Sereno Regis – Sereno Regis (LaSaletta)

Sereno Regis, forse qualcuno lo ricorderà per aver creato e dato vita alla band torinese Lisagenetica, ora in veste di cantautore solista abbandona i fasti passati per creare, dando un senso maggiore alla sua ricerca, un disco fatto di pulsazioni introspettive sentite che stupiscono per musicalità e forte capacità di affondare le proprie radici nel cantautorato italiano dei mitici ’70.

Per ampiezza di costruzione il nostro si rifà quindi ai grandi di quel periodo, toccando De Gregori, ma non solo, per linea melodica ricorda Massimo Bubola e sempre rimanendo nell’area veronese anche un altro cantautore che si muove nella scena underground, Stefano Ferro.

Un disco, quello di Sereno, che stupisce per testi che affrontano la realtà con sano senso verista e connotati dalla capacità di entrare a fondo con parole ricercate, ma allo stesso tempo dirette, testi che parlano di amori, di immigrazione, di lavoro, di pezzi di noi lasciati incolti nell’adolescenza.

Regis è un cantautore, un cantautore del popolo che per l’occasione è accompagnato dalla chitarra e dagli arrangiamenti di Fabrizio Barale, già chitarrista di Ivano Fossati e Yo Yo Mundi.

Un disco da scoprire e da non sottovalutare, perché dietro ad ogni nota esiste un mondo, un mondo fatto di sogni e speranze mai abbandonate.

Luca Faggella – Discografia: Antologia di canzoni (1998-2015) (Goodfellas)

Luca Faggella ha segnato con un solco netto e preciso la sua carriera di musicista che dura da quasi venti anni, l’ha segnata attraverso un’introspezione sonora che va oltre l’archetipo di forma congiunta e pensata, ha deciso in modo eclettico e meditato di creare un disco, raccogliendo le migliori canzoni del suo cammino musicale, intervallandole da inediti che annoverano, tra gli altri, la presenza di Giorgio Baldi e Elisa Arcamone, Max Gazzé e Cristiano Micalizzi, Gianluca Misiti, Fernando Pantini, Eugene, Pit Capasso, Er Man e Suz.

Un disco completo sotto ogni forma e sostanza, un album che abbraccia diversi stili, dove il cantautorato si trasforma in poesia elettronica per lasciar spazio a pezzi di pura matrice rock consegnata ad attimi di meditazione, dove il tutto sembra tornare al proprio posto, dove ogni cosa è illuminata e la leggera soddisfazione che si ha a fine ascolto è un attimo di serenità prima che arrivi la notte e il gioco riparte, il gioco riparte da Tempo un pezzo che racchiude quasi il senso del disco e della ragione per cui è necessario darsi dei progetti, degli obiettivi, credere e dubitare, cercare spazi dentro al proprio cuore.

Luca questo lo ha dimostrato nella sua vita da artista, un cantautore che si divincola dalla noia quotidiana, che non costruisce solo canzoni, ma vere e proprie stanze di una casa che ci appartiene e che ci vuole uniti per parlare di quello che non sappiamo ancora, di quello che verrà.

Uyuni/Ronin – SPLIT #1 (Area51 Records)

Condividere speranze, passioni, amalgamare i  diversi e fonderli per creare una sostanza senza fine e in piena espansione.

Area 51 records nasce ora, nasce con questo disco, per dare un senso maggiore al mercato della discografia indie italiana, una serie di Split per creare un laboratorio artistico in piena espansione e capace di imprime il proprio nome nell’immenso panorama delle produzioni attuali.

Questo split per l’appunto vede coinvolte due band: gli Uyuni e i Ronin, band di stampo strumentale e dilatato che convergono in un sogno ad occhi aperti che apre a fantasia post umane fino ad addentrare lungo profondità scovate con grande capacità di improvvisazione e gusto, in un continuo ricevere impressioni positive fin dai primi ascolti.

I Ronin intrecciano il Morricone d’annata con i western in dissolvenza perpetuando il tutto e sancendo ancora una volta la propria capacità; oltre ad essere ottimi musicisti, anche dotati di una forte malleabilità nelle diverse situazioni che si compongono all’ascolto.

Gli Uyuni invece intrecciano il folk-blues alle nordiche espansioni sonore, con una voce percepibile e quasi cadenzata a ricordare le migliori produzioni del passato con sguardo attento al futuro, intrecciando attimi di psichedelia allucinogena.

Lungo vita quindi a questo tipo di sfide raccolte, lunga vita alla collaborazione artistica sempre più necessaria nel mondo di squali che vivono alle spalle di chi la musica la fa ogni giorno, senza chiedersi troppo, per il gusto di far conoscere, per il gusto di sperimentare, per il desiderio e il bisogno fondamentale di stare bene.

 

The Ties and The Lies – Truth of consequences (Autoproduzione)

Una città semi abbandonata al sorgere del sole, dove la terribile arsura incanala attimi di luce prima che sia di nuovo buio, tra l’acqua in dissolvenza e quella continua e costante ricerca di noi stessi, di guardarci dentro e di chiederci chi siamo e dove vogliamo andare.

Questo disco è un cerchio continuo, racchiude la bellezza dei paesaggi e la rabbia dell’abbandono, racchiude il nuovo che avanza e le sonorità care a chi ha ascoltato tanto e tanto indie rock degli anni ’90, il possedere parte di quel tempo per tramutarlo in anfratti veloci e sentiti, un credo d’amore, una nuova rinascita.

Questo è disco differente, lo dicono loro stessi, lo dicono i The Ties an the Lies, è un disco intanto diviso a metà, da un lato c’è la verità dall’altra gli obblighi, da un lato si ascolta il cuore, si ascolta ciò che più caro nascondiamo e che vogliamo tenere in serbo per ciò che verrà, dall’altra ci sono i conflitti che non sono risolti, la rabbia appunto che sfocia in temibile confronto, un guardarsi allo specchio per vedere se siamo ancora noi all’interno del nostro mondo o se qualcosa è cambiato e mai vorrà cambiare.

Un disco arcano, quasi misterioso, dal sapore retrò, un disco sul tempo rubato, sulle conseguenze di ciò che facciamo e su tutta quella spirale di eventi che non sono imputabili direttamente a noi, ma che accettiamo come valanga continua nello scorrere dei giorni.