Maxima Luminosa – Maxima Luminosa (Autoproduzione)

I Maxima Luminosa sono il suono della corrente che illumina i prati, in modo naturale, abbagliando l’orizzonte e confluendo in sonorità geometricamente instabili e ricercate, capaci di comprendere le limitatezze e i pregi in una continua ricerca ragionevole di un suono elettronico dosato al pop e al rock che fa il verso ad un’impalcatura prettamente cantautorale dei testi che si innesta a dovere con le particelle elettrizzanti di albori di luce fuori controllo, quasi imprevedibili, che accendono speranza e lasciano molto all’improvvisazione, quell’improvvisazione accentuata in tutte e quattro le tracce che compongono questo breve ep emozionale che vede per protagonisti i siracusani Giuseppe Baio e Rossella Cubeta, un duo alle prese con le sperimentazioni che vanno oltre il concetto di già sentito per implementare la ricerca verso lidi misteriosi e del tutto personali, in un mondo di disincanto che è esso stesso terreno fertile per fare nascere nuove idee, abbracciando i sentimenti del tempo e dell’anima, un album che è  composizione di suoni intrecciati, aprendo le porte alle sperimentazioni future e lasciando un piccolo segno in questo presente.

Max Casali – Secondo a… nessuno! (La stanza nascosta)�

Disco denuncia sui mali della società e sul pensiero diffuso, quest’ultimo privo di senso critico in un’Italia divorata dalle cattive abitudini ed espressa, in questo album, da Max Casali, pioniere della break dance e del rap italiano degli anni ’80 che per l’occasione confeziona una prova d’autore ben strutturata e straordinariamente arrangiata che colpisce non tanto per l’innovazione della proposta, ma soprattutto per la capacità di legare in musica parole taglienti a cavallo con l’ironico, che rendono questo disco una summa di un pensiero condiviso che ci vede lottatori in un Paese non sempre volutamente sentito e inglobato.

Parole in musica, gridate e sussurrate, in equilibrio costante tra la ricerca di una propria via e la condivisione con i saperi italiani del tempo perduto, quei saperi che coniugano l’innovazione che si fa racconto, l’innovazione intrinseca e voluta, per pezzi supervisionati da Valerio Carboni, già con Morandi e Stadio,  in un disco che accentua l’esigenza di lottare e rimanere ancora in piedi, di far propria l’esigenza di unicità e sopravvivenza per una manciata di canzoni che invitano a riappropriarsi dei propri spazi vitali prima che sia troppo tardi.

Kelevra – Cronache per poveri amanti (VREC)

Amori andati a male, amori lontani, sfiducia sull’oggi e sfiducia sul domani, intrisi di quella poesia neo natale che imprigiona la semplicità del gesto, dell’atto, in una confezione effimera di gioia, dove il tempo racchiude i segreti per un mondo forse diverso.

Al secondo album i Kelevra fanno centro, intascando una prova ricca di coraggio e di un’immediatezza strabiliante, che sa mescolare diligentemente un pop definito amaro al cantautorato più moderno,un disco tutto tranne che consolatorio dal titolo Cronache per poveri amanti.

I nostri raccontano una vita fatta a pezzi e l’essenzialità nel tentare di ricucirla passo dopo passo, mattone dopo mattone, oltre la tempesta e ispirandosi al fu fiorentino Pratolini che condivideva con loro la terra natia.

Disincanti che accarezzano l’erba e ti fanno comprendere l’ineluttabilità del tutto, con un forte gradiente e una forte percentuale di amarezza che fa gridare, che ti fa tentar di essere un uomo diverso, migliore.

Non ha gravità è il singolo di riferimento, con la presenza di Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti a farne da padre putativo, un disco che anche senza questo pezzo ha tutte le carte in regola e il pieno diritto per sfondare le consuetudini del momento, trovandosi un piccolo posto nel mondo dove poter vivere.

Le cause perse – Amplesso (Autoproduzione)

Le cause perse ci portano a riflettere sul mondo che ci circonda grazie a testi penetranti e allo stesso tempo coinvolgenti che non ci rendono dei semplici spettatori immobili, ma attenti critici di una società che ci vuole e ci rende diversi; un romanticismo disincantato espresso in un vortice di sensazioni intrise di significato che ricordano l’infanzia, il bambino che è in noi, l’esigenza di fare pace con noi stessi tra territori acustici sovrastati da un piglio cantautorale che rende bene quell’idea di necessità e volontà di dare spazio alle emozioni; un turbinio concentrico che si muove tra la voce del cantante e chitarrista Yuri Duso e l’elettrica di Enrico Marangonzin fino alla collaborazione con la precisa e velata batteria di Daniele Carollo.

Un disco che parla con la voce dei tempi moderni, un disco sulla fame di sapere nel raggiungimento di uno stato di grazia che culmina nella rabbia, intesa come parte negativa di noi e capace di disfare quel bene creato e voluto che prima o poi tornerà a colmare quei colori dentro al nostro cuore.

Senhal – Parapendio (Dischi Mancini)

Disco di pop raffinato e contorto, calibrato a dovere ed esigente nei confronti di una scena ormai piatta, un album che è una ventata di vera freschezza tra le produzioni odierne intascando l’esigenza di raccontare e raccontarsi grazie a poesie che si fanno quotidianità sospinta verso l’alto e pronta a planare toccando prati, fiori e la vita stessa, il mondo visto dall’alto e noi consapevoli spettatori siamo li per raccontarlo, per farlo nostro, per ricreare dentro di noi l’esigenza di ritornare come eravamo, dinamici e all’interno di un tutto che ci vede molte volte i veri protagonisti della nostra vita.

Paesaggi crepuscolari che disegnano l’ampiezza e noi cullati dall’aria che ci accompagna pian piano nell’entroterra di canzoni come la title track o Panoramica a riaffermare un concetto che si esprime notevolmente soprattutto nel finale con Fiori e Bianco, per un disco che vede crescere notevolmente una band in continuo divenire e una copertina leggera e significativa come lo è la disegnatrice veneta Marina Marcolin: un tuffo nel vuoto tra i sogni del domani che deve arrivare.

Andrea Carboni – La rivoluzione cosmetica (Autoproduzione)

C’è tanto di quel rock anni ’90 in questo disco da far spavento, un rock legato indissolubilmente a piccoli ritocchi estetici di elettronica commistionata al cantautorato in modo sublime, dove le parole si legano alla musica e creano un vortice di sensazioni che non stancano, ma in loop ossessivo concedono una quadratura del cerchio che arriva fino ai Placebo, partendo proprio con i cari Radiohead in una Rivoluzione cosmetica che riecheggia nell’airbag del gruppo di Oxford.

Una linea continua che fa sospirare e vede nell’immaginario coltivare con risaputa capacità, ciò che il nostro aveva già gettato con Due, una ricerca stilistica di un proprio io che ricava attimi di esplosioni chitarristiche in un pop che per sua definizione è antipop per eccellenza, in divenire, raccontando di posti lontani e amori supremi, di battaglie da vincere e di perdite assicurate.

Un album di otto canzoni che svela un tiro deciso fin dall’inizio, con un’ottima e affilata registrazione accompagnata da un egregio mastering, otto brani a dominare la scena, la rivoluzione cosmetica è alle porte e questo atto di denuncia per ciò che non siamo più suona molto attuale nel mondo che ci circonda.

ULI – Black and Green (WasabiProduzioni)

Il folk del futuro è qui, in questo disco, dove la contrapposizione tra il bianco ed il nero si trasforma in forme e tonalità di verde profondo che regalano all’ascoltatore incursioni letteralmente elettroniche e accennate in un contesto che sa di fanciullezza svanita e ambizioni importanti, chitarre acustiche inframmezzate da elettricità costante, mai banale, dove le strutturazioni sonore sono paesaggi per l’anima e dove l’ambientazione rende ricca l’idea di una vera ricerca verso nuove finalità; il mondo che non ti aspettavi è proprio qui dentro, dentro alla mente di questa giovane ragazza che riesce a combinare in modo sapiente il dream pop di band culto come Lali Puna per passare a Bat for Lashes e i primi album di Bjork, strizzando l’occhio al minimal folk americano e ad un contesto fertile di nuove espressioni che si evincono già nelle sofisticazioni della traccia d’apertura per arrivare a quella Hicks Y Z che è un finale, ma anche un inizio per ciò che di meglio ancora dovrà venire.

Un disco pop che va oltre il pop, in un susseguirsi fervido di immaginazione e colore, significati da smembrare e ricomporre, quasi fosse il puzzle della nostra esistenza.

Luca di Maio – Letiana (Autoproduzione)

L’imprevedibilità si fa forma canzone e consente di dare un senso agli ultimi del mondo, in un disco struggente quanto delicato, commovente e suonato egregiamente, dove gli arrangiamenti si possono percepire a pelle fin dalle prime note, come esigenza di valorizzare le vite ai margini, per immagini profonde e soppesate; nulla è lasciato al caso in questo disco e si sente.

C’è la produzione artistica di Marco Parente e alla console di regia Asso Stefana, c’è Alessandro Fiori dei Mariposa e le fluttuazioni di Vincenzo Vasi, gli amici di sempre Sergio Salvi dei My Broken Toy/Cosmosoul, Francesco Bordo dei Nasov, Federico “JolkiPalki” Camici degli Honeybird & the Birdies, Kento & the Voodoo Brothers per finire con Paola Mirabella degli Honeybird & the Birdies, Vincent Butter.

Un disco che ha il sapore in bocca del passato, un quadro ben delineato e una poesia lontana, il mare che fa da tramite per la ricerca di qualcosa di spezzato che va ricostruito, timido abbandono nei confronti di chi spera una vita migliore, attimo di coraggio prima della tempesta, il volere raccontare un’epoca dentro a nove tracce, perché la vita non è quella vista in tv, quando si vive nel quotidiano anche un filo d’erba può avere e cambiare significato, siamo soggetti in eterna costruzione, siamo soggetti che devono capire che tutto quello che vediamo può essere futuro nelle nostre mani e noi con lui dobbiamo essere eterni oppositori dei cliché precostituiti; accarezzando la vita come se fosse la prima volta.

Caputo – Supernova (Autoproduzione)

Una donna uscita da un altro tempo con sonorità però così moderne da portare l’ascoltatore ad un primo disorientamento, un mondo fatto di luci e ombre, passati e futuri per questo nuovo disco di Valeria Caputo che utilizza il suo alter ego elettronico Caputo nell’intento di creare un rinnovamento sonoro al substrato della cantautrice e relegando momentaneamente strumenti usuali per dare vita a qualcosa di più naif, di più immediato, la coscienza che esplode come una stella disseminando lo spazio di frammenti da sovrapporre al tempo e lasciando al proprio passaggio scie di luce confortanti e allo stesso modo complesse, tra amori che non hanno mai fine e anime che si scontrano e poi si ritrovano in una ridondante infinita ricerca di un mondo oltre al nostro.

Frammenti raccolti nel passato quindi, manifesti di una realtà che non esiste più, del giorno che va oltre, pensiamo all’apertura di Blooming o a Flower girl tanto per dare l’idea di cambiamento, passando poi per le dilatazioni di Supernova e The River; una libertà voluta e ricercata una libertà da coltivare giorno dopo giorno, attimo dopo attimo senza attese e soprattutto senza rimpianti, una sostanza che si modella con il tempo e che ci rende liberi solo se lo vogliamo.

Mosé Santamaria – #Risorse Umane (DischiSovietStudio)

Mosé Santamaria è un cantautore elettronico che si spoglia e mette a nudo la propria capacità nel far conoscere il suo mondo, incastrato tra il sogno e la realtà, raccontandosi in bilico tra un Finardi che incontra in un pomeriggio di pioggia sull’asfalto, Francesco Bianconi, tra ritmi sincopati e radiofonicità anni ’80 con una voce che si esalta nei toni più scuri e portando a casa una prova che si staglia nell’orizzonte della sperimentazione.

Un disco dai racconti vivi con riferimenti culturali accesi a ricoprire lo spazio che coesiste tra reale e fantastico, tra vero e immaginato, conquistando l’ascoltatore attraverso le continue immagini non proprio nitide di una Lomo sovietica cristallizzata.

Un album fatto di tessuti umani e sociali, un sovrapporre la memoria calandola nell’epoca in cui viviamo, dove il domandarsi se quello che facciamo serve solo per alterare lo stato di percezione del nostro mondo.

Mosé in questo riesce nella prova di proporre attimi di luce nel buio che avanza.