Visioni di Cody – Celestino (Autoproduzione)

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Celestino è la storia di ognuno di noi, noi relegati ai margini di un mondo troppo poco punk e omologato in questioni che non ci riguardano, ma ci obbligano a sottostare a leggi, a fili manovrati e volontà precostituite, noi alla ricerca di un posto dove vivere, dove poter scambiare ancora attimi di luce generazionale che ci permette di esistere, che ci permette di lasciare qualcosa a chi verrà.

Grazie a parole importanti questo disco ci racconta di un mondo in cambiamento, dove la parola rottura con il passato non è sempre ambita e dove le strutture predominanti sono sempre segno di emarginazione e povertà di intelletto, un disco, questo Celestino che le Visioni di Cody sanno interpretare bene, lo fanno con il piglio alternative dei primi ’90 intessendo la scala dei valori con testi da puro cantautorato multiforme e post moderno nell’attesa che le sembianza del nostro genere umano si possano modificare in un’ascesa obbligatoria verso ciò che ci caratterizza veramente, verso ciò che conta; pensare a pezzi come Giusto fra le nazioni o la potenza di Mammarò fa presagire l’importanza di una ricerca testuale che in primis vuole comunicare dando un senso sempre maggiore a canzoni stimolanti come La forza di mille uomini o Bravi, giovani, cannibali per un album, formato da nove tracce che sono il manifesto coscienzioso di uno scambio intergenerazionale che deve essere un punto di rottura costruttivo con tutto ciò che è stato.

Drama Emperor – Paternoster in Betrieb (Seahorse)

Musica affilata e origini bucoliche per l’esordio dei Drama Emperor, questo splendore di lucente decadenza in cui a tessere trame per inserti psicadelici ci pensa il trio marchigiano che dopo l’ep di esordio targato 2010, si ripropone al grande pubblico con un disco bello e compiuto e che riserva al proprio interno sorprese a non finire con accostamenti di musica jazz all’industrial più pesante di matrice tedesca tanto in voga negli anni ’80 e che ha dato poi vitalità alla scena indipendente degli anni ’90 e dei giorni nostri.

recensioni_img_2470Le canzoni si concentrano quasi su uno strumentale – cantato poliglotta, dove a fondersi in un unico risultato finale troviamo l’inglese, il tedesco e l’italiano.

Michele Caserta, Cristiano Ballarini e Simone Levantesi costruiscono palazzi in decadenza che brillano di luce propria, grazie al contributo di ospiti come GianMaria Annovi, Stefano Zoppi e il produttore Martin Bisi già al lavoro con Sonic Youth e Swans tanto per citarne alcuni.

Il concetto del disco racchiude un po’ quello trasmutare di un popolo assuefatto al quotidiano; entrando nell’artwork dell’opera si vedono condomini che attendono una tempesta, il cambiamento, il grigio con le macchie di azzurro quasi ad indicare che infine prima o poi siamo destinati a morire e a lasciare al nuovo l’ineluttabile compiersi.

“Other side” è annuncio di tutto questo, attimi di riflessione che si aprono a forme di un battere ultraterreno, “Teknicolor” è lezione di stile, qui ci immergiamo nel profondo del genere fino a riscoprire radici di pura psicadelia e rumore uniti in modo esemplare.

“Sing sing sing” ricalca per certi versi una “messa solenne” dove il cantato “se l’oblio è una forma di libertà, ci sono quasi…” fa da apripista corale a riff strutturati e precisi.

“Aber” ricorda CCCP, mentre “Phrase Loop” sente il bisogno di un recitato estraneo compiuto da un “poeta maledetto”.

“Dead of Technology” è riflessione sulla struttura economica pensata per i pochi e causa di morte diretta e indiretta di intere popolazioni.

“Riversami” è invece elettronica compensata da una forte dose di calibrazioni e mescolanze che incede fino al capolavoro di “Second Floor” pianoforte pozzo – profondo ad aprire, raggiungendo tonalità di acqua pece e rinascite sperate.

Un album affascinante e ricco di insenature che ci porta a scoprire la fine di un impero come non l’avevamo mai sentita; la ricerca del trio attinge di certo a pagine già scritte, ma a mio avviso queste 8 tracce sono fonte di rivisitazioni tecnologiche e personali, vicine ad una “No Wave” di gusto e carattere.

 

Il maniscalco maldestro – Ogni cosa al suo posto (Maninalto!/Venus)

Ogni cosa al suo posto”…esce il 13 aprile 2012 per Maninalto!/Venus, terza uscita discografica pela band toscana Il Maniscalco Maldestro.

Un lavoro registrato presso il White Rabbit Hole Studio con la produzione artistica di Nicola Baronti e che arricchisce la ricerca sonora con nuovi percorsi rispetto ai dischi precedenti.

La traccia d’inizio “E tutto muore” (la prima è una strumentale) si apre con una batteria alla “Song 2” del gruppo britannico “Blur”. Le atmosfere sono però molto rarefatte rispetto agli inglesi con echi di Marlene Kuntz e Led Zeppelin.

Suoni crudi, in tutto il disco, accompagnati da una batteria perfetta coadiuvata dalla altrettanto originale sezione ritmica del basso.

Sembra di sentire gli ex-”Sux” di Giorgio Ciccarelli in questo lavoro mescolato da puntuali presenze di suoni, rumori e voci.

Il cantato è ricercato, Antonio Bartalozzi è una voce contro il consumismo, non solo commerciale, ma anche di amori, una voce contro il consumismo dell’anima.

Le armonie rock non sono banalizzate e americanizzate, il tutto è un flusso contaminato quasi immacolato, con forti dosi di originalità.

Il maniscalco è un gruppo che stupisce già dalle prime note e con “Ogni cosa al suo posto” si tocca forse il punto più alto del progetto.

Atmosfere funk, rock, elettronica: “RATM”, “Korn”, “Frank Zappa” fanno da apertura a “Ennio Morricone” in “Questa sera”.

Si parte con la strumentale “Ingresso” per finire con la strumentale “Uscita” passando per “…i tuoi coltelli in aria sono volati via…” il maniscalco però rimane a testimoniare che il rock italiano non è ancora morto.