Giacomo Scudellari – Lo stretto necessario (Brutture Moderne)

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Gusto eccentrico per i componimenti strumentali e le architetture fantasiose rendono Giacomo Scudellari un cantautore alquanto profondo nella sua ostentata leggerezza. Colpi al cuore di swing eviscerato a dovere, per strutture mediterranee ad incontrare l’America Latina lungo il corso di un fiume, lungo l’attimo da far nostro e custodire impreziosendo di contrappunti musicalità che abbracciano il mondo intero e si fanno da base per i componimenti sghembi di un poeta alle prese con la conoscenza di se stesso e con la semplicità delle cose che in dissolvenza rispecchiano l’inesorabile nostra esistenza. Lo stretto necessario sembra quasi una valigia pronta a partire, un paio di libri buoni, qualche disco e qualche vestito, un abbraccio lungo un’eternità e la gentilezza di un gesto sul calar della sera; poi il treno e l’ultimo saluto. Questo però non è un disco triste, non ci si vede dentro un mondo in decomposizione, piuttosto da quello stesso mondo il nostro trasforma per dare valore alle cose. Un po’ come pensare che dal letame nascono i fiori, un po’ come dire che è tutto apposto e sotto controllo anche se non lo è. Attraverso quel bicchiere mezzo pieno di vita che ci rende consapevoli dei nostri limiti e delle nostre crisi interiori Giacomo Scudellari consegna allegria dove non esiste e questa non è cosa da poco. 


Eloisa Atti – Edges (Alman Music)

Sperimentazioni sonore su deserti emozionali carpiti ed elaborati in una formula internazionale carica di aspettative dove piccoli affreschi che fanno parte dei pensieri si snocciolano uno dopo l’altro in una musica folkeggiante dall’animo blues, una musica che d’impatto trae le origini da Billie Holiday per poi identificarsi con un suono più moderno, pur mantenendo per certi versi quelle origini jazzistiche che contraddistinguono la cantautrice bolognese e che per l’occasione si spolverano di un country fumoso, essenziale che gioca con pochi strumenti, ma che di rimando confeziona emozioni che non passano di certo inosservate. Edges sono le estremità, ma anche dei punti di unione, sono i confini, ma anche le prosecuzioni di un qualcosa che va a colmare il nostro essere, il nostro venire e perpetuare nel mondo. Brani come l’apertura Each man is god, The rest of me, Without you, Cry, Cry, Cry vanno a dipingere questi quadretti d’insieme e sono l’esemplificazione di un pensiero che tenta di ricucire le voragini aperte con il passato, consolando con melodie a volte graffianti a volte malinconiche dove l’insperato può ancora essere reale, dove le lacrime che scorrono potranno trovare, forse un giorno, la strada verso il mare.

Guignol – Porteremo gli stessi panni (Atelier Sonique)

album Porteremo gli stessi panni - Guignol

Suoni completamente diversi che si trasformano da spigolose sferzate elettriche del precedente a musica folk d’autore in questo Porteremo gli stessi panni, una visione concettuale e poetica che prende spunto dal titolo di uno scritto dell’attivista e poeta lucano Rocco Scotellaro e che per l’occasione fa da contenitore al mondo creato da Pier Adduce e dai suoi Guignol. Un mondo musicale dove l’assonanza e la facile rima viene dimenticata in nome di un costrutto esistenziale che si lacera dall’interno e narra di un mondo a tratti decomposto dove gli attimi di vita si fanno essenzialità pesante ed emblematica, un apporto famigliare disgregato e ricucito, infarcito da un lessico di un tempo antico, ma nel contempo fluttuante nell’etere e carico di quel verismo esistenziale che come pugno allo stomaco ammanta l’ascoltatore attraverso visioni e immagini di una campagna in dissolvenza. Padre Mio, Diversi e Opposti, Sei fratelli, 1979 sono solo alcuni dei momenti più alti di questa band in trasformazione. Sdoganamento dell’elettricità quindi per un polveroso guardarsi dentro cercando di rimettere tutto a posto attraverso le lande desolate di un folk blues che con occhi torvi ripensa al passato con vibrante sana rabbia accesa.

Kerouac – Ortiche (Granita Records)

album Ortiche - Kerouac

Poesie metropolitane che parlano da vicino e guardano negli occhi l’interlocutore raccontando di questa ed altre avventure urbane con lo sguardo di chi non ha nulla da perdere, ma che piuttosto fa esplodere in un sound moderno le impressioni da cameretta della post adolescenza. Ortiche è il disco d’esordio del giovane cantautore Giovanni Zampieri, in arte Kerouac, un primo album cesellato dai suoni elettronici, dal trap che impazza e dall’ hip-hop che mescola il soul in una fusione gradevole e ben distinta, dove forse le parole di vita riempiono di messaggi il nostro stare al mondo. Ortiche di fondo crea un senso di disagio, il titolo forse non è stato scelto a caso, il disco racconta di quel malessere tangibile all’interno di una città opprimente che consuma e non si interroga, ma piuttosto inesorabile continua la propria decrescita di pensiero, la propria decrescita morale in nome di un qualcosa che non c’è, ma che assomiglia molto alla nebbia padana che tutto nasconde e nulla fa vedere. Kerouac riesce nell’intento di dare voce a tutto questo male di vivere, l’evoluzione delle canzoni da acustiche ad elettroniche sono passi da giganti per soddisfazioni future rendendo questo piccolo concept moderno una rilettura in chiave analitica-contemporanea di questa nostra realtà.

Using Bridge – Floatin’ Pieces (Autoproduzione)

Potenza di fuoco incontrollata cavalcata e sormontata da una voce graffiante in un rock che ammicca al grunge degli esordi dove la scena di Seattle dettava legge e aspirava ad entrare nell’Olimpo delle grandi cose. Gli Using Bridge arrivano alla quarta produzione dopo quindici anni d’attività apprendendo la lezione del tempo, soprattutto di quei primi ’90 dove un certo Eddie Vedder cantava di malinconie e disagio esistenziale con una voce che non ci saremo mai più dimenticati, cantava con i suoi Pearl Jam il dolore di una generazione e qui, in parte, quel dolore esplode ancora grazie ai pezzi impattanti della band romagnola che sa dosare la forza e nel contempo ha il giusto grado di maturità per comprendere il cammino svolto fino ad ora. Le canzoni si sciolgono granitiche e convincono, seppur nel già sentito, grazie ad un’emblematica visione di fondo che ci proietta ancora nel passato, per comprendere, capire e carpire i segreti celati in tutta questa magnificenza. Da Amigdala fino a God Knows  i nostri intascano una robustezza capace di scardinare le regole precostituite rispolverando ciò che è stato in precisione assorta, robusta e a tratti malinconica con occhi attenti e vigili protesi al futuro.

Paolo Cattaneo – Una piccola tregua LIVE (Macramè)

Per me, il 2016 musicale, è stato l’anno di Una piccola tregua di Paolo Cattaneo, un disco intenso, rarefatto, poetico e davvero altissimo sotto il profilo artistico e importante nel panorama della musica italica. Dopo un tour raccolto in una manciata di date e altrettanto raccolto in posti intimi e personali, esce nei primi mesi di questo 2018 l’album che raccoglie live alcune delle performance di quel periodo, una piccola composizione artistica che riesce a captare in modo egregio oserei dire, le sensazioni di quelle serate, ma anche la cura del particolare, i suoni mai banali, l’elettronica che non è di certo un qualcosa utilizzato per stupire, ma piuttosto sposa e si lega agli altri strumenti in un vortice indissolubile e soprattutto percepibile ad arte attraverso silenzi che si confondono con le parole per poesie di scoperte e di malinconia mai urlata. Sulle canzoni è già stato detto molto Una piccola tregua live esce per la neonata Macramè Dischi, già attento ufficio stampa che per l’occasione promuove un insieme di canzoni sorprendenti in grado di alzarsi notevolmente dalla mediocrità, soprattutto dal vivo, grazie alla presenza di grandissimi musicisti e grazie anche alle atmosfere ricreate capaci di andare oltre la registrazione, mantenendo un grado elevato di perfezione. Ascoltare Paolo Cattaneo è un po’ perdersi nei labirinti della nostra anima, un perdersi leggero, un tuffo nei ricordi, un’istantanea di un momento che non tornerà più.

Edoardo Chiesa – Le nuvole si spostano comunque (DreaminGorilla Records / L’Alienogatto / Sounday )

album LE NUVOLE SI SPOSTANO COMUNQUE - Edoardo Chiesa

A due anni da Canzoni sull’alternativa Edoardo Chiesa esplode con un disco alquanto intimo, sfiorato da pochi elementi e capace di infondere materia sognante attraverso un uso leggero degli arrangiamenti, senza calcare la mano, ma piuttosto avvicinando l’ascoltatore ad una dimensione delicata, come la seta, come toccare un tiepido abbraccio sul far della sera. Quello che stupisce in tutto questo è la capacità del cantautore di governare la bellezza che ci gira intorno senza cadere nei cliché del momento, ma piuttosto dando al tutto una connotazione reale e necessaria ad un proprio stile. Un insieme di tracce spogliate dai troppi orpelli e registrate in presa diretta mettono in primo piano la voce importante del savonese e identificano con l’ascoltatore un modo di comunicare che rende l’immaginario reale in pezzi come l’apertura affidata ad Occhi e poi ancora Domenica, Il filo, Radici e la finale Un’altra vita. Una capacità di fondo quindi nel dare un senso necessario alla grazia spogliata, alla meravigliosa sensazione che in tre si possa ancora creare musica attraverso un genere che cerca sempre più sofisticazioni inutili, forse proprio perché mancano i testi, mancano le parole buone. Con Edoardo, Damiano e Andrea tutto sembra più semplice invece, le poesie in stato di grazia cullano l’ascoltatore. Una chitarra, un basso e una batteria circoscritte nel tempo sono gli elementi necessari per rendere questo progetto invidiabile e che si fa attrattiva in stato di grazia. Bravi davvero.

Psicantria – Neuropsicantria infantile (LaMeridiana)

Unire impegno e leggerezza non è sempre facile, unire un grande tema come quello dei disturbi e dei problemi legati al mondo infantile e dei bambini con la musica ha un che di anacronistico, fuori dal tempo, quando ancora la canzone era veicolo per messaggi importanti e dove la finalità culturale del tutto risiedeva in ciò che anche i nostri genitori ascoltavano per radio. I tempi sono cambiati, i vari De André, Gaber per citarne alcuni non esistono più e i ricordi di quegli anni si fanno vividi più che mai nella mente di chi ha imparato a lottare grazie alla musica, di chi ha sperato e forse spera che il messaggio musicale possa ancora smuovere masse e accarezzare il brivido dell’utilità non fine a se stessa. Da educatore ascoltare un disco come quello della Neuropsicantria infantile mi fa sgranare gli occhi e aprire bene le orecchie. In questo trattato ironico sono presenti in forma canzone avventure immagino in parte autobiografiche dove il tema principale riguarda i disturbi legati alla crescita dei più piccoli il tutto suonato con un folk sbarazzino alternato a parti più meditative in grado di colpire per profondità, coerenza e fedeltà ad un qualcosa che non tutti conoscono, ma che dovrebbe acquisire il giusto senso in questi giorni sempre più malati. Neuropsicantria infantile raccoglie diciassette pezzi che ci riguardano da vicino, molto da vicino, sottraendo tempo all’inutilità e dando finalmente e nuovamente una funzione salvifica e importante alla parola canzone.

Unoauno – Cronache Carsiche (Ribéss Records)

album Cronache Carsiche - unoauno

Ti trafiggono, ti pungono, entrano in simultaneità con le radici da dove provieni, si innestano nel territorio e attraverso depressioni scivolano per poi riaffiorare, esplodendo a dismisura proprio quando meno te lo aspetti. Giovani, giovanissimi poco più che ventenni registrano un disco scarno e viscerale, profondo nel suo insieme che rimanda inequivocabilmente ad una scena mistica e troppo presto dimenticata in nome del pop edulcorato del momento. La musica dei Unoauno estrae capacità dal cilindro pezzo dopo pezzo e le divagazioni non prendono di certo vita perché la forma e la sostanza sono sempre in bilico e comunque a braccetto con una musica di qualità, una musica intima come una liturgia, chiaro e nitido specchio di questi giorni che apre le mascelle e custodisce al proprio interno la saliva per queste e altre proteste, per queste e altre piccole gioie quotidiane. Unoauno è il distacco totale con l’esistenza piatta e uniformante dove spiriti affini come CCCP o Massimo Volume fanno da contraltare al post-punk di Gaznevada, ma i riferimenti non sono così importanti, agli Unoauno va di certo il merito di aver dato costruzioni mentali e strumentali al proprio vivere e nel contempo di aver abbandonato la realtà, andando oltre l’intrattenimento e sedimentando pensieri e speranze nel profondo della terra da dove tutto proviene.

Lingue sciolte – Neve (ALTI Records)

Parole legate all’attualità che imprimono un cantautorato acerbo pronto a divincolarsi lungo gli anfratti della società raccontando spaccati di vita vissuta, normalità sottintesa stonata e gridata, sussurrata e implicitamente convinta nel dare forma e sostanza alle occasioni perse, quelle dei rimpianti. Le Lingue sciolte non si preoccupano molto del patinato risultato finale anzi privilegiano l’immediatezza e la cura poetica che ricorda Rino Gaetano e Ivan Graziani e che si evince in testi grondanti sudore che riescono a parlare vicino all’occhio dell’ascoltatore, testi che si sciolgono da Beatrice fino a Mi piaci solo d’Estate passando per il citazionismo di Woody Allen e la bella e riuscita Solo di te. Neve è un disco che parla schiettamente e direttamente al nostro vivere quotidiano attraverso graffianti energie che partono sempre o quasi in solitaria e via via aprono ad incursioni elettriche che ne esemplificano disagio, sogni e avventure sperate. Un album pieno di realtà da annusare e sperimentare, dai palchi fino alle strade, dalla tempesta di ogni giorno fino a sfiorare la terra che è illusione e speranza, sapore per un tempo migliore.