We are the bears – Tales from the ocean (Bulbart Label)

I sogni sono fatti di sostanze intangibili che possiamo solo immaginare ad occhi spenti in un continuo cercare destinazioni e conforto, visioni di un tempo lontano e paure che si dileguano alla vista delle nuvole di vapore. Ascoltare il disco dei We are the bears ci porta all’interno di mondi lontanissimi dove l’etere imprigiona e le atmosfere si fanno dilatate e convinte in un’estasi quasi mistica dove gli ascoltatori cercatori sono alle prese con considerazioni che vanno oltre la normalità della musica e non hanno paura di schierarsi convincendo  a dismisura grazie ad un approccio atmosferico in grado di rivelare parti nascoste, profonde, soprannaturali. Tales from the ocean è un grande racconto che porta con sé una propria armonia di fondo, parole sussurrate e ricche di fascino che assottigliano il confine con il mondo onirico e ci permettono di vedere un divenire sottosopra che ben si apre e convince già dal singolo Pompei, passando per pezzoni come Lights out, Feeling Blue o la finale Flamingo’s Lips. I We are the bears registrano una prova spiazzante e nel contempo piena di maturità artistica, una prova circolare e omogenea che fa della ricerca un punto di partenza imprescindibile per sempre nuove scoperte.

Antonio Firmani – La galleria del vento (Libellula)

Acquarelli pop che illuminano la via in modo elegante e convincente assaporando l’istante e il momento da cartolina per polaroid indipendenti che portano con sé il sapore delle cose passate, il sapore delle cose migliori, in tinte pastello nordiche che irradiano calma e tranquillità nelle storie raccontate, nei bagliori vissuti, in attimi di introspezione sonora che vedono il cantautore napoletano Antonio Firmani, dopo l’ottima prova già recensita qui con i The 4th Rows, intascare un disco d’esordio solista molto più cantautorale del solito, a riempire la scena, a dare sostanza e nutrimento in pezzi che abbracciano un’internazionalità di fondo che accarezza il dream pop pur mantenendo una forte capacità narrativa, accogliendo il flusso positivo che convoglia ad arte e rende il quadro finale un concentrato di musica pop ricca di emozioni e suoni che si fa ascoltare, che scava leggera e ci trasporta nel vento e con il vento verso un mondo costruito attraverso la scatola aperta della nostra anima, dove la passione e i sentimenti sono alla base di una continua ricerca testuale che si fa arte in divenire in questa Galleria del vento.

Monica Pinto – Canthara (Maxsound)

Il suono del teatro riempito ricopre gli spettatori di un’aurea malinconica e sognante capace di svelare profondità di tessuti sonori impreziositi dalla speranza che il narrare vicende d’amore sia ancora moderno in un tempo che ha perso la sua modernità, a costo di sembrare anacronistici e disillusi poeti del bel canto e soprattutto del tempo passato che non possiamo più fare nostro; con Monica Pinto si lotta ancora, si lotta per dare vita a scorci poetici che si divincolano e destreggiano bene tra immagini e simboli metaforici, unendo il nostro apparire con il nostro essere interiore, in una comunione d’intenti che aspira a far scuola, ricucendo le ferite di ciò che è stato in nome di un qualcosa di più grande e condiviso, sentitamente vissuto grazie a dodici brani di egregia fattura, coordinati da Max Carola con la partecipazione di Fausto Mesolella degli Avion Travel, la nostra riesce a scalare la montagna del proprio essere, da Viaggio incompiuto fino a Per la rivoluzione, con l’intento di illuminare nuovamente quel palco, di renderlo vivo, attraverso la luce che in primis parte dal nostro dentro.

Francesco Di Bella – Nuova Gianturco (La Canzonetta)

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Francesco Di Bella uscito dai 24 Grana, confeziona un disco introspettivo che parla dell’assenza e del bisogno di reagire, quasi fosse un riscatto, la vita, che sempre ci chiede e poco ci da, quella vita di periferia ben delineata e raccontata in brani che si fondono con la tradizione di un dialetto napoletano, incomprensibile, ma musicale, una polvere che diventa musica per le nostre orecchie con gusto raffinato negli arrangiamenti e tentativi, ben raggiunti, aggiungerei io, di dare vita a personaggi che vivono ai margini, nella speranza che ci sia prima o poi un cambiamento, un senso diverso e soprattutto condiviso nella costruzione di nuovi tentativi e di nuove opportunità.

Dieci tracce che parlano di uno stato non mentale, ma quasi fisico, la fisicità del racconto si respira nella desolazione del mare in cui la città si affaccia, un mare che spazza, un mare che culla, un mare che trasporta; vite si intersecano in queste canzoni e le collaborazioni non tardano ad arrivare da Neffa ai 99 Posse, passando per un pezzo di Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò, per un disco che colpisce al centro del cuore, lo fa innescando qualcosa, forse solo rabbia che diventa tempesta e poi quiete, quando capisci che le cose non possono cambiare, quando capisci che i sogni legati alla fortuna sono un granello di sabbia su di un’intera spiaggia baciata dal sole, così immobile da sembrare irreale, un po’ come i sogni, un po’ come il mondo di merda in cui ci troviamo.

L’io – BonTon (SeahorseRecordings)

Cantautorato strampalato che abbraccia l’indie rock trasformandolo in un pop pronto a stupire per freschezza e vivacità, componenti che non mancano per questo album d’esordio del cantautore napoletano Flavio Ciotola.

Dentro allo pseudonimo c’è un mondo, un mondo intero, una presa di posizione, un essere cosciente di ciò che un giorno cambierà, un’evoluzione quindi che parte da noi, dal nostro modo di vivere e inevitabilmente questo tutto viene riversato in maniera emblematica in pezzi dai titoli e dai testi più strampalati, ma che nascondono quella sottile ironia che non guasta a certo tipo di produzioni.

Sono testi esistenziali, che parlano di noi, delle nostre paure, dei nostri stati d’animo e della nostra capacità di risolvere le situazioni quando meno te lo aspetti, lasciando tutto e seguendo ciò che sentiamo dentro, questo è un album sul bon ton o meglio sulla presa in giro di tutto un mondo che ostenta fin troppo una facciata che alla fine non appartiene a nessuno, ma è solo uno specchio per farci belli, uno specchio che non percepisce le profondità.

L’Io invece scava dentro di Noi, partendo da Zero e passando per pezzi memorabili come Resta poco tempo o Spiegami perché mi innamoro sempre delle troie, passando per Buongiorno un cazzo e concludendo con il finale di Difetti Perfetti.

Un disco sonoramente difficile da incasellare, perché forse il nostro, ha trovato fin da subito un proprio stile, una propria via da seguire, un album ben strutturato e vario, capace di entrare facilmente nella mente di chi ascolta e non andarsene più.

Riva – Le nostre vacanze sono finite (Full Heads/Audioglobe)

Cantautorato sottile, gentile, impreziosito da note di vibrafono convincenti dove la sostanza si esemplifica in pochi accordi di chitarra e dove le note sparse di un rhodes delineano un’atmosfera fiabesca che parla di gioventù, amori da rincorrere e gesti gentili da poter donare.

I Riva, chiusa quella con gli Onirica, si lanciano in una nuova avventura, suonata stavolta in modo ancora più aggraziato, dove strumenti come l’acustica o il pianoforte si mescolano in modo denso a sintetizzatori e basi elettroniche.

Per affinità musicale i nostri assomigliano molto al Veneto Limone, tra incursioni a pioggia e K way che non tengono più l’acqua, confezionando un pop convincente e speciale.

I nostri cercano di accorciare le distanze, lo fanno dichiaratamente per far emergere un loro pensiero, se non altro per abbattere i costrutti su cui è posta e su cui vive la nostra malata società.

Ecco allora il ritorno alla quiete e a i ritornelli da cantare senza fragore, un ritorno all’essenziale e ai suoni da inglobare in un percorso ben preciso.

L’album, registrato presso lo Studio Jacuzi di Giuliano Dottori, si smarca completamente dal già ascoltato creando un’essenza che alle orecchie è quasi magia; perché l’uomo si è inventato tutto, senza risolvere mai niente anche se nel loro piccolo, i Riva, una strada migliore, la stanno già inseguendo.

Softone – Tears of lava (Cabezon records)

http://www.cabezonrecords.com/wp-content/uploads/2013/10/1381148_10202206070854354_544654607_n-195x186.jpgSoftone è sinonimo di grazia avvolgente.

Calda coperta desertica che mescola i migliori fratelli Gallagher con un rock slide e fuzz che ricopre esigenze mistiche di ritrovare la propria strada lungo un sentiero dove la siccità avanza inesorabile a creare un senso di tepore quasi marginale al suono che genera.

Un’improvvisa alba che si snoda dolcemente tra le sagome delle montagne e attende viaggiatori incompresi verso mete infinite.

Le sei tracce corrono tra strade impervie, dando un significato al percorso che per il gruppo partenopeo, alla sua seconda prova, è sinonimo di rigenerazione da un punto di vista strutturale di impianto e di prestigio calcolato.

Ogni nota di canzone è preziosa quanto acqua che cade avvolgendo i ricordi di malinconia e nostalgia.

Si ascoltano echi primordiali di Verve passando per Stone Temple Pilots, Stereophonics e lungo le sei tracce l’ascoltatore è portato ad immergersi in toto nel concetto  trasmesso.

Una strada sempre precisa da seguire che si apre in magnificenza nella bellissima traccia numero tre “Somewhere over” e nel finale di ” Ray of Light” di Lynchiana memoria.

Bisogna dire che anche stavolta Cabezon Records valorizza talenti spaziando di genere in genere, costruendo fitte trame di luce in un periodo così tanto buio.

Antonio Manco – Ok…il momento è giusto (Autoproduzione)

Antonio Manco confeziona un album di antoniomancopura e reale matrice rock, con ammiccamenti post ’70 e un approccio al brit-pop con sguardo vicino alla canzone d’autore sussurrata nei pensieri e percepibile lungo quel filone dove energia e poesia vanno a siglare 8 pezzi da cuore aperto e ritorno alle origini.

Il giovane cantante partenopeo è accompagnato dall’inseparabile band dei “Briganti”, esplosioni sonore di raro pregio, che trovata la fusione giusta di genere, dopo svariate formazioni, registra “Ok … il momento è giusto”.

L’album è l’incontro tra il vivere quotidiano e i pensieri ridondanti di un giovane alle prese con i problemi di una cieca società.

Il filone dantesco del viaggio corre lungo il filo del rasoio e Antonio si identifica in un continuo sali scendi senza vie di fughe, il linguaggio delle volte si presenta diretto a tal punto da sembrare sangue che, lì pieno di rabbia, non riesce ad uscire, non riesce a contribuire alla nascita di qualcosa di importante per un cambiamento futuro.

Le sonorità sono principalmente di puro stampo rock, da chitarra alzata e riff sempre pronto; i temi trattati invece rispecchiano un animo inquieto e turbato in tutte le tracce del disco.

Ottima prova direi per un ragazzo di soli 24 anni, un prova che ha il gusto del nuovo, nonostante il saturo genere; ad Antonio il pregio di essere riuscito a riversare in poco più di trenta minuti, rabbia e malinconia, speranza e fiducia, per un cambiamento che deve partire solo ed esclusivamente da noi.

Adailysong – Una canzone giornaliera (Apogeo Records)

adailysongE’ la melodia portante marchio distintivo di questa band gli “Adailysong” che rinfranca i giorni spesi in bilico nel  tuffarsi o meno nel mondo del pop o nel più semplice, dai più conosciuto, universo di musica orecchiabile che in questo caso indossa l’abito per le grandi occasioni per rinnovare un invito a cena da tempo perduto.

Sono canzoni d’autore impreziosite da interventi di gran classe quelle della super band campana che annovera tra gli altri: il cantautore Bruno Bavota in veste di pianista e del cantautore Andrea de Rosa che caratterizza le canzoni con una voce pulita e leggera, la quale si divincola in modo spettacolare tra i mille arpeggi e gli altrettanti arrangiamenti originali.

Le 10 canzoni prendono al cuore e neppure il più insensibile ascoltatore può rimanere inalterato dopo l’ascolto di pezzi come “Aprile” o “Polvere” per non parlare della miracolosa e meditativa “Destino”.

Sembra di ascoltare i Non voglio che Clara che dialogano con Paolo Benvegnù nelle profondità di un abisso inesplorato, tanta è la distanza che percorriamo per raggiungere divagazioni di forme mutevoli, rimanendo incollati alle nostre sedie.

Un disco che guarda ai giorni con malinconia, il primo disco, questo, per Apogeo Records, con l’augurio che ce ne siano altrettanti  in grado di farci catapultare su pianeti senza un nome e dentro pensieri che non sono di questo mondo.

 

Bruno Bavota Ensemble – La casa sulla luna (Lizard Records)

Rara bellezza e genuina voglia di vivere si riscontrano in questo prezioso lavoro di Bruno Bavota, compositore napoletano e pianista d’eccellenza di nemmeno trent’anni.

Per l’occasione si aggh512vjivDcrL._SL500_AA280_inda a festa e con lui riunisce un ensemble di musicisti quali Marco Pescosolido al violoncello e Paolo Sasso al violino, donando ai brani quel gusto retrò e malinconico unico e inconfondibile.

La somiglianza con l’italianità di Einaudi è evidente anche se Bruno utilizza l’eredità del minimal piano passando da autori come Philip Glass, Jan Swerts o del greco Christos Kapenis e centrifugando il tutto aggiungendo tocchi di stile personali e lucenti, quali cavalcate infinite e refrain memorabili.

Non risulta facile recensire un album di questa levatura, quali siano poi i gusti musicali di chi lo fa e in secondo luogo di chi ascolta, ma questa è musica che parla alla natura in modo simbiotico toccando inevitabilmente i tasti degli affetti e delle passioni dell’anima.

E’ impossibile non lasciarsi trasportare da composizioni quali “Amour” o “Il dito si muove sul vetro appannato” o da titoli più evocativi quali “C’è un cinema laggiù” o “Il sole di domenica” ; certo è che questo ragazzo sta preparando la strada a un nuovo futuro italiano.

Chissà che cosa avranno pensato gli esperti di settore dopo averlo selezionato tra migliaia di artisti per suonare alla Royal Albert Hall di Londra in occasione dell’Accidental Festival; si saranno chiesti inevitabilmente il luogo di provenienza di questa musica non trovando risposta alcuna.

La reazione sembra invece alquanto naturale: un giovane uomo con i suoi 88 tasti che fanno sognare anche gli avvezzi agli incubi; una piccola casa, una città dormiente e una luna che le sta a guardare, questo è il luogo dove ognuno di noi vorrebbe riposare.