Piccola Orchestra Karasciò – Qualcosa mi sfugge (RadioCoop)

album Qualcosa mi sfugge - Piccola Orchestra Karasciò

Suoni che riempiono le piazze di vita diffusa e costringono ad alzare il tiro, ad alzare l’asticella del nostro pensiero inglobandoci in ambienti che si fanno e richiedono domande, domande di vita, per noi, per tutto quello che ci gira attorno e per il nostro futuro. Cambiamenti d’approccio e domande esistenziali quindi per il nuovo disco della Piccola orchestra Karasciò, un affresco dipinto tra il vociare, le grida quotidiane e quel prendersi del tempo per noi, per analizzare, valutare e costruire rapporti, tra folk d’arrembaggio e pensieri che vanno oltre tutto quello che possiamo analizzare, oltre tutto quello in cui possiamo sperare. In Qualcosa mi sfugge il tempo sembra prendere il sopravvento, pezzi come l’apertura affidata a A canzoni non si fan rivoluzioni o la stessa title track sono l’esemplificazione di questo concetto, mentre l’amore indissolubile per un cantautorato di un certo spessore ci trasporta in brani come Il nodo, Respira o Tabula rasa ad intrecciare storie, valori ed essenzialità fatta musica. Folk quindi che sfiora leggero i nostri mondi e li fa incontrare; una musica d’insieme vissuta e suonata con il cuore a ricordo di ciò che acquista valore e ritrova magicamente la propria utilità in una manciata di accordi acustici ripetuti e sostenuti fino a notte fonda inoltrata.

Davide Viviani – Loreficeria (Autoproduzione)

album L'Oreficeria - Davide Viviani

Per far nascere questo gioiello ci vuole amore per le cose semplici, vissute e realizzate grazie alle mani esperte di un artigiano del cuore capace di cesellare i rimandi di un tempo andato e distillarli appena nell’alambicco della memoria, ottenendo gocce di solitudine assimilata al passato, ma che attraverso atmosfere notturne incanta il presente e lo rende prezioso come non mai. Il disco di Davide Viviani potrebbe essere un album di semplice cantautorato, ma qui ogni suono, ogni situazione è levigata a puntino e apparentemente imbrigliata diviene poi capace di scivolare lungo un percorso chiamato vita fatto di piccole cose quotidiane, di saltelli nel cortile dell’infanzia, di sguardi che scrutano i passanti laggiù oltre le mura. Ad impreziosire i vissuti troviamo la presenza di Alessandro Stefana e Marco Parente, artisti in grado di render ancor più importante un risultato che già dalle intenzioni iniziali sembrerebbe uscire da una macchina del tempo trainata da cavalli di un’altra epoca. Un riscoprire quindi una musica d’autore che non divaga tra gli orpelli elettronici che spopolano ai nostri giorni, ma piuttosto ritorna alla piena e polverosa coscienza del sé che si fa arte a tutto tondo e convince già dal primo ascolto.

Perfect Cluster – Flow (Autoproduzione)

E’ un flusso che si espande verso un orizzonte indefinito, un’enorme macchia di sangue pronta ad incanalarsi nelle fessure della nostra anima e inglobarci in un mondo parallelo fatto di oscurità, di ricerca e di abbondanza mai sterile, tra tentativi di immolare l’opera rock ad un concetto mai astratto, ma tangibile, capace di sfiorare la parte più buia che risiede dentro di noi. I Perfect cluster in questa nuova avventura chiamata Flow spaziano abbondantemente tra teatralità e rock elettronico del secolo scorso privilegiando un’appartenenza tacitamente espressa a gruppi come Tool, Nine Inch Nails e Massive attack in sodalizi estremi di potenza e controllo dove a farla da padrone, oltre che l’originalità della proposta, c’è la capacità di un trio che conosce tecnicismi evoluti e sa cogliere lo spirito del tempo alla perfezione e in modo quasi maniacale. Tutto questo si può scorgere già con il pezzo di apertura Get it loud, proseguendo con il singolo Speed e poi via via in canzoni come la stessa title track o attraverso le vibrazioni finali di After the suicide. Flow è un disco molto particolare che si discosta dalle proposte italiane attuali, un album che riesce a coniugare internazionalità senza cadere nel banale, senza scopiazzare nessuno, ma piuttosto in grado di perseguire una perfezione che ha il gusto del naturale decorso delle cose.

Maria Lapi – Tra me il mare (Autoproduzione)

Leggere parole in stanze trasparenti che contengono sostanza liquida in cui poter nuotare, farsi trasportare dalla corrente delle onde del tempo e intascare energia genuina che ci possa far sembrare tutto più semplice o perlomeno reale. Canzoni tangibili che abbandonano il plasticoso frutto dell’irrealtà per consegnarci una prova pop nel vero senso del termine, di facile ascolto, ma nel contempo non così banale e intuitiva, anzi un album ricco di parole che non sono sostenibilità per massime da sole cuore e amore, ma sono piuttosto impressioni, sensazioni che la cantautrice Maria Lapi consegna all’ascoltatore in un momento di fragile bisogno nell’ottenere una comunione d’intenti capace di far vibrare le corde del nostro interno. Sono nove canzoni che scendono come una leggera bibita frizzante, ma di fondo posseggono la robustezza di un rosso corposo, Tra le parole, L’incanto di un incontro assieme alla canzone che dà il titolo al disco sono forse gli esempi più lampanti di scrittura della memoria presa a bordo spiaggia dall’intimità che ci accarezza, ci rende migliori e forse ci fa volare con la nostra testa fra le nuvole nel cielo e il nostro corpo sospeso nel mare più azzurro.

Saber Système – Nuevo Mundo (Associazione Culturale Gai Saber)

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Un disco che abbraccia culture sostanziali e non smette di gridare la propria appartenenza alla terra, al respiro del mondo, alla circostante richiesta di sensazioni che il vento sa dare abbracciando il lontano, l’essenziale e il meraviglioso. 7 giovani dalla provincia di Cuneo affrontano il viaggio della realtà attraverso una world music che approccia ad una modernità mai statica, ma pronta a rimettersi in gioco, a mescolare le carte in tavole per rendere necessari esperimenti di sorta che si insinuano nella mente e percepiscono il bisogno di creare dalla spuma del mare, a creare attraverso l’uso di strumenti inusuali, dai flauti ai suoni delle percussioni d’Africa passando per l’organetto occitano e all’uso di un’elettronica timida, ma essenziale, capace di dare quel valore aggiunto che trasforma una folk music in modernità da assaporare. Un album complesso questo, un disco che parla e racconta le lingue del mondo, dallo spagnolo, al francese, alla lingua della Costa d’Avorio, passando per l’italiano e per l’occitano in un caleidoscopio colorato che pervade l’aria di mistica e solenne bellezza. Nuevo Mundo è un disco ricco di significati soggettivi, un modo di certo originale per abbracciare e andare oltre i confini, attraverso forse la cosa che più ci unisce e cioè la musica.

Lara Molino – Fòrte e Gendìle (FonoBisanzio)

E poi le senti le radici dal suolo, le senti e le profumi in questo disco fatto di parole e musiche d’altri tempi, colonna sonora di decadi fa ad entrare in connubio con la terra, con la passione per la vita, ma anche con la povertà rimescolando nel recipiente dei ricordi il proprio territorio e la velata malinconia di fondo che assale proprio quando meno te lo aspetti. Lara Molino confeziona un disco d’altri tempi, poesie sonore che vedono la presenza del padre Michele Molino ad intessere testi di sopravvivenza e realtà virata seppia e la produzione artistica del violinista/cantautore Michele Gazich a rimarcare ancora una volta folklore e territorialità che nell’accezione del termine si fa cultura e si fa veicolo per raccontare storie di emigrazione, storie di donne e tanta tanta delicatezza apprezzabile che convoglia ad arte e si fa ascoltare e percepire. All’interno del libretto sono presenti le traduzioni in italiano e in inglese di tutte le canzoni, simbolo ancora una volta, piuttosto che di una chiusura settoriale ed elitaria del tutto, un abbraccio all’umanità intera che si fa veicolo di accoglienza e di generosità accesa.

Sawara – L’eccitante attesa (Autoproduzione)

album L'Eccitante Attesa - Sawara

Un uomo che scruta basso, che scruta lontano sul greto del fiume annebbiato dai fumi dell’amore liquido e del rimpianto, tra speranze e sogni ad occhi aperti in un divenire che rassicura, ma che compila analiticamente la lista di ciò che è andato perduto. Il brianzolo Fabio Agnesina, in arte Sawara, decide di confezionare un disco dalle forti aspettative che come quadro in bianco e nero regala attimi di lucidità perentoria in pezzi che non abbandonano la forma canzone, ma piuttosto eviscerano dal tutto atmosfere alla Gatto Ciliegia contro il grande freddo per risalire la corrente di un cantautorato scarno e affascinante. Inevitabilmente mi salta alla memoria Danio Manfredini e il suo Vivi per niente incrociato al Capossela più cupo e oscuro, in un’introspezione grandiosa che fa sentire la propria presenza già nel pezzo d’entrata E’ bello anche aspettarti con quei fraseggi di elettrica a riempire la scena e a ricordare che non si è soli, per passare poi alla profondità essenziale di EA o Vedo chiaro per convogliare in Alba ad alba e nel finale lasciare spazio ad un remix della traccia d’apertura. Quello di Sawara è un disco che accarezza la carne e quando vuole sa incidere il pensiero portante fino ad arrivare al sangue che abbiamo dentro, tra il resistere e il sopravvivere, tra il rinascere e l’appartenenza a quel mondo diverso dentro di noi che si fa guardare quotidianamente con occhi nuovi.

Alessio Lega – Marenero (Autoproduzione)

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Il nuovo disco di Alessio Lega è un disco che trasuda storie e intenzioni, capacità analitica e spirito d’avventura che si può sentire e percepire lungo questo bellissimo spaccato umano raccolto per l’occasione per rendere omaggio a quel viaggio chiamato vita che ci tocca da vicino proprio attraverso una quotidianità che fa storia. Una storia per i semplici, una storia popolare, una storia per tutti coloro che si sentono emarginati e soli, racconti di vita quindi che aiutano a riflettere sull’importanza della vita stessa in un incedere che racconta di personaggi grotteschi, di freaks, di pure e semplici persone che magari non hanno avuto la fortuna propriamente dalla loro parte. Il disco di Alessio Lega è un disco sociale che tratta con raffinatezza e con ottimi arrangiamenti da classico chansonnier argomenti scomodi, lasciati in un angolo. Dentro alle tredici canzoni che lo compongono ci troviamo le melodie di un De Andrè o di un Pierangelo Bertoli ad infarcire filastrocche dai contenuti contagiosi, reali e tangibili, sembra quasi di tuffarsi in un passato vicinissimo a noi tanta è l’attualità che si respira in pezzi come Stazione centrale, l’interpretazione di Fiore di Gaza di Paolo Pietrangeli, Mare Nero o Petizione per l’affidamento dei figli delle coppie omosessuali. Testi questi per un album di canzoni vere che riescono, con la vivacità della musica d’insieme, ad entrare dentro di noi e a scavare nel profondo per renderci forse anche solo un po’ migliori.

Unòrsominòre – Analisi Logica Ep/Una valle che brucia (diNotte Records)

L'immagine può contenere: pianta, sMS e spazio all'aperto

A sorpresa inaspettata, senza dire nulla e con un botto tenuto nel taschino escono insieme e all’unisono due dischi di Unòrsominòre: Analisi logica, piccolo Ep, ma potente per contenuti e Una valle che brucia, full length di rara bellezza e introspezione. Sono due lavori che si completano, sembra quasi nell’uno di trovare spiegazione e approfondimento per l’ampliamento musicale dell’altro tanto è verbosa e presente quella linea netta di demarcazione che ci costringe a far rientrare il tutto all’interno di una musica di qualità, magari non adatta a tutti, ma capace di scardinare logiche precostituite per una visione e un’analisi della realtà così complessa e stratificata da rimanerne in qualche modo colpiti. Analisi Logica si apre con la lunghissima O tempora, vivido spaccato dei nostri giorni, quassi una summa dell’intero lavoro, un’analisi tristemente veritiera che lascia posto alle citazioni di épater le bourgeois, sporca e convincente, per terminare con la già ascoltata “pezzali” a rimarcare l’uso smodato del nostro fervido ego in nome di una realtà che valorizza l’avere piuttosto che l’essere. Una valle che brucia invece è un’opera di per sé straniante, la copertina è l’esemplificazione del concetto su cui ruota attorno l’intero disco. Siamo su territori scarni, aridi e quasi nebbiosi dove la luce in fondo al tunnel è solo miraggio per menti che pensano che il futuro davanti sia fatto di elementi imposti, menti che non lottano, menti che subiscono l’assuefazione dei mezzi di comunicazione di massa, il tutto condito da un minimal rock cantautorale di bellezza solida capace di incrociare le alienazioni dei Radiohead, le melodie dei Non voglio che Clara e le sperimentazioni di Beck a rimarcare concetti, uno dopo l’altro, a sputarci in faccia l’assordante posizione che uno deve guadagnarsi per fermare questa deriva, sottolineando ancora una volta che la verità non sta di certo nel mezzo.

ELLA GODA- ELLA GODA (Bulbart)

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Il gusto per l’orecchiabilità e per i testi di certo non banali si assapora nel disco omonimo degli Ella Goda, band bergamasca che compie l’impresa di uscire dagli stereotipi moderni per dare giusta freschezza e risalto ad una prova in stile power pop piacevole e sicuramente alquanto riflessiva, capace di imbrigliare costantemente una tensione che esplode attraverso schitarrate d’oltremanica a comprimere gli spazi per esaltarne le parole e ambienti d’attesa tra  momenti della nostra vita in costante avvicendamento di citazionismo mosso da uno spirito kubrickiano che si assapora già nel singolo d’apertura La cura Schopenhauer fino ad approdare a terreni di delirio in prosa psichedelica in Uomo e cosa giusto compiacimento di natura filosofica che accompagna poi pezzi come Solo il silenzio o la finale Anni luce da te. Quello degli Ella Goda è un disco che riesce a mescolare le carte in tavola attraverso un uso di stile variegato e prontamente decisivo nello scegliere da che parte stare, dieci tracce orecchiabili che non tralasciano l’importanza testuale nel comunicare qualcosa che riguarda da vicino anche noi.