia firmano un album completamente folk che punta l’occhio alla canzone d’autore italiana.

Un elogio alla tcani della bisciaerra e alle balere estive dove il ritmo e il bel canto in “Fai come faresti” esaltano il sapore tenero dei germogli che crescono tra la terra e con sguardo diritto al futuro e le rughe della storia portate sulle spalle con piglio deciso e pronto, si alza verso un tipico mondo agreste calpestato negli anni e ricucito verso nuove sonorità e preziosismi orecchiabili.

I 6 piacentini si divertono giocando con le parole e i doppi sensi esplicitamente conditi da parole paesane e incroci dialettali con i “Musica per bambini” in “Piròn al vendicatuur” o tendendo ad un cantato Eliottiano in pezzi come l’apripista “Malinconia” o il “Mal dell barbisa”.

Il tutto assomiglia ad un grande calderone in cui prendere ciò che di meglio il folk e il pop uniti, hanno potuto fare assieme, con l’intenzione di creare, rimanendo pure nell’ambito easy-listening, un prodotto di qualità e di intrattenimento fresco e mai banale.

Una prova bella e solare che trova punti di meraviglia in pezzi genuini come “Mal d’Africa” e ”8 Marzo” senza tralasciare la chiusura con “Rosso di sera”.

Un plauso dunque a questi ragazzi che hanno scelto la loro strada, tra le molteplici di tutti i giorni, con semplicità e allegria, con audacia e forza per andare avanti, con lo sguardo di un uomo che guarda verso qualcosa, là, oltre le montagne.

 

Poptones – “Bright sunrise” (Miacamerettarecords)

Un disco ruvido, sporco, abrasivo che noncurante della sonorità perfetta si aggrega al lungo incedere del punk d’oltreoceano portando qui in penisola sapori surf contaminati dal punk a cuore aperto.

Poptones è sinonimo, Poptones_1372024715se non del tutto, di “Miacamerettarecords” etichetta che bada alla sostanza e alle viscere, più di qualsiasi altra in circolazione.

A formare questo trio insolito sono Filippo al basso e alla voce, Simone alla chitarra ed Ettore alla batteria che con la loro miscela esplosiva regalano una solarità di protesta, un richiamo al politicamente scorretto di tendenza che si ritaglia il suo spazio nella marginalità di genere.

Un disco maturo sotto molti punti di vista, da ascoltare “When they close my mind” o la più elaborata “Rusty car”, passando nel finale per atmosfere new wave in “You like the center”.

Nella musica dei “Poptones” e soprattutto in questo “Bright sunrise” ci sono molti riferimenti a Sonic Youth, Marlene Kuntz, Verdena, Meat Puppets, passando per il garage rock alla ATDI.

Considerando i precedenti questo è sicuramente un disco più appassionato e completo, aggressivo, ma anche più suonato, con la sicurezza di sempre, che i nostri anche questa volta hanno fatto centro.

Jonny Blitz – Musica per chi l’ ascolta la prima volta (Autoprodotto)

A metà strada tra Perturbazione e Amycanbe con piglio scanzonato e irriverente, voce impostata ed elegante i Jonny Blitz ci regalano un album per la bella stagionejonny blitz.

Il suono è decisamente pop con virate surf e rock and roll che ammiccano con stile alle canzoni da balera anni ’60.

L’orecchiabilità è segno distintivo dei 4 giovani che con questo esordio: “Musica per chi l’ascolta la prima volta” sanciscono definitivamente un ritorno alla tradizione d’autore ironizzando su proprio ciò che è tradizionale e oramai quasi scontato e banalizzato.

Le canzoni entrano facilmente tra i ricordi anche solo dopo un paio di ascolti e questo sicuramente va a favore dei romani che sorridendo sornioni al loro miracolo si distendono al sole ascoltando il loro disco.

I Jonny Blitz hanno stoffa e tanta, da riempire un teatro di drappi e tendaggi; il loro bagaglio di variazioni e inusuali capacità si differenzia nettamente rispetto alle band italiane del periodo.

La forma canzone si trasforma in poesia leggera che tocca i massimi vertici in pezzi come l’apripista “Tarli” e nell’incedere ritmico di “Tzunami”.

Un vortice continuo di emozioni che si sta facendo strada nel panorama ingarbugliato della musica pop, un panorama che vede all’orizzonte una lenta rinascita.

Un plauso, quindi, ai “Jonny Blitz” per averci fatto tornare l’allegria di un tempo e la speranza in un futuro diverso.

 

Indianizer – Pandas (Autoproduzione)

Libertà infinita e senso di vuoto cosmico per questo piccolo disco degli “Indianizer”, fuori da qualsiasi schema di genere e sorprendentemente vario nella formula canzone, dove solo il più attento degli ascoltatori pindianizeruò incontrare contaminazioni stellari in grandi progetti e mete raggiungibili.

Il duo fautore di “Pandas” è l’unione di Riccardo Salvini dei “Foxhound” e del polistrumentista Federico Pianciola già “Unconscious Trio”.

Pezzi che perdono la forma canzone in continui loop e percussioni che entrano ed escono con fare bohemien e rigorosamente pensato.

Il caso in questo disco non esiste, l’improvvisazione nasconde calibrazioni millimetriche di suoni manipolati a dismisura fino a creare un suono convincente sin dagli inizi.

Speriamo che questo piccolo lavoro, diventi un gran lavoro, magari un viaggio più ampio dove sperimentare manie di perfezionismo e traguardi inaspettati. A proposito dove si trova l’India?

King Suffy Generator – The fifht state (I dischi del minollo)

I King Suffy Generator ritornano alla grande con una musica che ricopre pianure cementificate e uomini grigi che camminano con la 24 ore e il cellulare in maquintono.

Un incedere frenetico lungo le strade delle città affollate, ricreando un mondo caotico e privo di respiro, dove l’anima non trova un corpo in cui abitare e dove gli uccelli fanno i nidi sulle antenne della televisione.

Sei tracce di pura improvvisazione con sprazzi pinkfloydiani e chitarre post rock che schizzano in assoli ben pensati e stratificati quasi a fuzzeggiare su prati inesistenti.

I  cinque regalano grandi prospettive armoniche in canzoni complesse come la notevole “Derailed dreams” e l’innocenza perduta di “We used to talk about emancipation”.

Un continuo andare e tornare di controrif dipendenti da una linea ritmica solida che si fa strada nel prog pensato e ragionato.

In copertina immagine appuntata di Giorgio da Valeggia che da il nome al disco “Il quinto  stato”, masse cadaveriche che guardano il vuoto, privi di esistenza reale.

Un album marcatamente maturo con piglio internazionale, pronto a spiazzare qualsiasi purista di genere.

Nima Marie – Wollen Cap (Orangehomerecords)

Un berretto rosso e una strada da seguire, un lungo abbraccio che non può avere fine lungo la storia della musica folk al femminile americana.

Nima Marie songwrinimamarieter italiana fin dalla nascita,  ci regala con questo primo e vero album di 10 tracce, un affresco spensierato e solare di pomeriggi fatti di passeggiate e corse lungo il fiume.

Il sole bacia i belli e in questo caso i raggi filtrano sugli occhi di chi ascolta lasciando una sensazione di disorientamento e leggerezza.

Legata molto alle sonorità cantautoriali più folk e rilassate ricorda per certi versi il debutto solista della violinista Christina Courtin sia per approccio musicale, sia nel cantato.

Le canzoni scivolano veloci contro il tempo, con incursioni alla nostrana Lubjan e all’oltreoceanica Morisette.

Il suono è delicato, ma allo stesso tempo pieno, strumenti acustici e leggeri pianoforti ad incedere e corde pizzicate in arpeggi infiniti.

“Forgive me” “Morning moon” e il singolo “You know i do” sono pezzi che si fanno sicuramente ricordare.

Un album che ti fa volare in un’estate che non si fa ancor vedere con il piglio della goccia che cade, sistemandosi su di una foglia verde che sarà da nutrimento per qualche essere vivente.

Madame Blague – Pit-a-Pat (DreaminGorillaRecords)

madame-blague-musica-pit-a-patDall’accensione del fulmine, al temporale in arrivo, dalla giostra che gira fino all’assolo più distorto; generi così lontani che solo grazie a un concentrato di capacità riescono a trovare il proprio punto di sbocco in una musica che si fa a tratti serrata e a tratti più cantautorale, se così si può definire.

I “Madame Blague” non scherzano e con questo loro primo disco sottolineano l’importanza della ricerca senza mezzi termini e mezze misure.

I 4 liguri confezionano un album che, già impreziosito da una bellissima cover, dell’ormai noto “Cikaslab”, si divincola in sentieri brit pop , blues, hard rock con sferzate swing.

Il sentimento che accomuna le 10 tracce è l’incontro di un’ape con il proprio alveare, il rincorrere le radici di un cuore vivo e ricco di linfa vitale dove attingere direttamente dalla natura il significato più profondo della musica che i “Madame Blague” riescono a inventare.

Sonorità  che riescono ad infilare punti a dismisura si scoprono pian piano in “Tell me” o nella scanzonata “Under a Varazze sun”, mentre gli altri pezzi si lasciano andare a derive più prog stoner.

Un disco d’esordio sicuramente promosso a pieni voti, un concentrato di follia e capacità di osare notevole, con l’aggiunta di quella sfrontatezza che alle volte riesce ad essere incisiva  fondamentale più che mai.