Una città semi abbandonata al sorgere del sole, dove la terribile arsura incanala attimi di luce prima che sia di nuovo buio, tra l’acqua in dissolvenza e quella continua e costante ricerca di noi stessi, di guardarci dentro e di chiederci chi siamo e dove vogliamo andare.
Questo disco è un cerchio continuo, racchiude la bellezza dei paesaggi e la rabbia dell’abbandono, racchiude il nuovo che avanza e le sonorità care a chi ha ascoltato tanto e tanto indie rock degli anni ’90, il possedere parte di quel tempo per tramutarlo in anfratti veloci e sentiti, un credo d’amore, una nuova rinascita.
Questo è disco differente, lo dicono loro stessi, lo dicono i The Ties an the Lies, è un disco intanto diviso a metà, da un lato c’è la verità dall’altra gli obblighi, da un lato si ascolta il cuore, si ascolta ciò che più caro nascondiamo e che vogliamo tenere in serbo per ciò che verrà, dall’altra ci sono i conflitti che non sono risolti, la rabbia appunto che sfocia in temibile confronto, un guardarsi allo specchio per vedere se siamo ancora noi all’interno del nostro mondo o se qualcosa è cambiato e mai vorrà cambiare.
Un disco arcano, quasi misterioso, dal sapore retrò, un disco sul tempo rubato, sulle conseguenze di ciò che facciamo e su tutta quella spirale di eventi che non sono imputabili direttamente a noi, ma che accettiamo come valanga continua nello scorrere dei giorni.