I King Suffy Generator ritornano alla grande con una musica che ricopre pianure cementificate e uomini grigi che camminano con la 24 ore e il cellulare in mano.
Un incedere frenetico lungo le strade delle città affollate, ricreando un mondo caotico e privo di respiro, dove l’anima non trova un corpo in cui abitare e dove gli uccelli fanno i nidi sulle antenne della televisione.
Sei tracce di pura improvvisazione con sprazzi pinkfloydiani e chitarre post rock che schizzano in assoli ben pensati e stratificati quasi a fuzzeggiare su prati inesistenti.
I cinque regalano grandi prospettive armoniche in canzoni complesse come la notevole “Derailed dreams” e l’innocenza perduta di “We used to talk about emancipation”.
Un continuo andare e tornare di controrif dipendenti da una linea ritmica solida che si fa strada nel prog pensato e ragionato.
In copertina immagine appuntata di Giorgio da Valeggia che da il nome al disco “Il quinto stato”, masse cadaveriche che guardano il vuoto, privi di esistenza reale.
Un album marcatamente maturo con piglio internazionale, pronto a spiazzare qualsiasi purista di genere.